domenica 6 febbraio 2022

2 febbraio 1945 - Per non dimenticare




Lettera ai Vimercatesi dopo la fucilazione

Vimercatesi,
un grave lutto vi ha colpiti! I criminali nazi-fascisti assetati di sangue hanno ancora una volta assassinato con sadica voluttà cinque purissimi figli della vostra bella e ridente cittadina.
Non sazi di aver compiuto il tremendo delitto, con una sfacciataggine che ripugna agli stessi delinquenti abituali, hanno voluto macchiare per sempre la loro lurida coscienza (se l’hanno), coll’affiggere manifesti in vari paesi vicini per attenuare (almeno speravano), il loro modo di agire, che supera per crudeltà il più cattivo degli animali: la “JENA”. Ma ciò non basta! I giornali che voi tutti in quei tristi giorni avete letto, hanno ancora voluto bollare quei nostri e vostri MARTIRI, con un accanimento e una ferocia veramente leonina, descrivendoli come dei banditi.
E ancora! I vostri repubblichini vimercatesi, non hanno esitato ad applaudire questo orrendo delitto consumato con premeditazione e perciò imperdonabile.
Noi ci uniamo a voi nel comune cordoglio, chiniamo la fronte e baciamo i nostri MARTIRI d’Italia con fierezza di italiani veri, quei MARTIRI che il nuovo destino ha scelto tra i vostri migliori figli e che sarà il vostro orgoglio del nostro sicuro domani.
A Voi cari MARTIRI che siete entrati all’alone della gloria, nel fulgore della vostra esuberante giovinezza, a Voi che madre natura aveva dato bellezza fisica e moralità superiore, a Voi che davanti ai carnefici che Vi condannavano cantaste gli inni della vera libertà e li faceste arrossire per tanta fierezza e coraggio dimostrato quando essi credevano di avervi annientati, va la nostra ammirazione. Così sanno morire i PATRIOTI, così son morti! Vimercatesi! Siate orgogliosi e fieri di questi cari morti, ricordate i loro nomi, scolpite nel cuore le loro bontà e il loro supremo sacrificio.

Allineati in una comune fossa. Aspettano l’ora che un altro li raggiunga, il primo caduto combattendo.
Egli a noi tutti sarà ricordato e onorato come solo gli EROI si ricordano e nell’aureola di gloria uniti per l’eternità li vedremo sorridere tutti assieme il giorno in cui spezzate le catene risplenderà sul nostro sacro suolo il sole della vera libertà.

W I MARTIRI VIMERCATESI
W L’ITALIA LIBERA

Alle famiglie dei congiunti il nostro più sincero cordoglio.
Febbraio 1945
Gruppo d’azione “patrioti”




