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venerdì 5 giugno 2015

St-Gilles-du-Gard


A maggio, di primo mattino il visitatore ha il sole di fronte e per godere della visione dell’abbaziale di Saint-Gilles-du-Gard aiuta lo stretto passaggio che porta alla Maison Romane, struttura museale che una tradizione vuole sia stata la casa natale di Guy de Foulques, il Guido Fulcodi che resse la Chiesa romana dal 1265 al 1268 col nome di Clemente IV.

San Gilles: già il nome è tutto un programma. La storia c’insegna che il meridione francese mai fu evangelizzate dai vescovi inviati da Roma, bensì dal clero greco ortodosso, lo zoccolo duro su cui si è costruita nei secoli la Chiesa gallicana, e già questo spiega l’origine del mito di san Trophime di Arles, il protovescovo che la leggenda vuole sia stato unto direttamente dall’apostolo Pietro e da questi inviato a convertire le masse pagane del Sud della Gallia. Ma noi sappiamo che un san Trophime storico non è mai esistito e quindi sorvoliamo su queste baruffe tra galli interessati a godere le ricche prebende del grasso pollaio.
Si aggiunga: dalla lettura dei testi agiografici, dunque a lui favorevoli, si apprende che Trophime sarebbe morto tra l’anno 270 e l’anno 275 - e qui la storia dell’unzione dalle mani di san Pietro va a farsi benedire, in tutti i sensi.


Decisamente intrigante è l’analisi del nome: guarda caso, Gilles viene dal greco e significa l’Egeo, il greco, un nome a sua volta derivato da quello della capra, potente antenato simbolico: aiks quando è soggetto, aigos quando è complemento di nome. Il diminutivo è aigidion che diventa aegidius nel latino medievale. Uno degli appellativi degli antichi greci era Egei - figli della capra e chi si occupa di religiosità arcaica ben conosce che in Occidente i “capretti” erano una delle quattro tribù attiche primitive, così come lo stesso nome si ritrova nell’espressione “essere sotto l’egida di qualcuno”, dove l’egida indica la corazza protettiva in forma di mantelletto di capra con al centro la testa della Gorgone, che nella mitologia greca era portata in battaglia da Atena, da Zeus e da altri dèi.[1]
Vecchie storie, che riportano ai miti dell’Oriente: quante strutture religiose da me visitate tra la Svanezia e le terre tibetane portano all’esterno e/o all’interno le corna della capra o dell’ibex, il simbolo sacro per eccellenza? Ancora: in Svanezia, terra di sicura fede cristiana, le chiese più antiche, da cercare sui monti, non sono mai quadrate o rettangolari bensì rotonde - come lo sono le tende abitate - significando con ciò che entrare in chiesa è un tutt’uno coll’entrare nel grembo generativo della Madre che tutti nutre. Le più antiche tra le strutture rimaste presentano due giri di mura: il fedele deve dapprima deambulare in senso orario all’esterno, poi nel corridoio tra le due mura, infine può entrare nel cerchio sacro, dove sopra l’altare non vi è la statua di una vergine o un uomo crocifisso ma un bel paio di corna di caprone, il fecondatore. Questo spiega la ragione per cui in queste chiese possono entrare solo gli uomini - e mai in un numero superiore a sette: potenza dei numeri sacri! -, mentre le donne devono limitarsi al giro delle mura esterne e sostare di fronte alla porta. Il perché di questa proibizione è subito spiegato: è il maschio - il montone, l’ibex, l’uomo - che feconda, quindi solo i maschi possono/devono entrare. Un’esperienza importante, perché riporta al cristianesimo arcaico adottato dal mondo rurale, privo delle pesanti sovrastrutture dei riti e dei dogmi teologici imposti nei secoli successivi.
Chi è interessato al tema della capra - e non solo - consiglio vivamente la lettura de Gli indù, prezioso libro firmato da Wendy Doniger - un nome, una garanzia - tradotto da Anna Bertolino e pubblicato nel 2015 da Adelphi nella collezione Il ramo d’oro.





