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mercoledì 21 maggio 2014

Vincenzo Cartari


L’alfa di Vincenzo Cartari pare sia l’anno 1531 (pare...), mentre resta sconosciuto l’omega, che pure in tempi passati era la data più significativa, tanto da essere l’unica segnata nei registri e/o sulle lapidi: la morte segnava l’inizio della vita nell’aldilà, dunque la vera “nascita”. Concetti presi paro paro dai miti orientali. L’India delle rinascite insegna…
Durante questo incerto periodo di vita, Cartari realizzò molto più di un libro. Gettò le basi dell’iconologia artistico-religiosa, creando storie e miti arrivati - e creduti veri - fino ad oggi.
Tutto iniziò nel 1566, quando dalla tipografia Rampazetto di Venezia uscirono i 184 fogli in ottavo del libro intitolato Le Imagini con la spositione de i dei de gli antichi, raccolte par Vincenzo Cartari ecc. Nero su bianco - opposizione nata proprio con l’avvento della stampa, in sostituzione della precedente coppia di opposti bianco e rosso, tuttora in vigore in Oriente - il Cartari creava l’iconologia degli umori, dei sentimenti, dei vizi e delle virtù degli umani. In altre parole: come poteva un pittore o uno scultore rappresentare la lussuria, l’invidia, la gola, l’invidia, l’accidia? E per descrivere al meglio la singola “figura”, gli abiti, gli orpelli di contorno, Cartari ebbe la necessità di studiare il cosiddetto (dai cristiani) Antico Testamento, speculando sulle frasi, sulle parole, da confrontare e arricchire coi testi degli Antichi e con le storie arrivate “da Oriente”.
Scritto in volgare, il libro di Cartari scosse il suo mondo, ma per il vero successo editoriale si dovrà aspettare la seconda edizione, intitolata Le imagini de i dei de gli Antichi : nelle quali si contengono gl'idoli, riti, ceremonie, & altre cose appartenenti alla religione de gli Antichi raccolte dal sig. Vincenzo Cartari,... appresso Giordano Ziletti (In Venetia) 1571, opera arricchita da riproduzioni che rendevano finalmente “chiare” le idealizzate figure dell’Autore.
Gli stampatori fiutarono l’affare e approfittando del vuoto istituzionale a tutela dei diritti d’autore uscirono con nuove edizioni: fuori dagli italici confini il libro di Cartari venne tradotto in latino col titolo Imagines deorum, qui ab antiquis colebantur olim a Vicentio Chartario rhegiensi ex variis autoribus in unum collectae ; atque Italica lingua expositae: nunc vero ad communem omnium utilitatem latino sermone ab Antonio Verderio, B. Honoratum, Lugduni, 1581 (in quegli anni due importanti sedi di stampa portavano il nome di Lugduni: una è l’attuale Lione; l’altra, Lugduni Batavorum, corrisponde all’olandese Leida).
Gustosa è l’edizione del 1615: Le vere e nove imagini de gli dei delli antichi di Vicenzo Cartari Reggiano. Ridotte da capo a piedi in questa novissima impressione alle loro reali, & non piu per l'adietro osservate simiglianze. Cavate da' marmi, bronzi, medaglie, gioie, & altre memorie antiche. In Padova, Appresso Pietro Paolo Tozzi, nella stampa del Pasquati. Le nove immagini altro non sono che gli dèi degli “Indiani del Messico”, una novità a quei tempi. Lo stesso libro avrà una ristampa nel 1624.
Illuminante, invece, è la Seconda novissima editione delle Imagini de gli dei delli antichi di Vicenzo Cartari reggiano : ridotte da capo a piedi alle loro reali, & non più per l'adietro osservate simiglianze : cavate da' marmi, bronzi, medaglie, gioie, & altre memorie antiche : con esquisito studio, & particolare diligenza. In Padova : Nella stamperia di Pietro Paolo Tozzi, 1626 - edizione contenente la Tavola dei contenuti: Annotationi all'imagini del Cartari, p.[?]-528 -- Aggiunta all'imagini del Cartari / del sig. Lorenzo Pignoria, p. 529-544 -- Seconda parte delle imagini de gli dei indiani / aggionta al Cartari da Lorenzo Pignoria, p. 545-586 -- Catalogo di cento più famosi dei de gli antichi / per Cesare Malfatto Padoano, p. 589-592 -- Catalogo d'autori antichi & moderni, p. 593-594 -- Tavola delle cose notabili, p. 595-606.
Il successo, oltre cento riedizioni, arriva ai giorni nostri: il titolo è ristampato in facsimile da Luni nel 1999. Ne esiste una riedizione del 2004, un po’ più difficile da trovare sulle bancarelle.

