L’alfa di Vincenzo Cartari pare sia l’anno 1531 (pare...), mentre resta sconosciuto l’omega, che pure in tempi passati era la data più significativa, tanto da essere l’unica segnata nei registri e/o sulle lapidi: la morte segnava l’inizio della vita nell’aldilà, dunque la vera “nascita”. Concetti presi paro paro dai miti orientali. L’India delle rinascite insegna…
Durante questo
incerto periodo di vita, Cartari realizzò molto più di un libro. Gettò le basi
dell’iconologia artistico-religiosa, creando storie e miti arrivati - e creduti
veri - fino ad oggi.
Tutto iniziò
nel 1566, quando dalla tipografia Rampazetto di Venezia uscirono i 184 fogli in
ottavo del libro intitolato Le Imagini
con la spositione de i dei de gli antichi, raccolte par Vincenzo Cartari
ecc. Nero su bianco - opposizione nata proprio con l’avvento della stampa, in
sostituzione della precedente coppia di opposti bianco e rosso, tuttora in
vigore in Oriente - il Cartari creava l’iconologia degli umori, dei sentimenti,
dei vizi e delle virtù degli umani. In altre parole: come poteva un pittore o
uno scultore rappresentare la lussuria, l’invidia, la gola, l’invidia,
l’accidia? E per descrivere al meglio la singola “figura”, gli abiti, gli
orpelli di contorno, Cartari ebbe la necessità di studiare il cosiddetto (dai
cristiani) Antico Testamento, speculando sulle frasi, sulle parole, da
confrontare e arricchire coi testi degli Antichi e con le storie arrivate “da
Oriente”.
Scritto in
volgare, il libro di Cartari scosse il suo mondo, ma per il vero successo editoriale
si dovrà aspettare la seconda edizione, intitolata Le imagini de i dei de gli Antichi : nelle quali si contengono
gl'idoli, riti, ceremonie, & altre cose appartenenti alla religione de gli
Antichi raccolte dal sig. Vincenzo Cartari,... appresso Giordano Ziletti
(In Venetia) 1571, opera arricchita da riproduzioni che rendevano finalmente “chiare”
le idealizzate figure dell’Autore.
Gli stampatori
fiutarono l’affare e approfittando del vuoto istituzionale a tutela dei diritti
d’autore uscirono con nuove edizioni: fuori dagli italici confini il libro di
Cartari venne tradotto in latino col titolo Imagines
deorum, qui ab antiquis colebantur olim a Vicentio Chartario rhegiensi ex
variis autoribus in unum collectae ; atque Italica lingua expositae: nunc vero
ad communem omnium utilitatem latino sermone ab Antonio Verderio, B.
Honoratum, Lugduni, 1581 (in quegli anni due importanti sedi di stampa
portavano il nome di Lugduni:
una è l’attuale Lione; l’altra, Lugduni Batavorum, corrisponde
all’olandese Leida).
Gustosa è
l’edizione del 1615: Le vere e nove
imagini de gli dei delli antichi di Vicenzo Cartari Reggiano. Ridotte da capo a
piedi in questa novissima impressione alle loro reali, & non piu per
l'adietro osservate simiglianze. Cavate da' marmi, bronzi, medaglie, gioie,
& altre memorie antiche. In Padova, Appresso Pietro Paolo Tozzi, nella
stampa del Pasquati. Le nove immagini
altro non sono che gli dèi degli “Indiani del Messico”, una novità a quei
tempi. Lo stesso libro avrà una ristampa nel 1624.
Illuminante,
invece, è la Seconda novissima editione
delle Imagini de gli dei delli antichi di Vicenzo Cartari reggiano : ridotte da
capo a piedi alle loro reali, & non più per l'adietro osservate simiglianze
: cavate da' marmi, bronzi, medaglie, gioie, & altre memorie antiche : con
esquisito studio, & particolare diligenza. In Padova : Nella stamperia
di Pietro Paolo Tozzi, 1626 - edizione contenente la Tavola dei contenuti: Annotationi all'imagini del Cartari,
p.[?]-528 -- Aggiunta all'imagini del Cartari / del sig. Lorenzo Pignoria, p.
529-544 -- Seconda parte delle imagini de gli dei indiani / aggionta al Cartari
da Lorenzo Pignoria, p. 545-586 -- Catalogo di cento più famosi dei de gli
antichi / per Cesare Malfatto Padoano, p. 589-592 -- Catalogo d'autori antichi
& moderni, p. 593-594 -- Tavola delle cose notabili, p. 595-606.
