venerdì 13 giugno 2014

Picasso ad Antibes



Sono appena tornato da un breve viaggio che aveva - come sempre - obiettivi chiari e precisi: rivedere i luoghi abitati da Picasso nel Sud della Francia e rivisitare i “suoi” musei. L’ultima volta che ero stato a Mougins e a Vallauris l’anno iniziava ancora col “198”, quindi tanta acqua è passata sotto i ponti ...sbiadendo i ricordi.
Nel programma di viaggio avevo incluso altre vecchie e nuove visite, con un punto fisso: si torna a casa solo dopo aver rivisitato il Musée Pierre-de-Luxembourg di Villeneuve lez Avignon e il Musée lapidaire di Avignon. A questi must ho aggiunto altri due indirizzi: il Musée Angladon e il Musée Calvet. Poi …tutto quel che si mangia in fatto d’arte e cultura di certo non ingrassa.

4 giugno 2014. Alle 9 e 30 del mattino sono ai piedi del Chateau Grimaldi di Antibes, ora noto come Musée Picasso. Non vi ero mai stato prima, ma la fresca lettura di Storia di Picasso di Antonina Vallentin (Einaudi, 1961) mi ha acceso la sacra fiamma.
Scrive l’autrice:

[…] Per l’estate [1946] s’insediano [Picasso e Françoise Gilot] in una villa di Golfe-Juan. Come la maggior parte delle sistemazioni di Picasso anche questa è venuta senza che l’abbia cercata: il vecchio stampatore Louis Fort gli mette a disposizione la sua villa. […] Il caso provoca un incontro che si direbbe sollecitato dal ribollire di forze che in quel momento sente in sé. Sulla spiaggia di Golfe-Juan incontra il direttore del museo di Antibes, Dor de la Souchère. […] Il caso l’aveva fatto finire sul binario morto di un museo di provincia, addetto a qualche resto del passato restituito dalla terra. […] Il castello è molto mal ridotto quando, nel 1928, non sapendo che farne, si decide di stabilirvi un museo d’importanza assolutamente locale; vi resiste ancora l’impronta del Medioevo, epoca in cui appartenne ai principi di Grasse, per passare poi ai Grimaldi. In occasione del loro incontro sulla spiaggia La Souchère chiede a Picasso un’opera per il suo museo. L’idea d’associare una collezione archeologica d’interesse locale e un’arte tanto rivoluzionaria sembra a prima vista solo fantastica. Ma il direttore del Museo di Antibes ha riconosciuto i legami profondi di Picasso con il Mediterraneo stesso. Questo iconoclasta è sempre stato attentissimo all’eco dei passi del tempo. […] Così promette più che il dono o il prestito di un quadro: accetta l’offerta di La Souchère di fare del piano superiore del castello il suo studio.
[…] Percorrendo la strada che costeggia le mura di Antibes si sente che qui il tempo si è fermato. I muri, resi accecanti dal sole, si levano a picco su un mare d’azzurro metallico, severo e tagliente. Il castello, molto restaurato da quando ospita il Museo Picasso, e soprattutto grazie a lui, si leva anch’esso bianchissimo, a piombo come le rocce, insieme arcigno e misterioso, come un’armatura d’acciaio costruita per dei giganti. Un piccolo patio accoglie in basso il visitatore, con una vasca di pesci rossi e una pianta grassa che fa pensare a un getto d’acqua solidificato. Una terrazza prospetta sul mare in modo tale che sembra gettarvisi direttamente, tolda di nave pietrificata; il vento la spazza gelido, e d’estate il sole vi batte forte. […]
Il caso sembra aver tenuto conto del desiderio d’una grande opera che si è risvegliato in lui non appena ha girato le chiavi nella toppa del nuovo studio. Il direttore, che stava facendo rivestire i muri in abbandono, ha tutta una riserva di pannelli di fibrocemento che mette a sua disposizione.

Da queste righe della Vallentin, che ha potuto scrivere la sua biografia contando sui ricordi a lei narrati da un Picasso ancora vivo e vegeto, si ricava l’impressione che tutto sia avvenuto per casoAl contrario, circa 50 anni dopo l’uscita del libro della Vallentin le note tecniche inserite nella cartella stampa fornita in occasione della presentazione della mostra Picasso, la joie de vivre, 1945-1948, tenutasi a Palazzo Grassi, Venezia 2006, esclude ogni casualità:

