domenica 30 agosto 2015

Saint-Geosmes, o I Tre Santi Gemelli


Il tempo mi ricorda un fiume himalayano: scorre sempre troppo rapidamente, direzione foce ...e ogni sosta è impossibile. Dico questo perché mi pare ieri e invece son passati almeno vent’anni dalla mia prima volta a Saint-Geosmes, un paesello di circa 500 abitanti che l’espansione edilizia ha ormai unito a Langres, cittadina di 9600 abitanti, dipartimento dell’Alta Marna, regione Champagne-Ardenne, Francia.
In compagnia di mia moglie, a Langres ero arrivato seguendo due piste: la prima, più impegnativa, ci portava a degustare gli ottimi ed economici (vent’anni fa lo erano ancora, oggi non saprei) champagne de la maison suggeriti dai ristoratori - liquidi che poi smaltivamo pedalando pedalando, spingendo le nostre Cinelli Passatore appesantite da quattro borsoni, due davanti e due dietro (io anche la tenda e i sacchi letto per eventuali soste extra-urbane). La seconda, più facile da gestire, prevedeva la visita di vecchi borghi non toccati dal becero turismo all-inclusive, inoltrandoci nei tortuosi meandri della loro storia - e in aggiunta alle sue chiese e alle vecchie case Langres ha da offrire al viandante un qualcosa in più: qui, nel 1713, è nato l’enciclopedista Denis Diderot, come una statua ricorda.

Arriviamo che è primo pomeriggio, quindi l’ora giusta per cercare un alloggio, fare una doccia e prepararsi alla visita della città. Entro in qualche albergo ma niente mi stimola. M’informo e imparo che appena usciti da Langres vi è il villaggio di Saint-Geosmes, con un piccolo hôtel rinomato per il suo ristorante. Inforchiamo le nostre bici e partiamo. In quegli anni l’Hôtel des 3 Jumeaux era una piccola struttura più alta che larga, proprio di fronte ad un allevamento di bovini che saturava l’aria col suo forte odore di stallatico. Monsieur ci consegna le chiavi di una stanza all’ultimo piano - la migliore, dice - e ci riserva un tavolo per la cena. Piacevoli esempi di professionalità, anche se quel giorno saremo gli unici clienti sia dell’albergo che del ristorante. Ricordo un’ottima cena accompagnata da una bottiglia di pregevole Champagne rosé de la maison.
Tra una portata e l’altra, Monsieur risponde ad alcune mie domande: perché questo nome curioso “i tre gemelli”, ma soprattutto - e subito imparo che la faccenda non è disgiunta - la storia della chiesa eretta all’ingresso del villaggio, la cui architettura lascia supporre un glorioso passato. Come sempre accade, lui non va oltre alle solite storie ascoltate oralmente, fiabe “tradizionali” diventate verità rivelata. Chiedo se domani mattina noi due avremo la possibilità di visitarla, visto che oggi abbiamo trovato la porta chiusa. Lui afferma di conoscere la signora che ha in custodia le chiavi e che vedrà di fare il possibile per accontentarci. È estate, fuori fa caldo e l’odore dello stallatico è decisamente forte. Meglio restare dentro al ristorante e aspettare l’ora di salire in camera sorseggiando del buon Marc de Champagne.

Il mattino dopo, mentre siamo intenti ad espletare il rito del petit-déjeuner (e prima di vestire gli abiti da ciclo-turista, che prevedono pantaloncini rinforzati nella parte a contatto con la sella ma privi di un posto dove alloggiare i maschili pendentifs) Monsieur ci comunica d’aver già incontrato la signora incaricata delle pulizie, la quale ha promesso che quanto prima sarà da noi con le chiavi della chiesa - e così è. Lei ci accompagna fino all’ingresso della struttura, ne apre il portone, poi mi consegna le chiavi dicendo che non può trattenersi oltre ma che noi possiamo prenderci tutto il tempo che vogliamo (ricordo perfettamente la sua frase: prenez votre temps, monsieur), salvo poi chiudere la porta e riportare le chiavi alla reception dell’albergo. Ovviamente, prima di lasciarci provvede ad aprire il cancelletto d’accesso alla cripta e premere l’interruttore della luce. Noi ci troviamo padroni della chiesa, con lo scurolo a nostra completa disposizione - e seguendo il consiglio di Madame ...ci prendiamo tutto il nostro tempo.