Il successo,
oltre cento riedizioni, arriva ai giorni nostri: il titolo è ristampato in
facsimile da Luni nel 1999. Ne esiste una riedizione
del 2004, un po’ più difficile da trovare sulle bancarelle.
I tempi sono
cambiati - e con Wikipedia a portata di click si crede di poter accedere
all’intero scibile umano, mentre invece è tutto il contrario: i furbi (sempre i
soliti) hanno imparato la legge di Darwin e si sono messi a riadattare i testi
della “libera enciclopedia” a loro uso e consumo, seminando colta ignoranza a
piene mani.
E così le
“paurose” storie che intere generazioni di contadini si raccontò nel buio delle
stalle durante le lunghe serate invernali, irrobustite dal riutilizzo delle
pagine del Cartari da parte degli artisti che riempirono le chiese di statue e
affreschi creando l’abbecedario iconologico - e dunque la nostra cultura -,
entrarono nell’umano Dna…
Ovviamente
Cartari non fu lasciato solo: presto il suo tempo si arricchì di Bestiari, libri che volevano illustrare
storie e miti degli animali inclusi nelle varie teologie.
A mio avviso, l’allievo
più importante di Cartari resta Cesare Ripa (circa 1560-prima del 1625), che
dopo una vita anonimamente trascorsa a Siena al servizio di un cardinal
Salviati, nel 1593 dette alle stampe la sua Nova
Iconologia del Cavalier Cesare Ripa Perugino, di solo testo. Per
un’edizione illustrata si dovrà attendere la seconda edizione (1603), con le incisioni di Giuseppe Cesari detto il Cavalier d’Arpino. In tempi recenti, questo volume
è stato riproposto da TEA (1992) e Neri Pozza (2000; non escludo riedizioni più
recenti).
Partendo dai
libri di Cartari e dai bestiari medievali, Fernando Rigon firma un libro
interessante: Arte dei numeri. Letture
iconografiche, Skira editore, 2006.
Che l’Autore
sia stato direttore del Museo Biblioteca Archivio di Bassano del Grappa dal
1976 al 1983, e poi dirigente del settore Musei e monumenti civici di Vicenza
dal 1983 al 1991, lo si intuisce dai continui riferimenti alle stampe dei
Remondini e agli affreschi di alcune Ville venete. Il libro racconta la
storia dei numeri nell’arte, ovvero del loro inserimento “teologico” nei dipinti
chiesistici, con abbondante utilizzo delle pagine di Cartari, il Virgilio di
turno.
È un libro
interessante, soprattutto per chi è disabituato a “vedere” l’opera artistica,
limitandosi al manierismo di facciata. Ignorando le uniche opere d’arte “libere”,
quelle preistoriche, una nozionistica scuola dell’obbligo ha insegnato a indugiare
sulle pieghe delle vesti piuttosto che a riflettere su come e perché in tempi
senza giornali né televisioni intere generazioni di pittori siano state indotte
dai padroni di turno a riempire le pareti di edifici civili - ma più ancora
religiosi - con dipinti utili alle lotte per il potere. Un esempio: per secoli nella
basilica fiorentina di San Lorenzo, chiesa padronale dei ricchi banchieri de’
Medici, sacerdoti cattolici sono stati costretti ad officiare riti cattolici
circondati da affreschi volutamente irriverenti verso il vescovo di Roma, con
scene “eretiche” tratte da vangeli apocrifi. Tutto questo finisce quando i Medici
conquistano l’ambito trono di Pietro: ora quei dipinti hanno perduto il loro
valore politico, dunque si possono cancellare, sostituiti da altri, allineati al
nuovo potere acquisito. Tutto questo lo ha ben spiegato Massimo Firpo nel suo
libro edito da Einaudi nel 1997 col titolo: Gli
affreschi di Pontormo a San Lorenzo. Sottotitolo: Eresia, politica e cultura nella Firenze di Cosimo I.
È in questo
modo che si dovrebbe insegnare la Storia dell’arte - che è parte importante della
nostra Storia. Disquisire sugli stili non porta molto lontano: il furbesco
mantra “capra capra capra capra!” è dietro l’angolo. Per evitare che nasca “l’homo pensante”, televisioni, giornali e
libri abbondano di notizie distorte. Credo sia un nostro impegno “non credere a
nulla di quel che ci dicono e solo a metà di quel che vediamo”, imparando a incrociare
le informazioni - che in materia d’arte ad uso “religioso” coinvolgono
pesantemente l’antropologia, più che la teologia e certa filosofia.
© testo di Giancarlo Mauri
© testo di Giancarlo Mauri
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