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sabato 25 gennaio 2020

Enrico Cernuschi, un uomo ritrovato



[…] Cernuschi, condannato a morte da un generale monarchico in nome del popolo repubblicano, è ancora miracolosamente vivo. Ma l’amico Chaudey, compagno di tante giuste battaglie, è già stato assassinato nella notte da Rigault. A Cernuschi non resta che provvedere alla sua sepoltura - una tomba imponente, al cimitero di Montmartre - e soccorrere con la consueta generosità la vedova a cui, per non compromettere l’onore comunardo, verrà negata anche la pensione. Ma l’orrore per il delitto, tanto più perché consumato proprio dalla tanto auspicata Repubblica, lo sconvolge.
Non si fa più vedere a Le Siècle, il suo giornale. Il 5 agosto del 1871 quando anche l’avventura della Comune e finita, in un’orgia di sangue, scrive a Martello, un amico italiano: “Se non avessi perduto Gustave Chaudey potrei anche rallegrarmi per quanto è successo: l’Impero e il Socialismo sono stati battuti tutti e due, la Francia sta diventando una vera Repubblica. Chi avrebbe potuto sperare tanto? Ma Gustave non è più, e io non sono riuscito a salvarlo”.
Forse è questo che lo tormenta, aver vinto tante volte la sfida contro l’impossibile, e proprio questa volta averla perduta. Si chiude nel silenzio e nella solitudine, non ha più voglia di leggere, di scrivere, di battersi: gli amici, seriamente preoccupati, lo consigliano di lasciare Parigi. Andare lontano, il più lontano possibile, distrarsi. Nel dicembre del 1871, Cernuschi è a Marsiglia, in attesa d’imbarcarsi per l’Estremo Oriente. Lo accompagna Théodore Duret che con questo viaggio avrà l’occasione - unica - di approfondire sul posto gli studi su quelle così remote e, all’epoca, ancora quasi sconosciute civiltà.

In Oriente per dimenticare.

