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domenica 22 agosto 2021

Il rito dell'aarti a Rishikesh


22 AGOSTO 2000. Lasciata Haridwara, con un’auto presa a noleggio in breve tempo siamo a Rishikesh, la “città dei rishi”. Dal 1988 in poi, oggi è l’ennesima volta che metto piede su questi ghats, ma la continua evoluzione in corso - adesso l’India vive un frenetico turismo interno - me li rende sempre attuali. Di nuovo è il dozzinale monumento, specie di limite territoriale che separa i ghats dal villaggio di tende e capanne che invadono le ghiaie lasciate libere dal fiume in tempo di magra. Non vorrei essere lì il giorno che una piena scenderà a valle, spazzando tutto, case e esseri umani.

Riprendo da Ritorno alle sorgenti, di Lanza Del Vasto, un libro uscito in Francia nel 1943 (poi arrivarono i Beatles e tutta la spiritualità è finita nei forzieri delle banche...):


Hriscikèsh, Aprile. - Hriscikèsh si trova sul Gange un po’ più in alto, nel punto dove il fiume esce dalle gole dell’Himalaja, i cui contrafforti chiudono, dalle due parti, l’orizzonte.
È questa la città degli uomini che hanno rinunciato al mondo. I tre quarti degli abitanti portano la veste rossa degli anacoreti. Si saluta per strada con la sillaba Aum.
Non vi sono case in questa città. I muri nascondono cortili circondati da portici sui quali si dischiudono file di porte sempre aperte sull’oscurità degli interni. Son questi i rifugi dei religiosi erranti. Essi accendono dappertutto i fuochi per la meditazione, per l’offerta, o per la cucina; vanno e vengono col bambù e il vasetto dell’acqua.
Al calar del sole tutti quanti si accoccolano sulla pubblica piazza per la lettura cantata, il commento d’un maestro e la preghiera comune.
Gonfaloni gialli sventolano a festa ogni giorno sulle cupole del Tempio.
Sono ospite del Mahât, Pontefice del Tempio e capo religioso della regione. Molti uomini di Dio son venuti a visitarmi, trattandomi con quella reverenza che ritengono dovuta a chi viene da lontano in cerca di verità. Ma tanti omaggi mi pesano.
Mi chiedono a che punto io sia. La geografia del continente spirituale è qui conosciuta da tutti. Dalle fatiche della prima ginnastica, dalla vertigine delle prime respirazioni forzate, fino alla estasi perpetua e definitiva, tutte le strade sono battute, e tutti gl’incroci hanno un nome, tutte le tappe un’ubicazione. Commentano le mie risposte, scuotendo il capo come medici in un consulto. Mi chiedono di denudare il petto, perché sul petto il fuoco spirituale lascia segni evidenti per quelli che hanno occhi per vedere. Scosto la sciarpa e sto davanti a loro come la foglia che, controluce, fa vedere le sue nervature.
Vi sono baracche di tronchi alla svolta del Fiume, là dove il bagno è veramente meritorio e purificatore e l’oblazione valida.
La folla vi fa ressa come nelle fiere: la gente si spoglia, si riveste alla rinfusa, compra, offre, discute il prezzo, grida, rende grazie.
Anacoreti abitano gli isolotti fluviali e la vicina foresta. Uno si è fatto murare in una capanna della riva e vi sta senza mangiare, né muoversi e senza dar tregua al respiro. Lo si può sorvegliare da un foro praticato nel muro. Allo scadere del voto andranno con picconi a trarlo da quella tomba, vivo. Un altro rimane a mollo per dodici ore al giorno in quell’acqua diaccia anche d’estate, e quando viene l’estate risale verso le nevi eterne sulle quali siede scoperto e senza muoversi. Un altro si sdraia su una panca irta di chiodi. Un altro passa il giorno ritto sulla testa. Un altro tiene alzato un braccio da dieci anni e il braccio si è disseccato come un bastone. Un altro ancora sta seduto per aria, senza altro sostegno che il vuoto, un po’ al di sopra delle acque e la folla accorre allo spettacolo.
La giungla principia sull’altra riva del Gange. Copre un pezzo di monte che finisce con un dirupo a picco sulle acque verdi e profonde. A momenti, una catena di scimmie pende da un ramo sulle crepe del dirupo.
Branchi di scimmie appaiono su ogni tetto, ove i loro salti producono un rullar di tamburo.
A volte un branco di elefanti selvatici irrompe in un quartiere della città e a gran fatica si riesce a farli battere in ritirata.
È fortuna che le tigri s’allontanino da sé dai luoghi abitati perché nessuno qui si permetterebbe di passare a vie di fatto contro una creatura di Dio.

La sera, al (rapido) tramontare del sole, possiamo assistere alla celebrazione dell’aarti, il rito che prevede la presentazione del fuoco alle acque di un fiume sacralizzato. In pratica, la mistica fusione di fuoco e acqua con l’immensità dell’etere.

LE FOTOGRAFIE DI
GIANCARLO MAURI
22 agosto 2000
in ordine cronologico di scatto