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mercoledì 25 ottobre 2017

Picasso, Fernande, Eva e Olga


Anno domini 1911. La fine del legame sentimentale tra Picasso e la belle Fernande è nell’aria - e il colpo finale lo sferra lei, quando lascia il pittore spagnolo per seguire un pittore italiano, Ubaldo Oppi, di cui si è momentaneamente innamorata. Dirà lei: l’ho fatto per ingelosire Pablo e ravvivare il nostro rapporto. Dirà lui: non avrei mai avuto il coraggio di lasciare la compagna dei giorni di povertà, ma andandosene con Oppi lei mi ha liberato. La fuitina dura pochi mesi, poi - come se niente fosse accaduto - Fernande sale su di un treno e raggiunge Picasso a Céret, certa di riprendere il suo posto accanto a lui. Le cose non vanno come lei vorrebbe, anzi ben presto prendono una brutta piega: Pablo - che è in compagnia di Eva, la sua nuova compagna - viene aggredito sia verbalmente che fisicamente da alcuni amici che hanno preso le parti di Fernande.
Il 21 giugno Picasso ed Eva lasciano i Pirenei cercando lidi più tranquilli. Dopo una breve sosta ad Avignone, il 26 ripartono con destinazione Sorgues-sur-l’Ouvèze (Vaucluse), dove Picasso affitta la Villa des Clochettes - due camere ed un atelier - per 80 franchi al mese. A luglio arriva l’amico Braque, da poco sposato con Marcelle Lapré, che s’installa poco lontano, nella Villa Bel Air e qui restano fino al 23 settembre, il giorno del loro ritorno a Parigi.
Da Sorgues Picasso, che vuole lasciare Montmartre, scrive una lettera al suo mercante chiedendogli di trovargli un nuovo appartamento con atelier. Alla fine di agosto Kahnweiler gli annuncia di aver trovato un bell’atelier-appartamento al 242 di Boulevard Raspail. Il pittore fa un salto a Parigi, vede l’appartamento e dichiara la sua insoddisfazione. Ciononostante, Kahnweiler si occupa del trasloco, cosa che permette a Pablo e ad Eva di occupare i locali sul Boulevard Raspail lo stesso giorno del loro rientro da Sorgues.
Com’era prevedibile, in Boulevard Raspail Picasso non mette radici. Un anno dopo occupa il 2° e il 3° piano di una casa da poco costruita nella vicina rue Victor Schoelcher, numero 5 bis. L’appartamento è comodo e lo studio è luminoso - seppur con finestre che danno sul cimitero di Montparnasse.


Anno domini 2017. Rieccomi per l’ennesima volta di fronte al 242 di Boulevard Raspail. Oggi tutto è nuovo, ricostruito. All’arrivo di Pablo ed Eva - che occupano il piano terra - qui vi era una casa a graticcio nota come cité Nicolas-Poussin, sede di una comunità d’artisti. Le ragioni che hanno spinto Picasso a lasciare Montmartre per Montparnasse è semplice: vuole abbandonare i luoghi che gli ricordano Fernande - una costante di Pablo, questa: una donna, una casa - e vivere una nuova vita con Marcelle Humbert, la donna che ama e che lui simbolicamente chiama Eva. Il Dôme e La Rotonde - i locali frequentati dai suoi amici scrittori - sono a due passi. Modigliani, altro amico di Picasso, ha il suo atelier sullo stesso boulevard, al numero 216. La baronessa d’Œttingen, grande ammiratrice (e collezionista) di Picasso, abita al 229. La redazione de Les Soirées de Paris, di cui Apollinaire è il direttore, è al numero 278. A Montparnasse Picasso non è solo.
Inoltre, in sintonia con Braque, il cubismo analitico caratterizzato da tinte marroni, beige e bianche cede il passo al cubismo sintetico, più ludico. Picasso ritrova i colori e le figure. Poi c’è lei, Eva, di cui Picasso è sinceramente innamorato e questo sentimento lo esprime inserendo nei suoi quadri frasi significative quali J’aime Eve (settembre 1912).
Marzo 1913: Pablo ed Eva tornano a Céret. La stagione è piovosa, Eva, già sofferente, s’aggrava. Continua a tossire. Anche Picasso s’ammala, colpito da una leggera forma di febbre tifoidea. Il 20 giugno i due rientrano a Parigi. Qui, il 22 luglio ricevono la storica visita di Matisse. Il 20 settembre Apollinaire cena per l’ultima volta in Boulevard Raspail. Subito dopo Picasso ed Eva traslocano in una casa vicina, di recentissima costruzione, in Rue Victor-Schœlcher. Ed è lì che mi sposto anch’io.