I tempi sono cambiati - e con Wikipedia a portata di click si crede di poter accedere all’intero scibile umano, mentre invece è tutto il contrario: i furbi (sempre i soliti) hanno imparato la legge di Darwin e si sono messi a riadattare i testi della “libera enciclopedia” a loro uso e consumo, seminando colta ignoranza a piene mani.
E così le “paurose” storie che intere generazioni di contadini si raccontò nel buio delle stalle durante le lunghe serate invernali, irrobustite dal riutilizzo delle pagine del Cartari da parte degli artisti che riempirono le chiese di statue e affreschi creando l’abbecedario iconologico - e dunque la nostra cultura -, entrarono nell’umano Dna…
Ovviamente Cartari non fu lasciato solo: presto il suo tempo si arricchì di Bestiari, libri che volevano illustrare storie e miti degli animali inclusi nelle varie teologie.
A mio avviso, l’allievo più importante di Cartari resta Cesare Ripa (circa 1560-prima del 1625), che dopo una vita anonimamente trascorsa a Siena al servizio di un cardinal Salviati, nel 1593 dette alle stampe la sua Nova Iconologia del Cavalier Cesare Ripa Perugino, di solo testo. Per un’edizione illustrata si dovrà attendere la seconda edizione (1603), con le incisioni di Giuseppe Cesari detto il Cavalier d’Arpino. In tempi recenti, questo volume è stato riproposto da TEA (1992) e Neri Pozza (2000; non escludo riedizioni più recenti).

Partendo dai libri di Cartari e dai bestiari medievali, Fernando Rigon firma un libro interessante: Arte dei numeri. Letture iconografiche, Skira editore, 2006.
Che l’Autore sia stato direttore del Museo Biblioteca Archivio di Bassano del Grappa dal 1976 al 1983, e poi dirigente del settore Musei e monumenti civici di Vicenza dal 1983 al 1991, lo si intuisce dai continui riferimenti alle stampe dei Remondini e agli affreschi di alcune Ville venete. Il libro racconta la storia dei numeri nell’arte, ovvero del loro inserimento “teologico” nei dipinti chiesistici, con abbondante utilizzo delle pagine di Cartari, il Virgilio di turno.
È un libro interessante, soprattutto per chi è disabituato a “vedere” l’opera artistica, limitandosi al manierismo di facciata. Ignorando le uniche opere d’arte “libere”, quelle preistoriche, una nozionistica scuola dell’obbligo ha insegnato a indugiare sulle pieghe delle vesti piuttosto che a riflettere su come e perché in tempi senza giornali né televisioni intere generazioni di pittori siano state indotte dai padroni di turno a riempire le pareti di edifici civili - ma più ancora religiosi - con dipinti utili alle lotte per il potere. Un esempio: per secoli nella basilica fiorentina di San Lorenzo, chiesa padronale dei ricchi banchieri de’ Medici, sacerdoti cattolici sono stati costretti ad officiare riti cattolici circondati da affreschi volutamente irriverenti verso il vescovo di Roma, con scene “eretiche” tratte da vangeli apocrifi. Tutto questo finisce quando i Medici conquistano l’ambito trono di Pietro: ora quei dipinti hanno perduto il loro valore politico, dunque si possono cancellare, sostituiti da altri, allineati al nuovo potere acquisito. Tutto questo lo ha ben spiegato Massimo Firpo nel suo libro edito da Einaudi nel 1997 col titolo: Gli affreschi di Pontormo a San Lorenzo. Sottotitolo: Eresia, politica e cultura nella Firenze di Cosimo I.

È in questo modo che si dovrebbe insegnare la Storia dell’arte - che è parte importante della nostra Storia. Disquisire sugli stili non porta molto lontano: il furbesco mantra “capra capra capra capra!” è dietro l’angolo. Per evitare che nasca “l’homo pensante”, televisioni, giornali e libri abbondano di notizie distorte. Credo sia un nostro impegno “non credere a nulla di quel che ci dicono e solo a metà di quel che vediamo”, imparando a incrociare le informazioni - che in materia d’arte ad uso “religioso” coinvolgono pesantemente l’antropologia, più che la teologia e certa filosofia.

© testo di Giancarlo Mauri