martedì 15 dicembre 2020

Elio Vittorini, Ginetta Varisco, Edgar Morin ...e Giordano Bruno


In un mio precedente post - Elio Vittorini, Ginetta Varisco e Gregor von Rezzori - mi crucciavo di non essere riuscito a ritrovare le pagine in cui erano citati i nomi di Elio Vittorini e Ginetta Varisco. Questo accadeva nel gennaio 2017.
Ora, quasi 4 anni dopo, Raffaello Cortina pubblica I ricordi mi vengono incontro di Edgar Morin. En passant, sfogliando l’indice dei nomi, a pagina 707 che ti ritrovo? Vittorini, Elio seguito da Vittorini, Ginetta. Sorvolo sul refuso (Ginetta non era la moglie di Vittorini) e vado subito alle pagine indicate, dove leggo le stesse parole che tanto inutilmente avevo cercato quattro anni fa, consultando pure un altro libro di Morin: La mia Parigi, i miei ricordi.
Misteri dell’ungia incarnida avrebbero detto i miei vecchi (ma anche: al me par un prublema del gatt...).
Completo il discorso iniziato nel 2007 mettendo in rete i brani ritrovati.



pp. 353-357

Da Parigi mi era arrivata una lettera dal partito di Action, molto attivo e indipendente durante la Resistenza ma che resistette solo poco tempo dopo la Liberazione, sommerso dal partito comunista e dal partito socialista. Avevano letto, non so come, il mio articolo “Notre collaboration” che avevo pubblicato in Germania quando ero capo della propaganda del governo militare francese, e lo avevano pubblicato loro nel giornale Non mollare. Fraternizzo con loro a Firenze.
A Roma, trovo un piccolo hotel, un po’ squallido ma piacevole, vicino a Campo dei fiori, l’Albergo del Sole, e di nuovo mi incantano la città, le sue strade, le piazze del centro storico, il Vaticano, la cappella Sistina, mi innamoro perdutamente di Campo dei fiori con il suo mercato popolare, le sue trattorie e la nobile statua di Giordano Bruno.






















I nostri soggiorni sono intensi e precipitosi: una settimana a Firenze, una a Roma, una a Venezia. Ci alziamo presto per visitare, camminare, ammirare, e andiamo a letto tardi per godere al massimo del nostro soggiorno, non siamo mai sazi di contemplare, di estasiarci di questo paese che ci sembra magico in ogni suo aspetto.
Non parlo della settimana a Venezia, cosa potrei dirne che il già stato detto e ridetto e che, malgrado banalizzazioni e ripetizioni resta vero?
Avevamo scelto per la fine della vacanza il piccolo porto di Torri del Benaco, sul lago di Garda. Era stata Clara Malraux a indicarci posto di villeggiatura poco conosciuto dove aveva soggiornato André Gide. C’era solo un piccolo albergo a Torri, ed ero stato molto commosso dal dolce viso di un innocente ancora molto giovane: si era creato tra noi un legame affettuoso benché non ci fossimo scambiati sola parola. Ricordo una gita in barca con Violette sul lago tranquillo. All’improvviso, ci si abbatté addosso un’esplosione brutale di tempesta, e onde sempre più alte agitarono l’acqua. Remai con tutta la mia energia verso la riva urlando: “Si alza il vento, bisogna tentare di sopravvivere”.
Nel pullman che ci portava a Torri, facemmo conoscenza con un’amabile giovane donna, Michèle Gordon, di cui più tardi venimmo a sapere che era figlia di Hélène Gordon Lazareff. Si recava nel paese vicino di Malcesine e ci rivedemmo spesso, soprattutto in occasione dell’elezione di Miss Malcesine, organizzata da una marca di dentifricio in cui, non so come, mi ritrovai membro della giuria.
A Parigi, alla fine del 1947, credo, Marguerite Duras e Dionys Mascolo, e Elio e Ginetta Vittorini si conobbero e diventarono amici intimi, fu un vero colpo di fulmine, analogo a quello che aveva legato me a Dionys e Marguerite. Vittorini era uno scrittore comunista, direttore della rivista Il Politecnico, in cui non c’era posto per il dogmatismo, il fanatismo e l’oscurantismo che aveva provocato a quell’epoca l’importazione dello zdanovismo in Francia. Per sottolineare la nostra opposizione a questa linea culturale che il partito cominciava a imporre, Dionys e io facemmo un’intervista con Elio per Les Lettres françaises, in cui il nostro amico proclamava con fermezza che il fronte della cultura andava distinto dal fronte della politica e che, per lui, comunismo significava protestantesimo e non cattolicesimo. Riferisco l’episodio in questa sede per dire che, perfino dopo la mia scomunica da parte del partito comunista francese, potevo intrattenere relazioni molto amichevoli con comunisti italiani, dirigenti o militanti, e che ho sempre, fino a poco tempo fa, amato andare alle feste dell’Unità per cantare e ballare con i compagni.
Durante l’estate 1947 o 1948 Dionys, Robert e Marguerite avevano raggiunto per le vacanze Elio e Ginetta a Bocca di Magra, piccola stazione balneare ligure, vicino a La Spezia, alla foce del fiume Magra vicino a Lerici. Arriviamo alla nostra residenza a bordo della 4cv e alcune persone ci dicono che sono in spiaggia. Ci andiamo, indossando il costume da bagno e io nuoto per cercarli. Scopro la testa di Dionys, mi avvicino senza che lui se ne accorga ed esclamo: “Chi è questo tritone?”. Ci abbracciamo nell’acqua e la sera andiamo in un ristorante all’aperto di fronte a Lerici, dove Marguerite è tutta felice di farci gustare gli spaghetti alle vongole che lei stessa ha scoperto in quel luogo. Ricordo quei giorni felici senza altri dettagli: solo il mare e gli spaghetti alle vongole. Ciò mi fa venire in mente le nostre vacanze a Saint-Tropez degli anni 1947-1950, in una casa o in una villa dove si ritrovava la nostra piccola comunità di rue Saint-Benoît.