[1] Si veda il Vocabolario della lingua italiana dell’Istituto Treccani, II, D-L, p. 224, mentre altre informazioni locali le riprendo da San Gilles. L’abbatiale romane di Jean-Marie Marconot, RIRESC-recherches sociales, 2008.


Gilles, il greco, il figlio della capra.[1] Corro il rischio di ripetermi, ma il pensiero mi riporta ad alcune delle mie esperienze vissute deambulando, il più delle volte solitario, tra i monti dell’Himalaya indiano e nepalese per condividere vita miti e riti delle popolazioni abitanti le terre ai confini politici col Tibet, oppure vagando per il Caucaso o tra le vallate dell’America latina e le lande desertiche dell’Africa mediterranea, inseguendo i miti più antichi, dove il culto per le vergini dee madri, le pietre nere e i serpenti mi hanno insegnato l’importanza dell’intersecazione dei simboli forti delle corna col legno e col ferro. Sì, perché l’arcaico senso del sacro pretende che i templi debbano essere costruiti soltanto col legno del cedro, l’albero sacro in assoluto, e che il ferro sia l’unico metallo da utilizzare nei riti sacri. Più sacra ancora - retaggio mnemonico della scoperta che il fuoco si poteva utilizzare anche per nutrirsi e difendersi - è la pietra nera, quella rimasta a diretto contatto con la fiamma, quindi da questa resa pura. Aiyanar, il sasso nero infisso a mo’ di pene eretto nella Madre Terra, primo concetto antropomorfo di una divinità che mente umana ricordi, insegna. Non pochi millenni dopo arriveranno le madonne nere.
Restando al legno e al ferro, la teologia cristiana si è adeguata trasformando il padre putativo del Messia (Xristòs, in greco) da carpentiere (muratore, costruttore - masson in francese, termine adottato dai fratelli muratori o massoni) in falegname e facendo morire il Figlio inchiodato con tre chiodi di ferro a una croce di legno. Ancora una volta l’India precede i miti e i riti: migliaia di anni prima di Cristo un’altra divinità, Krisna (nome dalla radice simile a Xristòs), aveva vissuto una vita che ricorda sia quella Mosè che quella di Gesù: una madre vergine resa gravida dal verbo divino; la profezia che da lei nascerà il nuovo re destinato a spodestare il tiranno sul trono; l’abbandono del neonato, posto in una cesta di vimini lasciata trasportare dalla corrente del fiume; il suo ritrovamento da parte di una famiglia di pescatori, mentre sull’altra sponda imperversa la strage degli innocenti; una vita vissuta in famiglia, salvo emergere pubblicamente negli ultimi anni della sua breve esistenza, conclusa immolandosi per la redenzione del suo popolo, trafitto da tre frecce ad un albero. Una storia, questa, che aveva toccato il cuore delle tribù dei vaccari abitanti sulle terre bagnate dalla Yamuna, nel regno di Mathura.

Torno a san Gilles. Come ho già scritto, la Chiesa gallicana è stata fondata dai Greci, commercianti ed artigiani, ed è rimasta a lungo di rito orientale prima d’essere condotta alla chiesa latina soggetta al potere del vescovo di Roma e i monaci di Provenza in questo hanno avuto una loro importanza. A Costantinopoli, nel 402 il marsigliese Jean Cassien conosce Giovanni Crisostomo e i monasteri poi da lui aperti a San Victor di Marsiglia e sulle isole di Lérins ne risentono non poco: la loro resistenza alle novità apportate da Agostino l’Africano sono celebri. È un periodo dove il dissidio tra Oriente e Occidente è forte, tanto che nella diocesi di Arles il futuro san Césaire impone la predicazione ai preti “secondo i luoghi”, riservando ai soli vescovi il rituale romano.