La nascita del Musée Picasso di Antibes
di Jean-Louis Andral
conservatore capo del museo Picasso, Antibes
C’era una volta un castello, piantato come una sentinella di fronte al mare dei mari, sui bastioni di una piccola città dal ricco passato, e un artista favoloso che, come nessun altro, doveva caratterizzare il suo secolo per l’eternità. Poco mancò che Picasso entrasse a Castello Grimaldi in veste di proprietario; frequentatore abituale della Costa Azzurra, la sceglie come residenza estiva dall’inizio degli anni 20, nel piccolo perimetro che collega Juan-les-Pins, Cap d’Antibes e Antibes. È così che trascorre i bei giorni del 1923, 1924 e 1925 ad Antibes, epoca in cui Castello Grimaldi abbandonato dal suo ultimo occupante, il Genio militare, viene messo in vendita dallo Stato che ne è proprietario. Picasso, interessato, pensa allora di acquistarlo. Ma un altro acquirente si opporrà al progetto: la città di Antibes, convinta del valore patrimoniale dell’edificio grazie all’intervento di un personaggio decisivo, Romuald Dor de la Souchère, che aveva iniziato nel 1923 ricerche archeologiche ad Antibes, in particolare nelle strutture militari, e aveva scoperto l’importanza delle vestigia dell’occupazione greco-romana nella regione.
[…] Nell’agosto 1946, Pablo Picasso risiede con la giovane compagna Françoise Gilot a casa dello stampatore Louis Fort a villa «Pour toi» sul porto di Golfe-Juan. In quel periodo, Dor de la Souchère ospita in pensione a casa sua a Cannes lo scultore e fotografo Michel Smajewski, detto Michel Sima, che ha accolto al ritorno dai tre anni di deportazione ad Auschwitz. Venuto a sapere della presenza di Picasso a Golfe-Juan, Sima, che lo aveva incontrato a casa di Gertrude Stein, propone a Dor de la Souchère di negoziare con il grande artista una donazione al museo di Antibes. Dor de la Souchère lo lascia fare «senza grandi speranze e senza desiderio». Viene quindi organizzato un incontro sulla spiaggia, che non porta a una donazione, perché l’artista elude l’argomento. «La conversazione deviò sulla pittura, come era naturale, e Picasso mi rese partecipe di una delusione che accomuna tutti i pittori: “Ho sempre desiderato che mi dessero grandi superfici da decorare e lo Stato non me ne ha mai affidate”». Ciò che lo Stato gli ha negato, gli sarà finalmente offerto da una cittadina di provincia, con la mediazione di un uomo dalla mente vivace e dal cuore così sensibile agli artisti, che coglie al volo l’opportunità assolutamente unica di far entrare al castello della Bella addormentata il pittore della modernità.
Picasso aveva espresso un bisogno di spazio: «L’ho sistemato», racconta Dor de la Souchère a Georges Salles, «nella grande sala del secondo piano. Ho fatto disporre tutto ciò che gli poteva servire: cavalletti, tavoli, materasso per riposare, colori, pennelli. Ho dato ordine a Sima di avere cura di lui, di servirlo e di fornirgli tutto ciò di cui poteva avere bisogno nel suo lavoro. Ho dato a Picasso la chiave della sala, l’ha attaccata alla cintura con uno spago […]. Veniva ogni giorno nel primo pomeriggio e dipingeva spesso fino a tarda sera alla luce di due enormi proiettori (che erano stati noleggiati dallo studio della Victorine, a Nizza, e che permisero a Sima di realizzare i suoi cliché fotografici molto contrastati). Ha composto, con gli oggetti più eterocliti delle sale o della riserva del museo, un assembramento di cui amava il disordine e che lo ha spesso ispirato.
[…]. È entrato nel museo il 17 settembre. Ne è partito il 10 novembre per tornare a Parigi, cacciato dal disagio all’avvicinarsi dei momenti difficili, forse aveva terminato la sua avventura. È venuto a trovarmi alla vigilia della partenza, alla sera. Abbiamo parlato a lungo. Mi ha dato l’elenco delle opere che lasciava «in deposito» al museo: tutte tavole di legno compensato o lastre fibrocemento di grandi o medie dimensioni, tra cui una tela.
Ha portato via una gran quantità di disegni, di schizzi, di tempere, con alcune tele di piccolo formato che costituiscono la parte forse più interessante della produzione di Antibes. Ha precisato il modo in cui desiderava che fossero incorniciate, con un profilato di ferro nero […]».
Ed è così che sono sempre presentati quei 23 dipinti (Ripolin, carboncino, grafite su fibrocemento, legno o tela riutilizzata) che Picasso non portò con sé a Parigi. Oltre a quei dipinti, lasciò anche nello studio del castello 44 disegni. Dor de la Souchère, consapevole dell’eccezionale portata del gesto, farà allora di tutto per adattare il luogo all’incredibile liberalità dell’artista.
Convincendo il comune a intraprendere importanti lavori di restauro dell’edificio con l’aiuto dei Musées de France, organizza con grande rapidità la presentazione al pubblico di questo deposito. Così, il 22 settembre 1947, si svolge l’inaugurazione ufficiale della «sala Picasso», al primo piano, nella ex «sala Grimaldi».

