sabato 3 gennaio 2015

Val Codera. 1. Da Novate Mezzola al Rifugio Brasca

GENTE DI VAL CODERA

Questo scritto è stato pubblicato su Vertice
Annuario della Sezione CAI di Valmadrera
numero 24, anno 2009

qui riproposto in ricordo di
LUIGI BIAVASCHI
già custode della Capanna Brasca
nato l'11 maggio 1951
morto il 26 dicembre 2014


Per un lungo periodo di tempo Codera è stato il nostro “buon ritiro”. Flavio ci aveva messo a disposizione la sua Ca’ Domingo - due piccole stanze separate, senz’acqua corrente, né luce elettrica e latrina talmente lontana che abituava a non aspettare l’ultimo momento... (e d’inverno ... a mettere i ramponi). Un posto ideale per rilassarci, soprattutto Giancarlo perennemente in viaggio saltando da un aereo all’altro. 
Già l’ingresso della Valle era motivo di gioia: all’Avedée ci affrettavamo a salire dal Vittorio per quattro ciacole davanti ad un cafferino. Rientrato dall’Australia, dove aveva lavorato alla costruzione delle linee ferroviarie, Vittorio gestiva le sue capre faticando ogni giorno per salire sul monte a mungerle e preparare i formaggi. Una vita dura, certo, ma che non aveva intaccato i suoi modi gentili: una mattina di Natale, dopo una forte nevicata notturna, sento bussare alla porta; apro e mi trovo Vittorio che porta in dono un panettone accompagnandolo con la frase: “bimbi, stanotte avete sentito il fruscìo dell’oceano?”.
A Codera, come già detto, condividevamo con Flavio la sua Ca’ Domingo, base di partenza per gli incontri coi pochi abitanti: Romolo e Sandro, Giovanni e Benito, Celestino e Silvano, Severino e Vittorino, Armando e Camillo. Raramente, ma non per questo meno gradito, ci regalava una visita lo schivo Bruno, persona più a suo agio in alto sui monti. Nelle lunghe serate passate col camino acceso e alla luce delle candele, si parlava a lungo e i racconti di contrabbando, di fatica, di freddo e di caccia si alimentavano di fantasia e di vino, bevuto dalla ciotola di legno, una sola per tutti. Col tempo, rafforzate le amicizie, abbiamo potuto partecipare alle loro gioie, alle feste e ai (troppi) funerali.
Andare alla Locanda o dal Dino, le due osterie del paese, era occasione per altri momenti di convivialità; qui ci si poteva incontrare con Gino, Devis, Alex, Basilio e Fulvia, Ileana, Giorgio e Fernando, ma, soprattutto, con Tina e le sue sorelle.
L’ospitalità offerta in Ca’ Domingo veniva sempre ricambiata, senza gli inutili fronzoli cittadini ma di certo col cuore: da Giocondo, da Celestino e Silvano - ma anche dalla Lena, dalla “zia” Alfonsina, da Emilio e Gabriella - sempre si trovava la porta aperta e un bicchiere sul tavolo.
Risalendo la valle, era per noi impossibile passare dalle Saline senza che Franca e Romolo non ci obbligassero a sostare per un caffè - e sovente a condividere il pranzo con loro.
Più su, in località Stopadüra, altra sosta d’obbligo (quand’era presente) dalla Romilda, donna capace di declamare a memoria per ore tutte le odi da lei composte. A Bresciadiga, invece, poteva capitare di finire a casa di Cele e Flaviana.
La gita classica finisce alla Capanna (“il Brasca” per i foresti), ottimamente gestita da Luigi, Ecla e collaboratori. I loro volti sorridenti premiavano la (poca) fatica fatta per arrivare fin qui. Non molto lontano, a Coeder trovavamo l’ospitalità sconfinata di Andrea, non dimenticando la visita per i saluti a Rocco e ad Ivano Ruchìn.
Molto più in alto, l’antico ghiacciaio ha creato due “balconi” sulla valle. Uno di questi, la Piana Bassa, è il regno del Severino. Un tempo lui qui vi teneva del Gutturnio. Una sera d’inverno lanciò la sfida: “voi sapete dove tengo il vino e se volete berne andate su a prenderlo”. E noi, il mattino dopo (con Flavio e Vittorino), sfidando temperature polari, passo dopo passo salimmo da Codera alla Piana Bassa. Prima che calasse il buio eravamo di ritorno a valle, portando nello zaino il vuoto da mettere in bella vista sul tavolo dell’ex proprietario. Non ci sfidò più.
L’ultimo ricordo è per le giornate trascorse in solitudine all’Averta, sovente chiusi dentro un’angusta baita. Giorni indimenticabili, passati a sentire i fischi delle marmotte, accettando i capricci meteorologici con compassata tranquillità. Un gran bel modo di vivere le vacanze.
Adesso che molti degli amici di un tempo sono morti, non abbiamo più gli stessi stimoli per salirvi, anche se da Novate non mancano gli inviti.
Le fotografie che seguono, scelte tra le oltre duemila scattate da Giancarlo, vogliono essere un omaggio a tutti gli amici che ci hanno regalato momenti “loro” e per questo mai dimenticati.

© Testo di Daniella Forestan
© Fotografie di Giancarlo Mauri
scelte tra gli scatti del 20.06.2011 e del 30.07.2012
Parte prima
In salita, da Novate Mezzòla al Rifugio Brasca

Nuà, Mezzalpiàn, el Castell, la Pòssabela, la Capeleta de Süra i Sasèi, el Sass Tajà, l’Enset (o Erbul de la Piciòta), la Cà, la Cava del Giòlia, la Scala Lunga, la Cava del Gùsti (e la pala del Gùsti), la Capeleta dei Süradö, la Val d’Avedée, la Scala dell’Avedée, l’Avedée (e la Gesèta de Sant’Antoni), la Capeleta del Sassèl, la Scala del Sassèl, la Val dï Razz, in Scim la Derta, i Scal, la prima galeria, la Val Ghèra, i Giumèi, la Ganda dï Ulanocc, la Tajada, la segùnda galeria, la Capèla del Mott, la Val Tort, el Cimiteri, la Val de Bissa, el Cerisìn, el Bùi, la Polena dï Mort, Codèra.
El Cornon, la Brüga, la Curt, la Centralina, la Bugèra, in Sott la Ruta, el Funtanìn, la Stala del Tionè, el Grealesc, in Suta ai Brüg, el Limaldòs, el Saviòn, la Capèla del Saviòn, la Belèniga, la Salina, al Mutàl, la Capèla del Piàzz, el Pian del Làres, el Piazz, i Mutàli, in Cima a la Brüga, la Ganda de la Gròsina, el Ponte del Cirèl, Bèf l’acqua, la Stopadüra, la Resega, Bresciàdiga, ai Düssei, de Puss i Düssei, la Casera, i Scùrai, el Punt dì Funtàn, Socapulè, la Capàna (Brasca), Coeder.























































Nessun commento:

Posta un commento