Per sancire il raggiunto status symbol, nel 1912 Paul Follot - uno dei più noti artisti decoratori del suo tempo (ceramiche per Wedgwood, tessuti per Corneille et Cie, oggetti in argento per Christofle) - si è fatto costruire un hôtel particulier al numero 5 di Rue Victor-Schœlcher. Ancor oggi questa casa si fa notare per la sua forma a pigna e per le ceramiche che ne decorano l’atrio e il piano terra.
Accanto, numero 5bis, vi è l’accesso a quello che fu l’appartamento e l’atelier affittato da Pablo Picasso nel 1913. Boulevard Raspail è dietro l’angolo, di fronte, ma visibile dai piani superiori, vi è il cimitero di Montparnasse. Vista macabra per i superstiziosi, non certo per Picasso: le ampie finestre del suo studio sono rivolte a nord e la presenza dell’ampio cimitero lascia spazio alla visuale, regalando tanta luminosità. In questo studio l’artista si dedica alle sperimentali sculture-assemblaggio, quali la Guitare in cartone e latta; con un giornale datato 23 dicembre, una scatola di cartone, della carta, guazzo, cartone e gesso crea il Violon - e queste sculture “a forma aperta” scuotono il mondo artistico parigino. Anche la sua pittura si evolve. Trasporta le sue sculture su tela (Guitare sur une table) e dipinge una stupefacente Femme en chemise dans un fauteuil, un quadro che esercita un enorme fascino su Breton e su Eluard: il cubismo getta i semi del surrealismo. Attirati dall’evolversi dell’arte di Picasso - vera festa di colori - al 5bis di Rue Victor Schœlcher bussano i futuristi Boccioni e Severini, ma anche De Chirico, Jacques Villon, Albert Gleizes, Fernand Léger e Modigliani. Derain, Max Jacob e André Salmon lasciano Montmartre per raggiungere Picasso a Montparnasse, il nuovo centro dell’arte.
Picasso realizza anche una serie di piccole nature morte che chiama Ma jolie, un amoroso omaggio ad Eva, la cui salute peggiora di giorno in giorno. Pablo si rattrista e con lei prende a frequentare studi medici, inutilmente.
Nel 1914 arriva la guerra. I suoi amici francesi sono chiamati alle armi. Il suo gallerista, Kahnweiler - tedesco ed ebreo - ripara in Svizzera. I colori sulle tele cambiano, le composizioni adesso sono più fredde. Nella primavera del 1915 gli zeppelin bombardano Parigi. Braque è gravemente ferito alla testa e subisce un trapanamento - e lo stesso sarà per Apollinaire.
In autunno Eva si aggrava. A novembre Picasso la fa ricoverare alla Maison de Santé Golman, 57 bd de Montmorency (terzo piano, camera K). Lei è cosciente della sua situazione e stando a quel che scrive Pierre Daix (Picasso, Hachette 2009, p. 228) un giorno avrebbe detto: «Je désespère de guérir. Pablo me gronde quand je lui dis que me crois pas voir l’année 1916».
Ha ragione: non vedrà il 1916. Muore per tubercolosi (di cancro alla gola, scrive Olivier Widmaier Picasso, figlio di Maya) il 14 dicembre 1915, all’età di 30 anni.
Scrive O’Brian, p. 249: A quel tempo la tubercolosi mieteva ancora molte vittime, in particolare quando mancavano combustibile e cibo: durante l’inverno Eva morì. Qualche amico accompagnò Picasso fino al cimitero, un numero tristemente esiguo se si pensa alla grande quantità delle sue conoscenze; fra questi c’erano Jacob e Gris. Gris scrisse a Maurice Raynal, che combatteva in trincea, per raccontargli del fatto: «C’erano solo sette o otto amici al funerale, il che ha reso la cerimonia molto più triste, a parte, naturalmente, le battute di Max, che ne hanno se mai sottolineato l’orrore… Picasso è molto abbattuto».
Picasso fa seppellire il corpo di Eva nel cimitero di Montparnasse, visibile dalle finestre del suo studio. Poi, senza avvisare Pablo, un bel giorno arrivano i parenti di lei e la bara viene trasferita altrove. Dal nulla è apparsa nel nulla è scomparsa.