* * *

Settembre 2013. Siamo di nuovo in Francia, ma con l’auto stavolta. Dopo una rivisitazione dei preziosi reperti merovingici custoditi nel Museo di Metz e dopo una sosta a Verdun, che vanta una bella quanto ignorata cattedrale, imbocchiamo la strada che porta a Digione, la nostra prossima meta. Langres è sulla nostra strada e Saint-Geosmes pure, dove decido di fermarmi per scattare qualche foto in digitale. Coincidenza vuole che proprio in quel momento vedo alcune persone entrare in chiesa; a me non par vero di poter rivedere quella meraviglia e subito li seguo. Una volta dentro spiego loro i miei interessi culturali, chiedendo di poter accedere alla cripta. Mi sento rispondere che sono un uomo davvero fortunato: la porta viene aperta solo per le (rare) occasioni religiose e che loro oggi sono lì del tutto casualmente, giusto per addobbarne l'interno in vista di un matrimonio che si celebrerà il giorno dopo. L'imminente sposa mi apre il cancelletto delle scale che scendono alla cripta, mi accende la luce e …prenez votre temps, monsieur.
A differenza di tanti anni fa, stavolta il fattore sorpresa non gioca a mio favore. So cosa mi attende. L’unica differenza è che al tempo della mia prima visita nella cripta erano in corso degli scavi archeologici, il soffitto era puntellato da travi, la luce decisamente scarsa. Oggi gli scavi sono terminati, il pavimento è stato sistemato, una passerella di legno contornata da parapetti - che ritengo invalicabili per i turisti che aderiscono alle visite guidate proposte nei mesi estivi dall’Ufficio del Turismo di Langres - porta al centro della cripta, dove alcuni riflettori illuminano la scena. Ancora una volta lo scurolo è tutto per noi …e io ho nuove motivazioni per scattare altre immagini, rigorosamente a mano libera e senza l’uso del flash: gli scatti devono riprodurre quello che l’occhio vede.
Delle tre sepolture un tempo furbescamente portate alla luce oggi una sola è visibile: è di pretto stampo merovingico - come già scritto in un altro articolo, sono stati loro ad inventare la bara larga alle spalle e stretta ai piedi, la stessa ancora in auge ai nostri giorni. Poi mi dedico alle colonne, decifrando i decorati capitelli. Giro, assaporo l’atmosfera, scatto foto, esco in superficie. Riossigenato ridiscendo nella cripta per un nuovo giro, sempre oltre i parapetti ma rispettoso del terreno che calpesto. Di fatto, metto in pratica quello che mi insegnato Antonio Thiery: prima di commentare uno scritto lo si deve leggere almeno tre volte, un principio che vale per ogni opera dell’ingegno umano.



Tra i molti scritti che hanno trattato la storia della cripta, della chiesa superiore e della leggenda di Saint-Geosmes ne suggerisco due - le fonti da me utilizzate -, a cui rinvio per ogni approfondimento:
1) Recherches historiques et statistiques sur les principales communes de l’arrondissement de Langres, stampato da Sommier, Langres 1836.
2) Études sur les monuments religieux du diocèse de Langres, par l’abbé Godard Saint-Jean, testo inserito nel Bulletin monumental ou Collection de mémoires ecc., publié par M. De Caumont, Paris 1847.

