mercoledì 21 maggio 2014

Il segreto del Nanda Devi


India, Garhwal Himal, ottobre 1998. Zaino in spalla io e Daniella seguiamo le tracce del cosiddetto The Curzon Trail, una serie di sentieri non inquinati dalle segnalazioni “ad uso baùco” che attraversa la regione di Chamoli. Partiti da Gwaldam, ci siamo dapprima inerpicati fino al villaggio di Wan, punto di partenza per il Rup Kund (Roopkund per gli inglesi), un piccolo lago le cui sponde sono ornate di scheletri, resti umani su cui aleggia un cupo mistero. Dopo Homkund e Sutol ecco il Kuari Pass, il tetto del trail. A destra, un sentiero permette di raggiungere Lata, l’ultimo villaggio prima della Rishi Ganga Valley, la gola d’accesso al Nanda Devi Base camp. Ma nel 1998 ragioni ecologistiche - la protezione della delicatissima flora - impedivano di entrare in questa valle - il cui accesso, peraltro, è abbastanza complicato da richiedere l’assicurazione con le corde e/o la messa in opera di corde fisse. Le restrittive regole valgono anche per noi, quindi non ci resta che continuare verso Nord e chiudere il nostro viaggio pedestre a Joshimath.

23 dicembre 2002. Squilla il telefono. Marco Albino Ferrari, nel segnalarmi che un paio di pagine vuote gli impediscono di chiudere il numero 2 di Meridiani Montagne, mi offre la polpetta avvelenata: “entro stasera, riesci a mandarmi un pezzo interessante?”. Tentenno, poi cedo. E lì comincia il mio dramma pre-natalizio: cosa scrivere d’interessante che riempia due pagine “entro stasera”? Word è aperto ma le ore passano e la sindrome della pagina bianca gongola beata. Cercando tra le carte che ho sulla scrivania mi viene incontro il catalogo di un’agenzia di trekking inglese, che il postino mi ha recapitato oggi stesso. Apro il cellophan e da “vecchio” alpinista subito trovo l’appiglio che mi mancava: alcune pagine enfatizzano il trekking nella Rishi Ganga Valley portato a termine da un gruppo di personalità, tra cui non pochi militari. Alla fine leggo: l’Ente indiano preposto al Turismo ha detto SI, e la nostra Agenzia ha l’esclusiva. Le iscrizioni sono aperte - e come diceva l'imbonitore del Circo, venghino signori venghino… più gente entra e più bestie si vedono.
Ho deciso: scriverò del Nanda Devi affair. Spulcio tra le decine e decine di libri portati dall’India: niente di niente …e la pagina resta bianca. Non mi rimane che mettermi a cercare su internet e qui m’imbatto in alcuni siti californiani che trattano del Nanda Devi. Ma sono un malfidente: mai prendere per vero quel che si legge, quindi l’incrocio delle informazioni è d’obbligo. Il tempo passa e la premura non è mai una buona alleata: pur di chiudere nei tempi pattuiti quella sera ho inviato lo scritto di cui ancor oggi più mi vergogno: una boiata pazzesca.
Il giorno dopo, 24 dicembre, mi viene in aiuto Matteo Serafin, il redattore che segue la mia via crucis. Con delicatezza Matteo mi sottolinea alcuni madornali errori e inserisce nel mio testo un’informazione da lui scovata su internet (Joydeep Sircar). La giornata suppletiva (“entro stasera” mi era stato detto ieri….) e l’arrivo del rinforzo esterno mi ha ricaricato le batterie, permettendomi di firmare l’agognato “articolo interessante”, pubblicato su Meridiani Montagne BRENTA, febbraio 2003, che qui sotto riporto per intero. Occhio però: interessante non è sinonimo di “non vero”: in seguito (anche in India) ho avuto modo di approfondire l’argomento e tutto quanto ho scritto in quei due frenetici giorni ha trovato ovunque un riscontro positivo.