Giappone, Cina, India, Giava, Ceylon, saranno dodici mesi di avventura e di esperienze straordinarie. Il Giappone è rimasto isolato dal resto del mondo fino a quando le “navi nere” dell’ammiraglio Matthew Perry hanno dato fondo nella baia di Yeddo chiedendo a nome del Presidente americano Fillmore l’apertura delle relazioni diplomatiche e commerciali: è stato nel 1854, e con la firma dello Shogun Togukawa Iesada al trattato di Kanagawa, sembrava che la strada fosse aperta. Ma poi è salito al trono l’Imperatore Komei, che ha richiuso le frontiere, mettendo al bando i “barbari dell’Occidente”: quando Cernuschi arriva in Giappone, Komei è morto e il nuovo Imperatore Mutsuhito ha ripreso il contatto, avviando la modernizzazione del Paese. Ma la rivolta dei vecchi signori feudali ha aperto una crisi politica ed economica gravissima. La popolazione è alla fame e persino il clero, che fin qui ha goduto di larghi benefici, si dibatte in crescenti ristrettezze. In Cina la situazione è ancora peggiore. Nel 1842 il Celeste Impero ha perduto la guerra dell’oppio e ha dovuto cedere Hong Kong all’Inghilterra. Nel ’61, altra guerra - questa volta anche contro la Francia - e altra sconfitta, con nuove e onerose cessioni. Se non basta, da più di vent’anni, il Paese è dilaniato dalle rivolte, prima quella dei Taiping contro la dinastia Manciù, poi quella dei musulmani contro l’aristocrazia latifondista: e dovunque c’è fame e disordine. In India, nel 1857, tutti i territori occupati dalla Compagnia delle Indie sono stati trasferiti alla Corona: l’Impero vittoriano, anche se ufficialmente verrà proclamato soltanto tra cinque anni, ha già preso il posto dell’antico Impero Moghul, ma tra continui disordini.
Nelle isole, sembra che il tempo si sia fermato.
A Giava, dove Cernuschi e Duret sono ricevuti con tutti gli onori, il Reggente olandese vive nel fasto di un signore rinascimentale, offrendo banchetti luculliani, allietati dalle danze delle ballerine di corte: queste sono intoccabili, ma molte altre - almeno due per ogni invitato - sono a disposizione perché alla festa non manchino neppure i giochi d’amore. E quando il Reggente prende un sigaro, è un nano che accorre col fuoco. Lo sventurato scherzo di natura, che Cernuschi definisce “microscopico”, veste panni suntuosi, come si addice ai personaggi del Palazzo: non per nulla il Reggente olandese lo ha avuto in dono da un Re, ed ha ricambiato con un monumentale orologio a carillon, proprio come ai tempi della wunderkammer.
Dovunque, l’uomo bianco è guardato con meraviglia e timore. A Nara, a Oudgi, a Coryama, la gente lascia le case e il lavoro per vedere Cernuschi e Duret: la folla è così fitta che la polizia deve scortare gli ospiti. Non risulta che, durante questo viaggio, Cernuschi abbia combinato qualche affare. Può darsi. Ma certamente si interessa d’arte. Il denaro forte di cui può disporre e la miseria dei Paesi che visita gli consentono di acquistare pitture, sculture, ceramiche, arredi, assicurandosi pezzi di inestimabile valore specialmente nei tesori dei templi dove, come scriverà un giornale, “preti e monaci non vedevano l’ora di guadagnare dei soldi vendendo a uno straniero gli oggetti d’arte che avevano in consegna, fossero pure le statue degli Dei destinate al culto”.
Un bottino favoloso, anche perché accanto a Cernuschi, uomo colto e di gusto raffinato, c’è Duret che guida le scelte con tutta la sua competenza di specialista nelle culture orientali. Il 30 dicembre del 1872, quando Cernuschi riparte da Bombay sul piroscafo Péking della Compagnie Péninsulaire le stive della nave hanno caricato più di tremila casse, nelle quali sono state imballate con ogni cura le collezioni raccolte: soltanto le sculture sono 1500, e tra queste c’è un Grande Budda in bronzo, fuso due secoli prima di Cristo e alto dodici metri. Per farlo uscire dal tempio cinese dove l’aveva acquistato, Cernuschi ha dovuto tagliarlo in sezioni, seguendo le linee di congiuntura originali, ed è stato allora che, nell’interno, Duret ha scoperto una pergamena che gli ha consentito la datazione, all’epoca della dinastia Chou.
Sbarcato a Marsiglia, il tesoro è trasportato a Parigi, dove Cernuschi fa costruire un edificio destinato a residenza e a museo in rue Velazquez, nell’8° Arrondissement, tra il boulevard de Courcelles e la rue de Monceau: l’architetto Bouvius, a cui il magnate italiano ha affidato il progetto, dovrà disegnare una sala di 20 metri per 20 e 13 di altezza soltanto per la collocazione del Grande Budda.
I giornali, ancora una volta, debbono parlare di Cernuschi. Rilevano che la collezione è la prima del mondo per il valore e per la quantità dei pezzi. “Una civiltà intera”, scrive Le Pays, “si apre davanti ai nostri occhi, rivelandoci attraverso testimonianze autentiche i suoi costumi, i suoi riti, la sua filosofia. Neppure tutti i musei d’Europa messi insieme potrebbero offrire - nella sola scultura - i millecinquecento capolavori della collezione Cernuschi”. Sul frontone dell’edificio, Cernuschi fa affrescare le immagini di Aristotele e di Leonardo da Vinci, e sui battenti in bronzo del portone fa incidere due parole, Febbraio e Settembre: oggi bisogna spiegarlo, ma allora ogni parigino comprende, commosso, il riferimento alle due rivoluzioni del febbraio 1840 e del settembre 1870 che hanno aperto la strada alla Seconda e alla Terza Repubblica francese.




















LE FOTOGRAFIE DI
GIANCARLO MAURI
4 novembre 2015






























































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