Su Picasso piomba una cappa di tristezza ...finché un giorno d’aprile del 1916 un giovane poeta e scrittore viene a bussare alla sua porta. È Jean Cocteau, che vestito da Arlecchino - un omaggio ai quadri di Picasso - gli propone di realizzare i costumi di scena per Parade, un’opera scritta dallo stesso Cocteau e musicata da Satie. Dopo qualche titubanza Picasso accetta. Nel 1917 il gruppo si trasferisce a Roma per unirsi alla compagnia di Diaghilev, l’inventore dei Balletti russi. Nell’atelier di via Margutta Picasso crea gli abiti di scena e dipinge il grande sipario. La sera passeggia con gli amici, accompagnati da alcune delle ballerine di Diaghilev. Una di queste, Olga Khokhlova, attira l’attenzione di Pablo. Rammenta P. Daix in Picasso créateur, Seuil, 1987, p. 163: «Attention, lui aurait dit Diaghilev, une Russe, on l’épouse» (fai attenzione, gli avrebbe detto Diaghilev, una Russa, la sposi).
Così è. Il 12 luglio 1918 viene registrato all’ufficio di stato civile del VI arrondissement, place Saint-Sulpice, il matrimonio civile di Pablo Picasso con Olga Khokhlova - testimoni Jean Cocteau, Guillaume Apollinaire e Max Jacob - poi seguito da una celebrazione nella cattedrale ortodossa di Saint-Alexandre-Nevsky, 12 rue Daru, con tanto di corone di fiori sopra il capo degli sposi e nuvole d’incenso, come rito ortodosso prevede.

Nuova donna, nuova casa. In verità già da metà ottobre 1916 Picasso ha lasciato rue Schœlcher per trasferirsi a Montrouge - 22 rue Victor Hugo - in una villa tetra, una sorta di cubo amorfo con piccolo giardino. Ed è in questa casa che un giorno entrano i ladri: rubano tutta la biancheria ma lasciano al loro posto tutte le tele. A loro un Picasso non interessa. Meglio le sue mutande.

GIANCARLO MAURI



















lunedì 15 settembre 2014

Picasso visto da Jean Cocteau (1942)

Jean Cocteau visto da Modigliani (1916)


Il diario che Jean Cocteau ha tenuto nel periodo dell’occupazione di Parigi da parte delle truppe naziste è ricco di spunti, informazioni e pettegolezzi.

Altrove la guerra imperversava, Parigi languiva, ma lui, il poeta, il regista cinematografico, il commediografo amato/odiato senza mezze misure (cosa abituale per le persone di genio; del resto: se dopo mezz’ora che parli nessuno si è sentito offeso vuol dire che non hai detto niente d’intelligente...) continua a vivere la sua vivace vita da bon-viveur destreggiandosi tra pranzi, cene e frequentando i salotti di ministri e di ambasciatori.
Questo Diario (1942-1945) è anche ricco di stringate annotazioni su uno dei suoi più grandi amici, Pablo Ruiz Picasso, e della sua compagna Dora Maar.
Le citazioni su Picasso sono tante e qui ne riporto soltanto alcune, le prime in ordine di data, intercalate da alcuni poetici camei: delizioso quello sul “vento” sfuggito a tavola da madame Chambrun: noblesse oblige.
PS: le note a piè di pagina sono di Jean Touzot, il curatore del libro.


