Max Jacob, di Marie Laurencin, 1907 |
Letta
l’autobiografia di Misia Sert - di cui racconterò a breve in un altro post -
subito ho ripreso il Diario (1942-1945)
di Jean Cocteau, un testo ricco di aneddoti sui suoi amici - e Misia per
Cocteau lo era.
Pagina dopo
pagina, nel Diario ritrovo lettere e
appunti su Max Jacob …e l’occasione è buona per trascriverli nella loro
interezza. Li trovate qui
di seguito, note redazionali comprese (ne ho eliminate alcune, non
indispensabili per la comprensione del testo).
Buona lettura.
Jean COCTEAU. Diario (1942-1945)
A cura di Jean
Touzot
Titolo
originale: Journal 1942-1945
Traduzione dal
francese di Giovanna Parodi
Revisione e
note redazionali a cura di Fernanda Littardi
Éditions
Gallimard 1989
Gruppo Ugo
Mursia Editore 1993
pp. 42-44, lunedì 6 aprile1942
Lunga lettera
di Max Jacob. Mi racconta le sue innumerevoli difficoltà con la Gestapo.
5 aprile 1942
Gioia
della tua lettera
Caro Jean,
appena giunta
la tua lettera, ecco i ricordi degli ultimi mesi... Una lettera di dodici
pagine!... Anzi, un libro di trecento pagine, solo per i miei rapporti con la
Gestapo... o i viaggi ripetuti per far vidimare la carta d’identità con un
freddo di x gradi, senza treno, senza auto né bicicletta, per poi sentirmi
dire: «Non abbiamo ordini!» (ed io: «ordini o ordine?») oppure «Si! ma ci vuole
il timbro e non lo abbiamo ancora!» Il timbro è quello che porta la parola ebreo. E quindi scene commoventi, i
funzionari mi stringono la mano come al cimitero... ecc.
Con la
Gestapo, è incominciata nel giugno ’40. Faccio, il cicerone nella Basilica:[1]
«Lei è ebreo! - Ah! lei arriva proprio a puntino, dice un prete. E il migliore
parrocchiano del curato. - Non fa niente, è la razza che conta, ecc.». In quel
mentre, la Gestapo va a chiedere al parroco perché ha un cicerone ebreo. Il
curato risponde che non ha un cicerone, e che bisogna amare il proprio
prossimo, qualunque esso sia. Nel frattempo, fui avvisato dal parroco stesso che
c’era un piantone alla porta della
Basilica per sorvegliare i miei movimenti.
Ingenua polizia! Mi hanno aspettato tre giorni, e, non vedendomi più, si sono
stancati. Quindici giorni dopo, un generale viene a visitare la Basilica...
Suona al presbiterio e chiede una guida. «Il parroco non c’è!» dice la donna di
servizio (o meglio la deliziosa signorina che compie quel lavoro per
dedizione). «E quando non c’è?...» chiede il generale. «Quando non c’è, sono io
che la faccio visitare. - Lei? - Io o qualche
altro parrocchiano.» Questo «qualche
altro parrocchiano» ha salvato tutto. Affare chiuso.
Il 4 novembre
scorso, arriva in camera mia un signore con gli occhiali e le spalle spioventi
(tipo Edmond Jaloux), con un soldato. «Polizia! - Molto lieto! Si avvicini al
fuoco! Fa tanto freddo, vero? - Cosa scrive? - Peccato che io non abbia i miei
libri... Ma ora che ci penso, ho almeno una brochure
di versi. Mi permette di regalargliela? Vorrebbe una dedica? Mi dica il suo
nome. Grazie!... Cosa le potrei scrivere?... Con simpatia? Perché no? Scriverò “ricordo”.»
Poi comincia a farmi delle domande.
«Tenga,
signore! Ecco un libriccino (il libro di Hubert Fabureau su di me), che
risponde in anticipo a tutto: data di nascita, biografia, analisi delle opere.
Non glielo regalo, perché ne ho una copia soltanto e vede come può essere
utile!! - Quindi lei è conosciuto. - Oh!!! Ho alcuni amici!». Dopo di che, vede
delle lettere sul tavolo, pronte per essere spedite, e me le porge perché le
apra... e le legge chiedendo spiegazione di ogni riga. Annota gli indirizzi,
poi bruscamente arriva allo scopo della visita: «E stata qui una signora ebrea?
- Ah si!! la signorina Bernstein... Ma non è ebrea... si chiama Martin. - Non
si tratta di quella! - Allora... non vedo... Ah! Parla della moglie di un ebreo
assunto per la vendemmia... Ma questo non mi riguarda... Interroghi piuttosto
la proprietaria!». La proprietaria sale e comincia una stupida chiacchierata:
«Vuole che la arresti?». Cerco di intervenire ma egli fa con le dita un gesto a
forma di becco, che significa: «Lei! Non si muova!». Se n’è andato portandosi
via le carte della mia povera padrona.