[1] Dal Dizionario dei santi, UTET-TEA1989: Egidio. Ateniese, secondo la tradizione sarebbe passato in Francia tra i sec. VII e VIII, ed avrebbe fondato a Nîmes il monast. Benedett. dei Ss. Pietro e Paolo, presso il quale sorse poi la città di St. Gilles (forma franc. di E.). tra i Santi più noti e venerati del Medioevo (uno dei così detti Ausiliatori), ebbe in Roma 2 chiese. Festa 1/9.
Dal Dizionario Oxford dei santi di David H. Farmer, Franco Muzzio1987, traduzione di Luigi Zappalà: Egidio (Ægidius) (m. c. 710), eremita. Ciò che si conosce di questo santo, divenuto estremamente popolare nel Medioevo, è che nacque all’inizio del VII secolo e che fondò un monastero, nel luogo successivamente chiamato Saint-Gilles (Provenza), sulle terre donategli dal re Wamba. Il sepolcro divenne un importante centro di pellegrinaggio, anche perché situato sulla strada per Compostela e per la Terra Santa. Secondo una leggenda del X secolo (un insieme di prestiti da altre Vite) era nato ad Atene ed era diventato eremita alle foci del Rodano, non lontano da Nîmes, dopo essere stato attirato in quella regione dalla fama di Cesario di Arles. Durante una partita di caccia re Wamba stava inseguendo una cerbiatta: l’animale cercò rifugio presso Egidio nel momento in cui il re stava lanciando una freccia che andò, così, a colpire l’eremita, rendendolo zoppo. Un’altra leggenda narra che un imperatore (erroneamente identificato con Carlomagno) si fosse recato da Egidio per ottenere il perdono di un peccato che non aveva osato confessare; il giorno successivo, mentre diceva messa, Egidio apprese da un pezzo di carta scritto da un angelo la natura del peccato in questione: le preghiere del santo furono efficaci a tal punto che le lettere, a una a una, scomparvero dalla carta. Verso gli ultimi anni della sua vita Egidio andò a Roma e offrì al papa il monastero che aveva fondato (ottenendo, in questo modo, privilegi e protezione); il papa gli fece dono di due porte in legno che il santo gettò in mare e che il mare trasportò fino ad una spiaggia vicino al suo monastero. Dalla Provenza (chiamata provincia Sancti Aegidii) il culto di Egidio si diffuse per l’Europa, soprattutto per merito dei Crociati. Alla sua popolarità contribuì notevolmente la protezione di zoppi, lebbrosi e balie (quest’ultima credenza si basava sulla leggenda che raccontava dell’aiuto dato alla cerbiatta), e la supposizione che l’invocazione del santo fosse così efficace da rendere superflua la confessione auricolare dei suoi protetti. In Inghilterra erano dedicate a lui 162 chiese antiche e almeno 24 ospedali. Le chiese più famose in Gran Bretagna sono St. Giles ad Edimburgo e St. Giles, Cripplegate, a Londra. La sua festa era celebrata in tutti i monasteri benedettini e in larga parte d’Europa. Nelle rappresentazioni artistiche è raffigurato come un semplice abate con il bastone pastorale; esistono anche cicli della sua vita (nelle vetrate risalenti al XIII secolo a Chartres ed Amiens e negli affreschi della cripta di Saint-Aignan-sur-Cher) e immagini di avvenimenti che riguardano la protezione data alla cerbiatta (mensola dello stallo nella cattedrale di Ely) o la Messa di Sant’Egidio (National Gallery, Londra).
La diffusione della venerazione per il santo non impedì la decadenza del centro di culto, avvenuta nel tardo Medioevo, quando diminuirono le offerte fatte al sepolcro, principale fonte di sostentamento dei monaci. La comunità cercò di ristabilire le entrate con straordinarie esposizioni delle reliquie e con indulgenze papali. Almeno due famose fiere inglesi sono in relazione alla festa di Egidio: una, a Winchester, che ormai non si tiene più; l’altra a Oxford, che ha perso i connotati originali di compra-vendita dei prodotti locali ed è stata trasformata in luna-park. In Germania, alla fine del Medioevo, Egidio venne riconosciuto come uno dei quattordici santi protettori.
Le chiese a lui consacrate sorgono spesso nei pressi di incroci stradali: «i viaggiatori potevano visitarle mentre i loro cavalli venivano ferrati dai fabbri delle vicinanze, anch’essi protetti dal santo». Festa: 1° settembre.