Modigliani, Picasso e Salmon fotografati da Cocteau (1916)

Marzo 1942 - Prestigio del giornale. Come vivrebbe la folla senza false notizie?

Mercoledì 11 marzo 1942 - Incontrato ieri Picasso, sotto i portici del Palais-Royal. Era un leone incanutito, un qualcosa schiacciato da una leggera montagna. Quegli occhi che divorano tutto. Mi dice: «Vado in banca per incontrare mia moglie.[1] - Ti chiederà dei soldi. - Certo non me ne darà, mia moglie! La banca! Aspettare! Discutere! Non so proprio come si potrà dipingere con tutto ciò».
Straordinaria battuta di un uomo che non sopporta di perdere un minuto e che tributa ad ogni cosa l’onore di essere utile.
Picasso si è anche ricordato di avere, tra altri libri spagnoli rarissimi, la prima edizione introvabile de La Celestina - copia a cui manca la pagina di risvolto. Quell’esemplare deve valere parecchi milioni.
Arrivo di Léonce Rosenberg[3] e naturalmente si parla ancora dell’epoca. Grande stanchezza. Léonce mi dice: «Lei non cambia.» Gli rispondo: «Sono troppo distratto per cambiare». Anche se ci si ribella contro l’universo di Picasso, dovremmo essergli riconoscenti di spingere all’estremo il dramma delle forme e di affrettare così la contraddizione dei giovani. Il primo che uscirà dai suoi tranelli dimostrerà la sua forza. Gli altri o vengono sedotti dalle sue trappole, o girano alla larga.
In arte ci sono solo battaglie o tombe.
Picasso dice: «Si può scrivere e dipingere qualsiasi cosa, perché vi saranno sempre persone che capiranno (e vi troveranno un senso)».
Picasso e suo figlio. Un simile ideatore è uomo e donna. Il risultato sono le opere. Scegliere una donna e, per giunta, farci un figlio, è come se Picasso potesse infondere la vita a un suo quadro. Sarebbe una catastrofe. Suo figlio ha certamente il naso al posto dell’orecchio, un occhio al posto del naso. Ecco la sua anima.
Prima di pranzo, sono andato a portare il discorso su Mallarmé a Delange.[4]
Pare che Sert[5] dica: «Come mai non ci sono libri su di me?» Picasso risponde: «Dato che è tanto ricco, dovrebbe pagare degli autori per scrivere una gran quantità di libri su di lui».
Picasso dice: «Vorrei vedere il disegno di tutti i percorsi di una stessa persona durante la vita. Forse verrebbe fuori il suo ritratto».
Da rue Dauphine, in fondo a rue de Savoie, si vedono l’atrio e la casa. È un’ala del palazzo dei duchi di Savoia. Ci trasportarono Ravaillac, dopo l’assassinio. Quella palazzina è ora la Camera sindacale degli uscieri. Picasso abita nelle soffitte.
Pranzo da Gaffner.[7] Picasso detesta le visite. Vorrebbe che vivessimo insieme, «avessimo lo stesso odore», e che non si dovesse andare da un’estremità all’altra di Parigi per vederci. Ha ragione; arrivavo al punto di preferire gli incontri d’albergo che si ripetono ogni giorno, ogni minuto, alle amicizie sparse qua e là (esempio: Villefranche).
Da Dora. Ho fatto il disegno. Un gran disegno a carboncino su tela. Beviamo del vero caffè e smettiamo di posare e disegnare tra un occhio e l’altro, tra le narici e la bocca, ecc. Penso che il disegno sia bello e le assomigli molto.[8] Cerco di buttarmi nelle linee. Devo fare delle smorfie orribili, e l’insieme delle linee vive senza di me e senza di lei. Dora ha occhi da scimmia (stupendi), un naso di cui una narice fa piegare all’insù il labbro a sinistra, una bocca come un fiore strappato. Arriva Picasso e mi dice che pensa che Éluard desideri che io faccia il suo ritratto. Mi piacerebbe stabilirmi da Dora e fare ritratti come gli artisti di place de la Concorde. Dovrebbero procurarmi solo la tela e i colori secchi. Dove potrei stare meglio che da questi amici, dove la stupidità, la bruttezza, la volgarità, l’attualità, non penetrano da nessuna fessura? Basta entrare da Picasso per provare vergogna di tutto quello che si pensa o si fa superficialmente.[9]
Esiste solo il mestiere. Veramente Picasso dice: «Il mestiere, è quello che non s’impara». Perfezionare il dono del mestiere con una continua osservazione.