La leggenda vuole che nel corso del secondo secolo dell’era cristiana san Bénigne, inviato da san Polycarpe vescovo di Smirne a convertire i Galli, arriva ad Autun dov’è ricevuto da sant’Andoche e da un senatore cristiano di nome Faustus. Utilizzo i nomi alla francese non per spocchia intellettualoide bensì perché questi sono “santi-vescovi” tipicamente francesi e come tale vanno trattati - e in Francia a quel tempo essere vescovo ed essere santo era un tutt’uno già in vita. Il senatore consiglia a san Bénigne di portarsi a Langres, dove vive una sua sorella Léonille, nonna di tre gemelli rimasti orfani dei genitori in tenera età, i cui nomi sono Eléosippe, Méleosippe e Speleosippe (o Speusippe), creature allevate da maestri pagani. San Bénigne si dedica alla loro conversione al credo dei cristiani con tanta devozione che per affermare urbi et orbi la loro nuova fede i tre giovincelli trovano giusto rovesciare la statua di Némésis, la divinità tutelare di Langres, e bruciare le statue degli idoli altrui. Denunciati, vengono portati davanti a tre giudici, i cui nomi sono Hermogènes, Palmatus e Quadratus, un fatto che il diffusore di questa leggenda - Warnaharius o Varnier o Garnier, canonico di Langres verso l’anno 600 - vuole datare tra l’anno 179 e il 180, anni che cadono sotto il regno di Marco-Aurelio.
Interrogati dai tre giudici i tre gemelli confermano le accuse. La condanna a morte è inevitabile e i tre giovani vengono portati fuori dalla città e nel luogo detto Urbatus o Urbatum - il punto dove s’incrociano due strade romane: quella che da Alise porta ad Autun e quella che da Lyon porta a Genève - viene eretta la pira su cui dovranno essere arsi vivi (una buona abitudine ripresa dagli Inquisitori). Spogliati dei loro abiti, i tre vengono appesi con delle corde ai rami di un albero per l’immancabile “strappo” utile al loro pentimento. Mostrandosi indecisi a non tradire il nuovo credo, i tre vengono gettati sulla pira dove il fuoco brucia le corde che lega loro le mani e i pedi. Anziché tentare di salvarsi, i gemelli si riuniscono al centro del rogo intonando canti di lode al loro demiurgo (che ricordo essere quello proprio del popolo ebreo, rivisto e corretto) e tutto questo può accadere perché LUI ha deciso che le fiamme siano fredde: scoppiettano ma non bruciano.
Terminati i canti, i tre gemelli chiedono all’ebraico Dio (perché non al Cristo visto che si definiscono cristiani?) di permettere il loro sacrificio e benignamente lui li accontenta: i loro corpi integri cadono al centro del rogo, le loro anime salgono al cielo. Spento il rogo, ritiratisi i giudici e gli spettatori, durante la notte qualche cristiano ricupera i corpi per dare loro degna sepoltura a non molta distanza dal luogo del supplizio- ed è lì che poi sorgerà la chiesa dedicata ai Santi-Gemelli.

Può la saga finire qui? Certo che no e la fantasia di Warnaharius - che scrive tutto questo in una lettera indirizzata a san Ceraume vescovo di Parigi - ha altro da aggiungere. Dunque: Néon, lo scrivano che fungeva da segretario ai tre giudici, sconvolto dalla decisa professione di fede esibita dai tre gemelli si rifiuta di continuare a redigere le tavolette dell’interrogatorio. Passato il suo lavoro al collega Turbon, di fronte ai giudici si professa pure lui cristiano: lapidato sul posto. Vedendo i giovani avviarsi sereni al rogo una donna di nome Junille affida ad altri il neonato che tiene in braccio, si precipita in mezzo alla folla e ignorando le suppliche di suo marito urla di essersi convertita tout-court al cristianesimo: la appendono per capelli ad un albero e poi le tagliano la testa. Vedendo tutto questo, il già citato Turbon molla di colpo il suo lavoro di scrivano e urla pure lui di essersi convertito: terzo martire.  Per Warnaharius tutti questi fatti sarebbero accaduti il 17 di gennaio ...di oltre quattro secoli prima.