La Vita scritta da Jean Stilting ci informa che Gilles è nato ad Atene verso l’anno 640, che i suoi genitori sono ricchi e che lui ha frequentato buoni insegnanti; che verso il 660 lascia la Grecia e che verso il 684 incontra a Toledo il re dei Visigoti. Apprendiamo anche che la sua santità è precoce: come il Cristo anche Gilles guarisce gli epilettici, i malati e salva le flotte dal mare in tempesta (in Francia, le onde grosse del mare sono anche dette chévres intese come le capricciose, quelle che saltano). L’imitazione continua: Gesù cammina sulle acque del lago di Galilea? Anche Gilles usa lo stesso metodo per andare velocemente a Roma e subito rientrare ad Arles.
Alla morte dei suoi genitori Gilles regala tutti i beni ereditati ai poveri e deciso a vivere una vita eremitica e non desiderando per sé alcuna dignità ecclesiastica, trova rifugio nella foresta “gotica” - terreno di caccia riservato al re dei Visigoti - che occupa il territorio dell’attuale comune di Saint-Gilles-du-Gard, a quel tempo bagnato dal mare.

Più sopra ho citato l’arrivo dei cacciatori e questo ha a che fare con la sua decisione di farsi sacerdote. Nella foresta, Gilles è l’amico degli animali: le cerbiatte gli offrono il loro latte, i cervi si lasciano accarezzare, i cani furiosi si placano di fronte a lui. Storie che Lamartaine metterà in versi nel suo poema Jocelyn, dove la Provvidenza insegna agli eroi
«À ravir le chevreau pendant qu’il tette encore,
Pour que sa mère aussi vienne, au cri de sa faim,
Tendre pour le nourrir sa mamelle à la main.»
Ed è per proteggere la sua cerbiatta prediletta dalle frecce scagliate dai cacciatori del re che Gilles resta ferito. Il re Wamba ritiene che il dono di un terreno sia il giusto compenso per il danno subito, ponendo una condizione: su quella terra vi sia costruita un’abbazia, condizione che obbliga Gilles ad accettare la tonaca di abate.
Intorno al 700 i Saraceni invadono queste lande e distruggono la primitiva abbazia. Provvede Carlo Martello a sconfiggere i mauri e a ricostruire la struttura monastica con una chiesa dedicata a san Pietro e agli apostoli. La dedicazione non è casuale: capita l’antifona, Gilles prende le distanze dalla Chiesa greca di Arles e pone i suoi monaci sotto la doppia protezione del vescovo di Roma e dei sovrani di Francia.
Vissuto a lungo per i suoi tempi, l’Egeo - figlio della capra, mago e grande conoscitore di erbe, muore attorno agli anni 721-725.


Per la città che porta il nome del santo altre date importanti sono:
- 817: il Concilio d’Aix la Chapelle riconosce “il monastero di S. Gilles nella valle flavienna” (Flavien era il nome che si dava il re dei Visigoti).
- Tra il 900 e il 1000: viene redatta la Vie de S. Gilles, testo che ha saputo mantenere il ritmo tipico della tradizione orale (scrivere come si parla).
- 1046: un documento officiale cita le sedi dei quattro grandi pellegrinaggi di quel tempo: “tanto le chiese della beata Maria e di san Pietro a Roma, che di S. Giacomo e di S. Gilles”.
- 1066: Almodis, la madre di Raymond IV affilia Saint-Gilles a Cluny, ma Roma mantiene i privilegi dell’abbazia (cfr.: la bolla d’Innocenzo II del 1132).
- 1116: le tre vecchie chiese sono distrutte e al loro posto sorge l’abbazia attuale, ricca di testimonianze dei tempi vissuti, con ispirazioni celtiche, romane, provenzali, bizantine e talvolta arabe, mentre le sculture del portale evidenziano l’influenza dell’Apocalisse giovanneo, arricchito dalle figure di animali tipici della foresta abitata da Gilles, ma anche (e soprattutto) dei legami esistenti tra i mitologici animali mostruosi che terrorizzavano queste terre, bestie immancabilmente domate dai santi della Chiesa romana.
- 1138 o 1139: Pierre de Bruys, accusato di eresia, viene bruciato vivo sul piazzale antistante la chiesa di Saint-Gilles. A questo crimine - come sempre approvato e impunito - faranno seguito la crociata contro i Catari, le epidemie di peste, le guerre di religione, la Rivoluzione del 1793, che tanti danni arrecheranno alla popolazione e alla struttura artistica.
- 1842: l’abbazia viene classificata monumento storico.
- 1865: Henry Revoil, architetto diocesano, ritrova nella chiesa inferiore la lapide tombale di sant’Egidio. Sebbene gli scarsi reperti ossei indicati come quelli di Gilles siano già dal 1562 a Toulouse, chiesa di Saint Sernin, i pellegrinaggi alla vuota tomba del santo riprendono.