pp. 146-147

Ogni volta che mi fermo a Parigi, dove dormo in rue Saint-Benoît, evoco i miei soggiorni nelle diverse zone occupate, le città in rovina, le popolazioni sconvolte. Robert [Antelme] mi chiede di fare un libro sulle mie esperienze per la Cité universelle. Così sollecitato, mi metto a scrivere. Pensiamo al titolo. Robert aveva trovato per il suo libro sulla deportazione che aveva subito il titolo L’anno zero, ma poi lo aveva abbandonato per La specie umana (capolavoro di cui Courtade mi dirà, quando lo esortai a parlarne in Action, con il suo sorriso beffardo: “Vedi, Edgar, non è letteratura”, senza comprendere che la vera letteratura si fa beffe della letteratura). Trovo che L’anno zero della Germania è perfetto per il mio libro, e Robert mi fa dono del suo titolo. Scriverò febbrilmente questo libro a Baden-Baden, con Violette che mi aiuterà a mettere in luce la mia tesi consistente nel rifiutare l’idea di una colpevolezza collettiva del popolo tedesco, ancora dominante a quell’epoca.
Durante questi mesi, il mio legame con Marguerite e Dionys si rafforza e include Robert. Quando Violette e io decidiamo di rientrare in Francia nell’aprile del 1946, ciò coincide più o meno con la pubblicazione de L’anno zero della Germania. Marguerite ci propone di abitare nel suo appartamento di rue Saint-Benoît, dove c’è una stanza per gli ospiti libera oltre a quella occupata da Robert. Quando Dionys si ferma per la notte, io dormo sul divano.
Sono entrato nel sistema gravitazionale di questo trio straordinario che non è un “ménage à trois” ma un triplo nodo d’amore; io sono l’elettrone satellite che resterà più vicino a questo trio finché durerà, e al quale si aggiungerà Elio Vittorini.


Come ho detto, Marguerite aveva sposato Robert poco prima della guerra; il loro legame resterà forte e l’amore di Marguerite per Robert si amplificherà durante la sua assenza. Marguerite, un giorno in cui mi aveva chiesto il numero massimo di volte in cui avessi fatto l’amore di seguito, mi rispose, quando le rivolsi a mia volta la stessa domanda: “Dodici”, suscitando la mia ammirazione. I loro rapporti fisici sparirono o si attenuarono dopo il parto di un bambino nato morto. Durante l’Occupazione, lei era responsabile della distribuzione della carta agli editori. Dionys venne un giorno a farle una richiesta da parte di Gallimard e lei ne fu abbagliata. Dionys aveva un bel viso che pareva modellato da uno scultore ateniese ai tempi di Prassitele. Uno sguardo diretto e attento, una serietà appena temperata da un sorriso molto lieve, una maniera di parlare precisa ed elegante. Il suo viso restò a lungo giovane, mentre quello di Marguerite perdeva smalto via via che invecchiava. Comunque, negli anni anni 1945-1950, era al culmine della sua bellezza, con un non so che di eurasiatico, un ovale perfetto, una bocca carnosa e ben disegnata, grandi occhi belli. Aveva un corpo gracile da adolescente, seni piccoli; tutta l’intensità dell’attrazione che esercitava, del fascino che emanava dal suo essere, era nel viso.