La storia non finisce qui. Si vuol credere che i cristiani costruissero verso l’anno 200 un piccolo oratorio sopra la tomba dei tre santi gemelli e che due secoli dopo i loro corpi siano stati esumati ed esposti per essere venerati in una piccola chiesa costruita sopra il primitivo oratorio, mutato in cripta. Nell’anno 600, ovvero ai tempi in cui scriveva Warnaharius, questa chiesa era stata ampliata, assumendo il titolo di basilica, ovvero la chiesa destinata al culto dei morti, di norma circondata da un cimitero o, più spesso, costruita laddove vi era un preesistente cimitero. E qui, a Saint-Geosmes, vale la seconda, come dimostrato da recenti scavi archeologici che hanno portato alla luce numerose sepolture risalenti ai tempi della presenza romana. In seguito, nei pressi della chiesa dei Saint-Geosmes venne costruita un’abbazia, struttura che nell’830 Albéric vescovo di Langres amplia al fine di accogliere dieci canonici e un prevosto. Nell’occasione, lo stesso Albéric farebbe abbattere la vecchia chiesa dedicata ai tre gemelli per sostituirla con una nuova. Uso il dubitativo perché scrivendo di questo aggiunge De Caumont: Ma siccome nessun documento storico parla di una costruzione posteriore, è evidente che la chiesa attuale fu elevata all’inizio del XIII secolo.
Il 19 aprile 859 l’abbazia ospita un concilio presieduto da Remy arcivescovo di Lyon e da Agilmar di Vienne, assistiti da Eblon di Grenoble e sotto la supervisione del re Charles-le-Jeune, figlio dell’imperatore Lothario. Tra i canoni emanati alcuni meritano di essere ripresi: l’8° indica che la promozione di un vescovo compete al solo giudizio del metropolita e dei vescovi dei paesi vicini, mentre il popolo non può avere alcuna parte nella sua elezione. Il 10° vuole che i principi e i vescovi istituiscano scuole pubbliche per l’insegnamento delle sacre scritture, ma solo nei luoghi dove vi sono insegnanti che il clero ritiene capaci. Nell’occasione Isaac vescovo di Langres fa introdurre un inasprimento delle punizioni da elargire ai peccatori della sua diocesi, imponendo il cilicio di spine sulla testa per i peccati “normali”, la galera da 5 a 7 anni dietro la porta della chiesa per i peccati più gravi. Chi vuole rendere meno pesante la vita a questi condannati può loro portare del vino, ma solo dopo aver versato due denari al clero.

Nell’anno 886 Albéric vescovo di Langres rimpiazza i canonici di Saint-Geosmes con dei benedettini; ci restano poco e i canonici rientrano al loro posto. Nell’anno 940 arriva la più che generosa donazione di Hugues conte di Basigny: siccome suo figlio Gotzelin ne è l’abate, lui, il padre, offre all’abbazia 8 meix (abitazione rurale con stalle, campi, orto e giardino) nel villaggio di Forcey nella contea d’Andelot; 240 meix e un mulino nella contea di Bologne; dieci meix coi loro abitanti ad Angoulancourt, nonché la chiesa e la curia di Saint-Pierre de Thivet. Una manna.
Nel 1126 Willelm vescovo di Langres ordina ai canonici di Saint-Geosmes di seguire la regola di sant’Agostino, imposizione confermata nel 1131 da papa Innocenzo II. Nei secoli altre ricche donazioni s’accumulano, rendendo questa abbazia (oggi scomparsa) decisamente ricca e importante.
Il declino inizia con Luigi XIV, che unisce il priorato di Saint-Geosmes all’abbazia di Notre-Dame-aux-Nonains di Troyes, mentre più tardi Gilbert de Montmorin vescovo di Langres ottiene l’estinzione dei canonici, destinando i loro beni immobili e gli introiti pecuniari al seminario di Langres.
Concludo: la facciata e il campanile della chiesa sono della fine del XVIII secolo, epoca in cui la lunghezza della navata è stata ridotta di un terzo.

* * *

Per quanto riguarda la cripta ecco quanto ha scritto il De Caumont, qui da me liberamente tradotto: Scendiamo nella cripta tenebrosa, che riempie l’anima d’una santa riverenza e d’una emozione che non possiamo né vincere né definire. Sedici colonne monocilindriche in pietra calcarea sostengono le volte di tre navate; compresa la base e il capitello esse sono alte 2 m e 7 cm, l’altezza sotto la volta del caveau è di 2 m 53 cm, la larghezza totale è di 6 m 27 cm. […] In paese si ricorda che durante la rivoluzione, quando la chiesa era diventata l’ospedale Geôsmes, nella cripta vi erano le latrine!
Quanto all’età della cripta non osiamo avanzare un parere, tuttavia, considerando il lavoro grossolano dei capitelli, delle cattive modanature e delle teste di animali malamente scolpite, riteniamo che essa risale a un tempo più lontano rispetto alla basilica.

Non meravigliamoci più di tanto di queste critiche: nell’Ottocento tutto ciò che esulava dai canoni dell’arte greco-romana appariva brutto …e a pensarci bene, anche oggi molti professori da salottino sostengono questa tesi: quanto avrebbero da imparare se non fossero così impegnati a sparare strapagate cazzate in TV.

© TESTO E FOTO DI
GIANCARLO MAURI





 






















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