© Testo e fotografie di Giancarlo Mauri
NOTA: per altre immagini inerenti al tema rinvio a
Il Tempio di Lanleff

 
Timpano nord: l'Epifania, la manifestazione di Cristo

Fregio superiore, lato sinistro

Timpano centrale:
la parusia, il ritorno di Cristo alla fine dei tempi

Fregio superiore, lato destro

Timpano sud: la morte gloriosa di Cristo sulla croce

L'arcangelo Michele

Matteo, Bartolomeo, Tommaso e Giacomo minore

Giovanni e Pietro

Giacomo il maggiore e Paolo

Quattro apostoli non identificati

Donna con vesti d'arcangelo (vestita di sole)

Leone che divora un uomo

Un caprone tiene testa a un leone

Le scimmie legate e il dromedario

Leone che divora un leone

I due sacrifici di Caino e di Abele

Caino uccide Abele

Leoni divoranti

Leoni divoranti, dettaglio

Leoni divoranti, dettaglio

David, il pastore musicista

Centauro che caccia - e un cervo

Chimera o Sansone - a dx un leone (sic!) che allatta

Davide decapita Golia

Orsi portanti

Orsi portanti

Atlanti

Atlanti

Leoni divoranti

Un leone divora un uomo




Mura del lato nord dell'abbaziale

I resti del vecchio coro

La scala a chiocciola

Sarcofagi romani

I resti del vecchio coro

lunedì 29 giugno 2015

Il Tempio di Lanleff


In uno sperduto villaggio bretone di non oltre cento abitanti, la ricerca mi ha portato a visitare un diroccato tempio di forma rotonda e con doppio muro per la deambulazione. Si è creduto per molto tempo opera dei Templari (e la Guida Verde Michelin continua tranquillamente a propagandare questo falso) - e questo perché gli archeologi del XIX secolo hanno definito, a torto, queste rovine “Tempio di Lanleff”. In realtà si tratta di una chiesa cristiana di stile romanico, fatta costruire al ritorno dalla prima crociata (1099) da un signore della regione, compagno d'armi del duca Alain Fergent. La sua pianta circolare - con dodici arcate a tutto sesto - s’ispira a quella della basilica del Santo Sepolcro di Gerusalemme (Anastasis), con un deambulatorio che circonda la rotonda e l'absidiola di sud-est, con volta a conca. A pochi metri di distanza da questa è stata trovata una fossa comune con reperti ossei.
Alcuni capitelli, molto deteriorati, sono stati rifatti ed esposti nel prato che circonda l’edificio. I soggetti scolpiti non mi hanno per niente meravigliato, anzi hanno confermato le mie aspettative: una coppia di animali (si vuole siano ovini) e una coppia di uccelli copulanti, un virile Adamo e la sua compagna Eva visti di fronte, un Adamo “pudico” che si copre con le mani. Gli angoli superiori sono decorati da volti umani arricchiti dalle corna del capro (cifrario: le “corna” di Mosé, ma anche le punte della corona reale e della mitra del vescovo, “corna” che mettono in simbolica comunicazione l’umano consacrato col divino).
Anche: una croce tombale scolpita nella pietra nera, col Cristo sostituito dal lògos. Tradotto, il testo recita: Questa croce s’innalza per l’anima del presbitero Iohannes morto la vigilia delle idi di agosto (il giorno 14).
A due passi dall’ingresso, l’immancabile sorgente con le acque raccolte in una vasca rettangolare, con la sua brava leggenda che vede una donna vendere la sua creatura al diavolo in cambio di tredici denari d’argento, poi rivelatisi così roventi da aver lasciato la loro impronta nella roccia da cui sgorga l’acqua sorgiva.
In sintesi: tutto, o quasi, quanto da me raccontato in tante conferenze, messo per iscritto e pubblicato in rete a questi indirizzi: Arles e la leggenda di St-Trophime e St-Gilles-du-Gard