Il segreto del Nanda Devi

Dopo una salita “esplorativa” sul Nanda Devi che ha coinvolto ben quaranta militari-alpinisti indiani, tra settembre e ottobre dell’anno 2000 un primo gruppo di turisti ha potuto entrare all’interno dell’omonimo Santuario. In tutto 15 europei, tra cui John Shipton (il figlio di Eric), George Band (Everest, 1953) e Ian McNaught-Davis (presidente UIAA). A rappresentare l’India vi era Narinder “Bull” Kumar (il primo indiano salito in vetta all’Everest, 1960, e sul Kangchenjunga). Dopo questa benedizione ufficiale, i giochi sono stati riaperti e da allora in poi altri gruppi di trekkers organizzati hanno potuto tranquillamente valicare la Rishi Ganga, per l’occasione attrezzata con corde fisse.
Il Santuario del Nanda Devi (Garhwal Himalaya, India) è un gigantesco anfiteatro creato da una sequenza di imponenti pareti. Unica eccezione è il punto dove le acque della Rishi Ganga hanno scavato la loro via di uscita, creando una forra profonda. In questo anello di montagne vi sono dodici picchi con altezza superiore ai 6500 metri, tra cui il Changabang, il Dunagiri, il Trisuli e il Nanda Kot. Al centro, su tutti domina il Nanda Devi, il cui nome riporta al culto delle arcaiche Dee Madri. Dopo alcuni insuccessi, nel 1934 gli inglesi Eric Earle Shipton e Harold William “Bill” Tilman riescono ad entrare nel Santuario, forzando la non facile gola della Rishi Ganga. Un loro tentativo di salita al Nanda Devi si ferma a 6250 metri di quota. Nel 1936 Eric Shipton ritorna all’attacco con Noel Odell, e nel pomeriggio del 29 agosto i due sono sulla cima del tetto dell’India, 7816 metri, la più alta quota mai raggiunta fino ad allora da esseri umani.
In seguito, altre cordate cercheranno con maggiore o minore fortuna di ripetere l’ascensione. Nel 1964, è la volta di una spedizione indiana guidata da M.S. Kohli. Fatto strano per l’ambiente alpinistico, questo gruppo si muove senza tanti clamori pubblicitari. Una salutare lezione di discrezione, si potrebbe pensare (forse perché rientrano sconfitti a causa del maltempo?). Gli stessi ritentano la salita l’anno dopo: un altro fiasco.
Negli anni 70, ragioni “politiche” inducono il Governo indiano a chiudere l’accesso al gruppo del Nanda Devi: troppo vicino al confine cinese, dice la signora Indira Gandhi, al tempo in carica come Primo ministro. Nel 1982 si ha una svolta “ecologista”: per Delhi, il fragile equilibrio del Santuario è stato compromesso dal passaggio dei turisti (rari, tutto sommato). Ora, per salvare flora e fauna, tutto il territorio del Santuario diventa “area di massima protezione”, quindi proibita a tutti, sia ai turisti sia agli alpinisti. Le porte della Rishi Ganga si richiudono e Nanda Devi può riprendere a dormire sotto le coltri delle sue nevi eterne.
Ma sarà proprio vero? Chi conosce bene il mondo indiano non può non storcere il naso: ecologismo esasperato al Nanda Devi, deforestazione selvaggia ed inquinamento “no-limits” in tutto il resto del subcontinente. Dov’è l’inghippo? Basta cercare negli archivi, ed ecco che si scopre che già nel 1978 la rivista Outside di San Francisco aveva pubblicato l’articolo The Nanda Devi Caper, e il cappero spinoso a cui il titolo allude è ormai un segreto di Pulcinella: le due spedizioni alpinistiche “indiane” a metà degli anni 60 sono state finanziate dalla CIA, con famosi alpinisti americani (quali Galen Powell) segretamente coinvolti nella “Operazione Montagne Blu”. Obiettivo: installare sulla vetta una postazione a propulsione nucleare per spiare le basi missilistiche cinesi in Tibet.
L’articolo viene in seguito ripreso dai più importanti periodici, tra cui Alpine Journal e The Indipendent. Persino lo storico delle montagne Joydeep Sircar riporta questa notizia nel suo Himalayan Handbook. A metà degli anni 80, in India il pubblico ministero Morarji Desai è costretto ad aprire un’inchiesta, anche perché da più parti si segnala da tempo una improvvisa e forte presenza radioattiva nelle acque del Gange.
In mancanza di una versione ufficiale dei fatti, dalle mezze frasi degli alpinisti coinvolti si può trarre questa conclusione: per le apparecchiature da lasciare sul Nanda Devi era prevista la propulsione nucleare, fornita da numerosi cilindri (33 cm di diametro) contenenti ciascuno 1362 grammi di plutonio 238. A causa del maltempo, questi sono stati deposti in alcuni crepacci, in attesa di un miglioramento climatico, ma le valanghe hanno sepolto i contenitori, considerati dispersi. In seguito, questi cilindri si sarebbero rotti sotto la pressione del ghiacciaio, disperdendo il loro contenuto dapprima nelle acque della Rishi Ganga e poi nel Gange. Da qui si arguisce la vera ragione per cui il Santuario è stato chiuso per diciotto anni: era stato fatto oggetto di un pericolosissimo inquinamento radioattivo. Altro che capre e cavoli da proteggere dai turisti!
Epilogo: dalla lettura del catalogo di Himalaya Kingdom, l’agenzia di trekking inglese che ha in esclusiva l’area interessata, adesso sembra che i fiori del Santuario del Nanda Devi non siano poi così tanto preziosi come ci volevano far credere. Siccome al cambio ufficiale i soldi dei turisti stranieri valgono molto di più, ora si possono anche calpestare. Dietro pagamento di 3465 lire sterline. Anticipate, obviously.

NOTA postuma: la cattedrale del Nanda Devi è stata di nuovo chiusa al turismo. Forse non ci sono più fiorellini da calpestare, oppure è il plutonio 238 che si è risvegliato? Ah saperlo...

© testo di Giancarlo Mauri
Le fotografie che seguono sono tratte dal libro
Lascension du Nanda Devi - di H.W. Tilman
Questa prima edizione ha un madornale errore in copertina:
a voi il piacere di trovare il granchio rosa




















Nessun commento:

Posta un commento