Orazione funebre di don Enrico Assi

Miei cari indimenticabili
Gino, Emilio, Aldo, Luigi, Renato, Pierino, Giuseppe
È colla più viva commozione e con profondo tremore che io qui, davanti alle vostre salme, ho sillabato i vostri nomi in questo momento così solenne, dinnanzi a questo popolo che vi ha conosciuti e che ha pianto amaramente sulle vostre fiorenti giovinezze così tragicamente schiantate dal piombo degli oppressori.
Ecco: i vostri nomi hanno rievocato le vostre care fisionomie nella mente di tutti quelli che vi hanno conosciuti; hanno acceso un palpito di amore e di indicibile dolore nel cuore delle vostre mamme sconsolate, dei vostri papà, fratelli, sorelle, amici, di tutto questo popolo.
Noi cristiani che crediamo con una certezza superiore ad ogni dimostrazione all’immortalità dell’anima, sentiamo che voi siete misteriosamente presenti più vivi di quanto eravate vivi, la morte non vi ha distrutti, ma trasformati ed innalzati. Eravate dei ragazzi come tutti gli altri, siete stati ribelli, non vi siete rassegnati ad un ordine di cose che era tirannico in cui chi era in alto era vile e chi era in basso era avvilito.
Oggi dopo che la morte vi ha svestiti del bel velo del vostro corpo voi siete spiriti immortali, rappresentate l’idea del sacrificio, siete simbolo della libertà della Patria. Noi non avremmo mai osato rompere la solennità di questa ora che è sacra, con parole che hanno sempre sapore umano se non fosse stati per darvi l’estremo saluto, anche perché è cosa tanto difficile e delicata parlare ai Morti!
Io vi parlo - come compagno e sacerdote - a nome di tutto questo popolo, a nome di tutti i papà e le mamme di cui mi sento un poco figliolo, a nome dei giovani di cui mi sento fratello.
(...) Quanto ci ha consolato il sapere che non avete tremato di fronte alla morte, che vi siete confessati tutti e bene, la fede cristiana vi ha sostenuti e vi ha additati, oltre il misterioso passo della morte, un arcobaleno di pace e di serenità senza fine.
Siete caduti così nel fiore della vostra giovinezza per la Liberazione dell’Italia.
La pnmavera della Patria è giunta; ma voi che l’avete aspettata e preparata dormite nella solenne e maestosa immobilità della morte, ma le vostre ossa hanno esultato.
Oggi ricevete degna sepoltura qui nel nostro paese all’ombra dei nostri campanili.
Autorità e popolo sono raccolti pensosi attorno alle vostre salme, le nostre lacrime sono illuminate dal vostro sorriso. Voi che siete entrati nel lume di Dio pregate per le vostre mamme adorate, per i vostri cari, per il nostro paese, per la nostra Patria. Nulla è più difficile che far passare un popolo dal regime della fame a quello della vera libertà.
Noi non ci accontentiamo di tributarvi un’elemosina di gloria o un gentile omaggio di fiori; Voi potete aver bisogno delle nostre preghiere.
Mamme, papà, giovani che mi ascoltate, inchiniamoci riverenti e riconoscenti davanti alle spoglie mortali di questi nostri eroici Caduti per la Libertà. Davanti a Dio che ci vede, davanti ai nostri morti che ci ascoltano, noi giuriamo solennemente davanti alle gloriose salme di questi nostri figli e fratelli che noi diventeremo sempre più degni della libertà così duramente riconquistata con una vita umanamente irreprensibile, cristianamente fervorosa e militante.
La Patria non si salva col cambiare le istituzioni, la Patria si salva con cambiare la vita, il costume, il cuore! Sarà solamente nel nome Santo di Dio, che voi avete invocato nell’istante supremo, sarà solamente sulla base dei sacrosanti principi di Gesù crocefisso che voi avete baciato, che noi potremo ricostruire la Patria stretti e serrati in comunanza d’intenti ai sacri simboli della nostra fede.
Miei cari e indimenticabili compagni, riposate in pace, la vostra vita è troncata ma il vostro ideale continua.
Tutte le volte che noi pellegrineremo alle vostre tombe, noi ci ricorderemo del vostri sacrificio e del nostro impegno!






LE FOTOGRAFIE DI
GIANCARLO MAURI
6 febbraio 2022

Piazzale Martiri Vimercatesi
Vimercate










ex campo d'aviazione di Arcore
sul luogo della fucilazione dei Martiri vimercatesi















Cimitero di Vimercate






mercoledì 2 febbraio 2022

2 febbraio 1945


2 febbraio, ore 7 e 10 minuti. Nel 1945, a quest’ora della giornata, sull’area del campo d’aviazione di Arcore, 5 giovani partigiani venivano fucilati alla schiena. Volutamente alla stessa ora del mattino di oggi, 2 febbraio 2022, mi sono seduto davanti alla tastiera e al monitor per stendere queste brevi note di ricordo.

* * *

«Il primo ad essere arrestato dai fascisti della squadra politica di Monza fu Emilio Cereda (…) solo dopo la tragica morte di Iginio Rota ad Arcore venni a sapere che mio fratello era un partigiano» è la testimonianza di Luisa Cereda raccolta dai redattori di Vimercate nella storia contemporanea 1918-1945, un prezioso volume edito nel 1985 a cura dell’Amministrazione Comunale e del Comitato Unitario Antifascista.