INTEGRAZIONE (aprile 2021)

Richard Krautheimer. Architettura paleocristiana e bizantina
Penguin Book 1965 - Giulio Einaudi editore 1986, pp. 80-83

Gerusalemme.
Gli edifici postcostantiniani che sopravvivono a Costantinopoli sono per lo più fortificazioni e palazzi di data relativamente tarda. A Gerusalemme, invece, e in tutta la Terrasanta, sono giunti fino a noi resti di numerosi edifici ecclesiastici che risalgono ai decenni immediatamente successivi alla morte di Costantino. In gran parte sono stati eretti sui luoghi della vita e della passione di Cristo e sono quindi dei martyria, uguali come funzione a quelli costruiti da Costantino a Betlemme e sul Golgota. Ma a differenza di questi edifici costantiniani, i martyria tardo- e postcostantiniani della Palestina evitano la fusione di un edificio a pianta centrale con una navata basilicale: l’edificio a pianta centrale diviene autosufficiente. Sotto questo aspetto i martyria della Terrasanta sono le controparti della chiesa costantiniana dei Santi Apostoli di Costantinopoli. Infatti edifici con pianta a croce presumibilmente costruiti sul modello della chiesa costantinopolitana esistevano già tra i martyria della Palestina e dei paesi vicini. Un pellegrino del VII secolo, Arculfo, ci ha lasciato la pianta e una sommaria descrizione di uno di questi edifici, costruito, probabilmente prima del 380, sopra il pozzo di Giacobbe presso Sichem (Shéchem) dove Cristo parlò con la Samaritana.
In Palestina tuttavia i martyria cruciformi erano certamente un’eccezione: di regola in Terrasanta erano degli edifici circolari isolati, il cui ovvio prototipo era la Rotonda dell’Anastasis di Gerusalemme. Costruito in massicci blocchi di pietra squadrati, l’edificio copriva il sepolcro da cui Cristo era risorto (di qui ’Anastasis ‘Resurrezione’) e fronteggiava, all’estremità occidentale di un cortile poco profondo, circondato su tre lati da portici, l’abside della basilica-martyrium di Costantino. Forse prevista fin dall’inizio, ma evidentemente non ancora completata nel 336, sembra fosse già in uso intorno al 350; nonostante le numerose trasformazioni, la sua pianta originaria è stata ricostruita nelle sue linee essenziali. Un prospetto rettilineo, in cui si aprivano portali, si affacciava sul cortile in cui sorgeva la rocca del Calvario. All’interno, l’Anastasis fu sviluppata come un’imponente rotonda di 33 metri e 70 di diametro col vano centrale circondato da un deambulatorio di forma irregolare. Proprio al centro dell’edificio, come suo punto focale e sua ragion d’essere, si levava il cono del sepolcro di Cristo sormontato dal baldacchino costantiniano. Il vano centrale era circondato da venti supporti che sostenevano archi pur se probabilmente mancavano due pilastri dove, a oriente, si inseriva la facciata. Idealmente, colonne e pilastri erano raggruppati, probabilmente fin dall’inizio, in gruppi di quattro. Coppie di pilastri sull’asse principale formavano una croce; le colonne sulle diagonali erano raggruppate in triadi, simboleggianti, nell’interpretazione dei padri della Chiesa, i dodici apostoli e le quattro estremità del mondo alle quali essi recavano il quadruplice messaggio della Trinità. Il deambulatorio, semicircolare e con tre nicchie aggettanti, circondava la metà occidentale del vano centrale, terminando in spazi rettangolari presso la facciata. Una galleria che correva al di sopra del deambulatorio offriva posto anche al fedele che non fosse riuscito a trovarlo a pianterreno. Infine, sopra la fascia dei finestroni, c’era una cupola. Può darsi che si trattasse di una struttura in legno e che, per quanto la cosa non sia certa, fosse aperta al centro come nel tetto dell’ottagono che sovrasta la grotta di Betlemme. L’insieme era disarmonico, le colonne robuste e sollevate su alti plinti, i muri eccezionalmente pesanti.