Stato a trovare Chanel. «Non ho mai fatto vestiti, dice, ho fatto la moda. Per chi la farei oggi? Non lavoro più perché non ci sono più le belle donne che potrei vestire».
La gente è soffocata dalle inezie. Manca l’esprit de grandeur. I pettegolezzi sostituiscono lo spirito (già detestabile), il denaro sostituisce la ricchezza.
Olga Picasso. Misia mi dice: «Ho sopportato quest’idiota, per liberare un po’ da lei Picasso che adoro». Davanti alle ultime tele di Picasso, gli dice chiaro e tondo: «Sono dei peccati mortali».
Légion d’Honneur: Berthelot[12] mi diceva: «È comoda per i posti in treno. La compri».
Stupidità di Stendhal, l’astio quando parla di Racine, di Shakespeare. Lo spirito ha le sue mode. Pochissimi spiriti vi sfuggono. Baudelaire. E diventa di pubblico dominio.
Il cane di Picasso - un afgano - di una magrezza ed eleganza incredibili. La gente per strada ingiuria Picasso. Credono che sia un cane a cui non si dà da mangiare. Picasso dice: «È il cane più incompreso, e da tutti». Animale favoloso, tutto zampe, ossa e muscoli. Le sue pose minime sono firme ed arabeschi. Rassomiglianza col cane del disegno della camera.
Dopo tre ore di lavoro durante le quali mi esaurisco, la somiglianza viene fuori piano piano. Alle sei mi accorgo che mi sono intirizzito dal principio alla fine della posa. La tensione mi impediva di sentire il freddo.
Picasso parla delle «architetture naturali» a proposito di vecchi palazzi e di vecchi cortili come quello di Dora. Parla cioè delle architetture che si fanno a poco a poco, per necessità. Architettura progettata. Non c’è più niente di umano, di accidentale, di casuale. È il «filo a piombo» che Marais considera responsabile dell’architettura morta.
Asimmetria di un volto (quello di Éluard tra gli altri!). Asimmetria delle belle architetture, - quelle che vivono. Simmetria delle architetture moderne tristi come numeri.
Cena Picasso- Éluard da Zatoste.[15] Riso alla spagnola. Il cane. Picasso dice: «È un cane da grondaia». Il dolore ai reni si è fatto insopportabile. Picasso dice di Jünger (Falaises): «Si serve troppo di quello che sa».[16]
Il gran quadro, Olympia. Una donna sdraiata. Un’altra, ai piedi del divano, suona il mandolino. Questo è il suo regno. Picasso è un re. Può fare ciò che vuole purché non sbagli all’interno del suo registro. Per avvicinarsi al mondo e ai mostri sacri che inventa, bisogna conoscere la sua sintassi e la sua lingua. Altrimenti si è snob o ciechi. Conosco così bene l’una e l’altra che potrei riprodurre a memoria anche i più piccoli tratti con cui raffigura la donna seduta e quella sdraiata.
Picasso racconta ad amici spagnoli, come, tempo fa, avendo visto da lui un immenso disegno, fatto di papiers collés e carboncino, il giorno dopo gli avevo telefonato di venire da Chanel, in Faubourg Saint-Honoré, dove stavo allora, a vedere il disegno. L’avevo riprodotto, senza un errore, su un muro della mia camera. Lo firmò: «Jean ha fatto questo Picasso».
Ci fa vedere le osservazioni inviate da Éluard, copiate da un grafologo al quale[18] aveva dato l’inizio di una lettera di Picasso. È un ritratto impressionante. Tra le altre verità: «l’adulazione lo fa diventare falso». Da Dora, dopo pranzo, termino e firmo il disegno di Éluard. Ho scritto sopra: «Si avvicina con passo felpato. Va via a gambe levate». (La somiglianza.) «Non si muove». (Il mio cuore.)
L’esempio di Picasso. Non perderlo mai di vista. Impero senza limiti. Tutti i giorni distrugge città per sostituirle con altre. Non può toccare nulla senza creare. Un imbrattatele come V. osa insultare quest’uomo e indicare ai giovani delle associazioni la via degli scout del rogo di Savonarola. Leonardo vedeva bruciare la Leda sulla pubblica piazza. Non potremmo allontanare da noi questo calice? No. Chi perde vince.
I lati più neghittosi di noi stessi rischiano di aspirare ad una forma convenzionale di gloria.