Più avanti, lo stesso Jean-Louis Andral aggiunge:

Scherzando un giorno con degli amici, Picasso ha definito Michel Sima «il colpevole della creazione del Musée d’Antibes». Lo scultore e fotografo ha in effetti rivestito un ruolo determinante nell’incontro dell’artista con Romuald Dor de la Souchère, conservatore del Museo che sorge all’interno del castello dei Grimaldi. De la Souchère è un amico di lunga data che Sima ritrova a Cannes nel maggio 1945, al ritorno dai campi di concentramento.
Gli mette a disposizione il secondo piano del castello, dove il fotografo allestisce nel 1946 il suo atelier. Françoise Gilot ha raccontato l’arrivo di Sima, venuto a trovare Picasso sulla spiaggia a Golfe-Juan – i due uomini si conoscono dal 1936 – per proporgli di presentargli Dor de la Souchère, aggiungendo che sarebbe stato felicissimo di prestargli una grande sala in cui avrebbe potuto lavorare. I due artisti diventano quindi vicini di atelier e giorno dopo giorno, in modo del tutto naturale, Sima inizia a fotografare i progressi del lavoro di Picasso a castello Grimaldi durante l’estate e l’autunno 1946. Una selezione di queste fotografie viene pubblicata due anni dopo da René Drouin con il titolo Picasso à Antibes.
[…] Catturato nel 1942 durante un rastrellamento a Cannes, viene deportato ad Auschwitz da cui tornerà malato molto gravemente. Nel maggio 45, ritorna sulla Costa Azzurra per ritrovare l’amico Romuald Dor de la Souchère, conservatore del Musée d’Antibes. Dopo un soggiorno in una casa di convalescenza a Grasse, accetta la proposta di Dor di lasciargli il secondo piano del castello di Antibes per farne il suo studio. È proprio questo il piano che dividerà con Picasso nell’estate e nell’autunno del 1946.

Come si evince, è sempre difficile cercare il vero nel tumultuoso mare degli interessi.
E Picasso, come Leonardo, di interessi ne ha smossi troppi. I due - con mostre, libri, gadget, cartoline, t-shirts – sono stati fatti diventare dei redditizi beni culturali, l’esatto contrario della cultura.

* * * *

Il museo apre alle 10, quindi ho tempo per divertirmi scattando fotografie cubiste. All’ora prevista la porta d’ingresso, finora lasciata aperta, improvvisamente si chiude: problemi con la cassa mi dicono. Aspetto appoggiato al muro, all’ombra. Dopo 10 minuti la porta si riapre e i primi biglietti vengono emessi. Ho appreso dalle mie letture che il direttore del museo aveva messo a disposizione di Picasso la scorta di pannelli di fibrocemento per rivestire i muri e che Picasso, preso dalla fregola, non aveva resistito all’imperioso desiderio di riempire quelle superfici.
È questo che voglio vedere. Salgo veloce le scale che portano al piano del castello dov’era lo studio di Picasso. Di quel periodo restano i quadri e i pannelli di fibrocemento, che immaginavo (colpa mia) di ben più grandi dimensioni. Vaste sale ospitano mostre di contorno. Nessuna traccia delle foto scattate da Sima.

Faccio un giro sulla tolda di nave pietrificata della Vallentin, già surriscaldata dal sole. Due turiste americane mi chiedono una foto ricordo da scattare col loro telefonino. Le sculture di Joan Mirò mi guardano e ...tacciono. Prima di uscire - passaggio obbligato per me - è doverosa una visita al bookshop (nota: alla Gallerie dItalia di  Milano ho chiesto a un giovane addetto: “scusi, dovè la libreria?” Lui mi ha guardato strano, ci ha rimuginato un po’ sopra e poi ha risposto: “qui non abbiamo una libreria, però abbiamo il bookshop”. Lezione imparata).

Tanti libri fotografici, ma non trovo copia del primo catalogo del Museo Picasso. Mi dicono che è esaurito e difficilmente reperibile sul mercato. Ma loro non sanno che in fatto di libri sono portatore sano di culite: sette giorni dopo, di passaggio a Milano, mi fermo ad un chiosco di libri fuori commercio; un paio di volumi attirano la mia attenzione e uno dei due - Picasso à Antibes, scritto da Dor de La Souchére - è proprio il catalogo inutilmente cercato al museo. Aprendolo, capisco il perché della sua rarità: alla fine, 16 incisioni si prestano a essere staccate e vendute sul mercato dei collezionisti di stampe, l’orrida fine di molti libri d’arte. Decido di salvarne l’integrità e ora, comodamente seduto al tavolo del mio studio, posso vedere le foto di Sima che mostrano Picasso al lavoro nel castello di Antibes nonché tutte le sue opere che ne allietano le pareti.

È mezzogiorno, l’ora giusta per lasciare il mare e prendere la strada del monte.
Direzione Vallauris.


© per il testo e le foto di Giancarlo Mauri

Picasso à Antibes
di J.-C. R. Dor de La Souchère

















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