La Rotonda dell’Anastasis chiaramente si colloca in una tradizione tardoantica con forti accenti classici. Che i capitelli delle colonne e i profili dei loro alti plinti fossero o meno classici come le antiche riproduzioni farebbero supporre, la pianta è radicata nella tradizione dei mausolei e degli heroa imperiali. La cosa è perfettamente naturale in un edificio destinato ad accogliere il sepolcro e a commemorare la resurrezione (verrebbe fatto di dire l’apoteosi) di Cristo, il Basileus del Cielo, il Sole Risorto. Vien fatto di ricordarsi dei grandi mausolei-heroa della Roma imperiale: quello di Elena, quello di Diocleziano a Spalato, infine il mausoleo di Costantina, il quale, come l’Anastasis, era circondato da un deambulatorio interno. È indubbio che le stesse fonti sono servite all’architetto di Santa Costanza e a quello dell’Anastasis. Infatti ci si chiede se i martyria circolari a sé stanti della Terrasanta, dei quali la Rotonda dell’Anastasis è il primo e più cospicuo esempio, non si debbano interpretare come parte di un movimento di rinascita dell’epoca tardo- o postcostantiniana. In antitesi alla fusione di pianta basilicale e pianta centrale i martyria isolati riaffermano la tradizione del mausoleo-heroon imperiale.
La Rotonda dell’Anastasis non è l’unico edificio di questo tipo tra i martyria della Terrasanta. Scavi condotti sul Monte degli Ulivi hanno messo in luce alcuni dei muri dell’Imbomon, il santuario fatto costruire nel 370 dalla patrizia romana Pomenia per ricordare il luogo in cui Cristo era salito al Cielo. È stata ritrovata una parte del muro circolare esterno (da cui risulta, per la rotonda, un diametro di circa 18 metri) insieme con i resti di un colonnato esterno. All’interno gli antichi pellegrini vedevano un altro colonnato, cioè un deambulatorio, forse a due piani. Il deambulatorio correva intorno a un vano che racchiudeva la roccia con le impronte di Cristo al momento dell’ascensione. Questo vano centrale o non aveva alcuna copertura, oppure il suo tetto in legno, probabilmente di forma conica, si concludeva in un grande foro. Verso oriente, zona presbiteriale e abside, che partivano dal vano centrale, sembra tagliassero il deambulatorio. Comunque l’Imbomon rappresentava una variante della pianta dell’Anastasis. Né era l’unica variante. Un santuario molto simile all’Imbomon è stato messo in luce da scavi a Beisan (Scitopoli) nella Palestina settentrionale; senza dubbio era un martyrium, ma l’avvenimento che esso commemorava o la reliquia che vi era custodita rimangono ignoti. Martyria del genere, a pianta centrale, di forma circolare o poligonale, compaiono in altre varianti nei luoghi santi della Palestina: probabilmente sopra il Sepolcro della Vergine nella Valle di Giosafat fuori di Gerusalemme; certamente in una chiesa che l’imperatore Zenone (474-75, 467-91) dedicò alla Vergine sul monte Garizim (Gerizim) presso Sichem, che è di pianta ottagona anziché circolare e accoglie una reliquia del Calvario.
Fuori della Terrasanta, «copie» dell’Anastasis e di sue derivazioni furono frequenti nell’Europa medievale, però sembra siano state relativamente rare nel mondo cristiano del IV e V secolo. Un esempio che viene fatto di ricordare è la chiesa dei Santi Carpo e Policarpo a Costantinopoli: ne sopravvive solo la sostruzione circolare, ma da essa si indovina chiaramente, al livello del suolo, un edificio composto di vano centrale con cupola e di deambulatorio, interrotto questo da una zona presbiteriale e un’abside, il tipo di muratura suggerisce una data intorno al 400 e la pianta, nonché la tradizione locale, fanno ritenere che la chiesa fosse una copia relativamente precoce dell’Anastasis.

LE FOTOGRAFIE DI
GIANCARLO MAURI
22 giugno 2015