Lunedì 23 marzo 1942 - Pranzo con Picasso e Dora.[2] Dopo il pranzo, in cui mi parla delle grane che ha con la moglie e suo figlio e del cambio svizzero che è una rovina (il bambino sta a Ginevra), andiamo a vedere l’appartamento che Dora ha appena affittato vicino a casa sua. È lo stesso stile dei luoghi che subiscono l’influenza di Picasso. Vaste stanze vuote, con un fasto povero. Poi, andiamo in rue des Grands-Augustins, dove Picasso si è stabilito, nella casa dello Chef-d’œuvre inconnu di Balzac. È come se avessero accatastato delle soffitte le une sulle altre, le une vicino le altre, con angolini e scale ovunque. Da Picasso, tutto è regale. Un disordine regale, un vuoto regale - abitato da mostri che inventa e che popolano il suo universo. Gigantesche teste di bronzo, tele, oggetti di legni e di latta.

Mercoledì 24 (sera) - Lapidi commemorative di sconosciuti nel quartiere dei Grands-Augustin. Picasso, giungendo davanti alla nuova casa di Dora, ne propone uno: «In questa casa, Dora Maar morì di noia».

Giovedì 26 marzo - Il vero lusso. Picasso. Questa mattina porto la mia tela, preparata col bianco, da Dora. Non è ancora a casa. Da Picasso, lo trovo che sta uscendo. Sua moglie si rifiuta sempre di partire per la Svizzera, per mancanza di denaro. Picasso: «Allora parto io». La incontra in un caffè all’angolo di rue Dauphine. Neppure da Picasso è cambiato niente. Soltanto, è vero lusso. Niente, e la magnificenza. È superbo, vestito come un povero.[6] Sprigiona genio da tutte le parti, come un serbatoio bucato. Ciò provoca getti di capelli grigi, di sguardi, di rughe.

Mercoledì 1° aprile - L’altra sera Marie de Chambrun a tavola si lascia sfuggire un vento. Chambrun:[10] «Lei parla senza dir niente!».


Sabato 4 aprile 1942 - Cena con Misia Sert[11] […] «Le persone che conservano tutto, non hanno niente. Si è ricchi solo sperperando».

Notte dal 4 al 5 aprile 1942 - «Ciò che importa, diceva il caro vecchio Satie, non è rifiutare la Légion d’Honneur, bisogna anche non averla meritata».

14 aprile 1942 - Alla Francia piace uccidere i poeti, poi imbalsamarli e ammazzare i nuovi poeti a colpi di mummie.

15 aprile 1942 - Paul Smara[13] cita una mia vecchia battuta su Goethe: «Se avesse avuto genio, lo si sarebbe saputo». E Gide mi diceva: «È un piffero enorme, delle dimensioni della colonna Vendôme».

Mercoledì 6 maggio 1942 - Nel periodo in cui tutta la stampa germanofila mi insultava, Arno Breker, lo scultore di Hitler, mi ha dato la possibilità di telefonargli sulla linea speciale a Berlino qualora capitasse qualcosa di grave a me o a Picasso.[17] Oggi, Breker è a Parigi. La Francia organizza la mostra. […] Il dramma è la sua scultura. Penso sia mediocre.

18 aprile 1945 - Sono sempre pronto a dare del tu, purché non venga dato a me.