«la sera del primo gennaio Aldo era a casa perché si doveva trovare coi compagni per partire in montagna; (…) Alle ore 1,15 irruppero dentro casa i fascisti della squadra politica di Monza, presero mio fratello, gli misero in testa un basco e uno esclamò: Sì, è proprio lui! Signorina, non si preoccupi, lo arrestiamo per accertamenti, sarà rilasciato domani in giornata!». (Ida Motta)

All’insaputa dei componenti il primo distaccamento, quella notte Pierino Colombo e Luigi Ronchi rientrarono da Milano. «(…) circa all’una di notte un gruppo di fascisti, una quindicina, irruppero in casa, cominciarono a perquisire i locali e arrestarono mio fratello» (Lucia Colombo)

«(…) nel silenzio della notte sentimmo battere violentemente alla porta: un gruppo di fascisti irruppe, perquisì la casa nella ricerca frenetica di documenti o armi che comprovassero la sua “colpevolezza” ed arrestarono Luigi. Fu tradotto con gli altri nella caserma della G.N.R.» (Rosa Ronchi)

«(…) intorno alle due sentimmo dei passi salire le scale, poco dopo udimmo battere violentemente all’uscio che venne spalancato: irruppero i fascisti. Pochi attimi prima, resosi conto di quanto stava succedendo, Renato riuscì a nascondersi tra i vetri e le imposte della finestra pronto a saltare di sotto nel cortile. Tale intento gli fu precluso dalla presenza di fascisti che avevano circondato l’abitazione. L’accurata ispezione portò inevitabilmente alla scoperta del nascondiglio e al conseguente arresto di nostro fratello». (sorelle Pellegatta)

«(…) la cella in eravamo reclusi era fredda, aleggiava un tanfo di escrementi che proveniva dal bugliolo sito al centro di essa. Non ci vennero fornite le gavette necessarie a contenere quella specie di brodaglia che costituiva l’unica fonte di sostentamento; poiché la fame era tanta, il secondo giorno decidemmo di utilizzare un putrido catino di alluminio pulito alla meno peggio coi nostri fazzoletti, in quanto non vi era la possibilità da lavarlo. La mattina del terzo giorno di reclusione giunse l’ordine di scarcerazione: contenti passammo a ritirare i documenti e già pensavamo all’orario del tram per il ritorno a casa.
La nostra gioia fu di breve durata: alcuni reubblichini ci caricarono su di un camion per trasferirci, ammanettati, al carcere di Monza. Ricominciarono le operazioni di prassi: immatricolazione, ritiro dei documenti, assegnazione della cella. Fui rinchiuso col padre di Carlo Levati, Francesco, e con Alfredo Parma.» (Felice Carzaniga)

«(…) il 26 gennaio, ottenuto il permesso dal Vice Federale Vaghi, mi recai, con le sorelle degli altri partigiani reclusi, al carcere di Monza. Qui ci dissero che i prigionieri erano stati portati alla Villa Reale per essere interrogati.» (Luisa Cereda)

«(…) il 28 gennaio, una domenica, ci recammo ancora a Monza per portare il cambio dei vestiti; percorremmo la strada a piedi poiché la neve era talmente alta da non consentire al tram il normale esercizio. Giunti alle carceri ci dissero che i nostri cari erano stati trasferiti a Milano per il processo.» (Carla Motta)

«(…) giungemmo a Milano il 28 gennaio, ci fecero un’istruttoria formale in cui ci lessero i capi d’imputazione e ciascuno di noi negò la propria colpevolezza. (…) Il mattino dopo ci fu il processo militare al Palazzo di Giustizia. Il dibattimento si svolse a porte chiuse e durò circa un’ora. La Corte e la Giuria era composta da militari. (…) Dopo circa una mezz’ora ci fu la lettura della sentenza.» (Carlo Verderio - Felice Carzaniga)

* * *

Le pagine che seguono finiscono con una poesia scritta da una persona a me molto cara: Alessandro Peducci, il mio zio Sandro.