28 aprile 1942 - Cena ieri sera con Lise[14] e gli Éluard. Farò il ritratto di Éluard lunedì prossimo da Dora.

Lunedì 4 maggio 1942 - Stamattina appartamento pieno di fotografi della zona libera. Pranzo con Picasso e Éluard. Dopo pranzo, da Dora, incomincio il ritratto di Éluard mentre Dora fa il caffè e Picasso fa un grande e meraviglioso disegno che raffigura tutta la stanza, con Éluard che posa e io che disegno.

Mercoledì 3 giugno 1942 - Pranzo Picasso. Da Picasso, non c’è più la testa di toro di cui mi avevano parlato. L’ha fatta fondere in bronzo, ma la descrive e la disegna sulla tela bianca dove era appesa con un chiodo. Poiché era fatta con un vecchio manubrio di bicicletta arrugginito e una sella, dimentica di aver partecipato lui al lavoro, e ne parla come di un oggetto magnifico. Avevo indovinato che l’oggetto non aveva più volume di un teschio dei naturalisti.

Giovedì 4 giugno 1942 - Picasso mi dice al telefono, che un articolo di Vlaminck sarà pubblicato contro di lui su «Comœdia».[19] Risposta di Lhoste. Temevo un articolo provocatore e pericoloso. Invece si tratta delle solite stupidaggini. Picasso aggiunge: «Una mano di V. Una mano di Lhoste sopra. Nessuna importanza». Comunque, ho telefonato a Delange di stare attento. Oggi tutto può essere una minaccia.

Sabato 13 giugno 1942 - L’articolo di Vlaminck contro Picasso ha suscitato un disgusto generale. Ci ritroveremo, Signori agenti provocatori, specialisti di cagnare, signori togliti-di-mezzo-che-mi-ci-metto-io. Non dimenticheremo i vostri putiferi. Ogni volta che credete di colpire delle opere, ferite un mucchio di amici sconosciuti e fate in modo che noi ne reclutiamo altri. Questa folla, un giorno, vi farà pagare la vostra stupidità. Questa folla punirà i vostri crimini. Approfittate in fretta del vento dell’imbecillità che tira in vostro favore. Più agirete e più la rivolta sarà profonda. Chi vince perde, chi perde vince. Basta saper aspettare.

[1] Olga Koklova (1896-1955), ex ballerina di Diaghilev, madre di Paul Picasso (1921-1975), curata in una clinica psichiatrica in Svizzera.
[2] La fotografa Dora Maar, compagna di Picasso tra il 1936 e il 1946, era nata in Iugoslavia nel 1909. L’appartamento che aveva affittato si trovava in rue de Savoie, perpendicolare a rue des Grands-Augustins.
[3] Celebre mercante d’arte, proprietario di una galleria.
[4] René Delange, direttore del settimanale «Comœdia», al quale Cocteau, dopo che fu ripubblicato nel 1941, collaborava regolarmente.
[5] Jesé-Marie Sert (1874-1945), pittore e scenografo spagnolo, ricco collezionista, tornava spesso in Spagna e, al contrario di Picasso, figurava come artista ufficiale del regime franchista. Ne era del resto ambasciatore presso il Vaticano.
[6] Il fotografo Brassaï riferisce queste parole di Picasso mentre osserva Cocteau in una foto di gruppo. «Guardate, cos’è che innanzi tutto attira lo sguardo? È la piega dei pantaloni di Jean Cocteau! […] Cocteau è nato con la piega dei pantaloni nella culla. È nato stirato…» (Conversation avec Picasso, Parigi, Gallimard, 1964, p. 159).
[7] Maurice Sachs cita questo ristorante tra quelli «del mercato nero allora di moda» e ne vanta la costata (secondo Gilles e Jean-Robert Ragache, La vie quotidienne des écrivans et des artistes sous l’occupation 1940-1944, Parigi, Hachette, 1988, p. 140).
[8] Questo non fu il parere di Picasso, che rifece, sopra il ritratto a carboncino, un ritratto di Dora Maar ad olio. Dora Maar ci ha detto di essere stata ritratta con un vestito a righe celesti e gialle. Il quadro poi entrerà a far parte di una collezione americana. Quando Cocteau venne a sapere la fine fatta dal suo disegno a carboncino, non osò dire nulla.
[9] Lo stesso 26 marzo, nel suo diario, Roger Lannes scrive: «Cocteau tiene un diario. Lo trovo appollaiato sul suo tavolo che prende appunti su appunti. Mi diverte. Quest’uomo che ha sempre abbondantemente dissipato il suo tempo, la sua vita, il suo linguaggio e i suoi amori, oggi, come tutti noi, revanscisti, quelli che non hanno nulla e accumulato le loro proteste in silenzio, si mette a prender nota della sua esistenza… Mi legge quello che ha scritto su Picasso».
[10] Il conte Charles de Chambrun (1875-1952), diplomatico e scrittore, entrò più tardi all’Académie Française.
[11] Misia Godebska (Pietroburgo, 1872-Parigi, 1950), sposò nel 1893, Thadée Natanson, direttore de «La Revue blanche», e diventò amica di Mallarmé, di Toulouse-Lautrec, di Renoir. Secondo matrimonio nel 1905 con Alfred Edwards, magnate della stampa. Nel 1909, lo lascia per il pittore José Maria Sert che sposerà nel 1920. Divenne l’eminenza grigia dei Ballets russes e intima di Jean Cocteau. La si riconosce nel personaggio di Clémence di Thomas l’Imposteur. Cfr. Misia di Arthur Gold e di Robert Fizdale, Parigi, Gallimard, 1981). Vi si legge a p. 80, un estratto di una quartina di Mallarmé che si è conservata e (p. 347) un commento illuminante del giudizio dato su Olga Picasso.
[12] Philippe Berthelot (1876-1934), segretario generale del Ministero degli Esteri (1920-1921 e 1924-1932), era un amico intimo di Misia Sert.
[13] Paul Smara, esteta, collezionista di larghe vedute.
[14] Anne-Marie Hirtz (detta Lise Deharme, 1898-1982), egeria del Surrealismo, gran dama delle lettere, apriva ancora un salotto frequentato soprattutto dagli scrittori della Resistenza.
[15] Ristorante basco, vicino a Notre-Dame des Victoires.
[16] Ricevendo Jünger nel suo atelier, il 22 luglio 1942, Picasso gli pone delle domande a proposito del suo libro Sugli scogli di marmo e osserva: «Noi due, seduti qui come siamo, negozieremmo la pace questo stesso pomeriggio. Questa sera gli uomini potrebbero accendere le luci». (Ernst Jünger, Primo diario parigino. Diario II, 1941-1943, cit. dall’ed. francese presso C. Bourgois, 1980, pp. 158-159).
[17] Arno Breker, nato nel 1900, conosceva Cocteau fin dagli anni del perfezionamento a Parigi. Il loro primo incontro risaliva all’inizio del 1925, in occasione di un ricevimento al Boeuf sur le toit cui parteciparono «due figli di Renoir, i pittori Fernand Léger e Rudolf Levy, tutti accompagnati dalle mogli». (Arno Breker, Paris, Hitler et moi, Parigi, Presses de la cité, 1970, p. 290). Dopo l’Occupazione, lo scultore riprese i contatti con Cocteau solo durante l’autunno 1940, desideroso com’era «di preservare un clima d’intesa, nonostante gli avvenimenti» (Ibid., p. 292). Senza citare Cocteau, Breker fa valere i buoni uffici che la sua amicizia con il colonnello Spiedel gli ha permesso di espletare: il colonnello comandava allora la piazza di Parigi: «fu a quel tempo che incominciai a aiutare di nascosto le persone minacciate, quali che fossero, che si rivolgevano a me». (Ibid.)
[18] Raymond Trillat.
[19] Maurice Vlaminck (1876-1958), definisce Picasso l’«impotenza fatta uomo» e gli dà dello «Stavisky della pittura». L’articolo, pubblicato su «Comœdia» il 6 giugno 1942, sarà ripreso nel Portrait avant décès (Parigi, Flammarion, 1943).


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