Questo mese,
lei era a Orléans, è entrata dalla Gestapo e ha reclamato le sue carte. Gliele
hanno rese rimproverandola di avere nomi ebrei nella sua rubrica. Non hanno
detto niente su di me. Affare chiuso.
La mia
famiglia è meno fortunata. Un cognato morto al campo di Compiègne! A mio fratello
hanno preso la bottega in rue Legendre. E il resto della famiglia minacciato...
Prevedo un tempo in cui la mia pietosa pittura darà da vivere a tutti. E perché
no? Sai che Paul Petit è a Fresnes? Traduce là, un mistico tedesco del
tredicesimo secolo, Maestro Eckhart, e sembra prendere con misticismo anche la
sua avventura.
Ti sbagli,
caro Jean; non faccio niente, o quasi. Actualités
éternelles era il titolo di una raccolta che non è mai stata pubblicata e
non lo sarà mai, perché non ho diritto di pubblicare (che fortuna!). Non ti
sapevo sotto l’occhio dei Barbari. Mi avevano detto soltanto che la tua ultima
commedia era proibita. Non sei il solo a vivere con gli uscieri. Sarah
Bernhardt non ha mai vissuto diversamente! -: «Mi mandi l’usciere!» diceva a
mio padre, antiquario a Quimper quando andava da lui a comprare: «Non pago mai
se non agli uscieri!» (sic). Si,
vorrei proprio vederti, ma non ci sono più macchine e tu non prenderai la
corriera. Leggo qualche volta le tue stupende cronache in «Comœdia», quando Salmon mi manda il giornale. Leggo anche la filosofia
di Philippe Lavastine: ha fatto progressi! e Audiberti che ha certe trovate in
quel guazzabuglio: «Il surrealismo è un tuono a forma di ponte».
Charles Trenet
è passato di qui! Ciò riflette una gran considerazione per me. Flaubert scrive:
«Emma serviva i vasetti di marmellata rovesciati su un piatto, il che
rifletteva una certa considerazione per Bovary». È proprio così... Ma se avessi
visto quei contadini correre dietro agli autografi!
Molti «giovani»,
ma assolutamente niente di nuovo nei
poemi. Penso che Béalu de Montargis - ti ricordi? - ti abbia spedito Mémoires de l’ombre.
«In fin dei
conti! Questi ostaggi! Non sono altro che comunisti o ebrei!», frase
pronunciata davanti a me dalla dama
di un ufficiale dei miei cari amici. Definisco questa frase complicità in
assassinio.
Gli anni che
verranno saranno propizi alla poesia, ma il ’42 è un anno terribile per tutti: Saturno.[2]
Misia è morta
o l’ho solo sognato?
Prego per te.
Del resto la disgrazia porta con sé la fortuna.
Un ricordo a
Jean Marais. Un ricordo a Picasso e anche a Lifar, a cui volevo bene.
pp. 107-109, giovedì 25 giugno 1942
La mostra di
Vuillard. Vuillard è squisito quando non è troppo aneddotico. Generalmente
supera l’aneddoto (come Vermeer). C’è un quadro magnifico: se fosse soltanto
una forma di gioiello, sarebbe un Albert Guillaume.[3]
Carré, nel suo
studio, mi mostra dei Dufy, dei Braque, dei Van Dongen. Ciò che mi manca, è la
conversazione. Da tempo non avevo potuto «parlare di pittura». Credo anche di
essermi lasciato trascinare, dalla vertigine della parola, a dire troppo quello
che penso. Braque[4] e il suo
perfetto gusto da modista povero. Dufy, l’irrigatore del teatro. Fa i suoi otto
davanti alla ribalta e non fa altro. Van Dongen, vecchio bebè che gioca con gli
oggetti da regalo. Era un pittore. La vita stramba di casinò lo relega tra
Picabia e Domergue. Allego la lettera di Max Jacob[5]
in cui cita il lavoro su Picasso che Picasso mi aveva letto e che Éluard ha
fatto fare senza dire di chi fosse la scrittura. Il silenzio di Éluard continua
(furioso per il Salut à Breker).
24 giugno (1942)
Saint-Benoît
Caro Jean,
sono un’anticaglia
in vetrina (i vetri della Loira). «Ha conosciuto Victor Hugo (sic)? Cos’era Gambetta?» Mi sembra di
essere la moglie di Alphonse Daudet che chiamava Zola, Émile e Maupassant, Guy.
In questo momento, e dopo la Pentecoste, è così tutti i giorni. Ma M. Bourla[6]
è veramente molto aggiornato - e decisamente intelligente, e credo che sarà un
amico. Mi piacciono i volti dalle vaghe onde grigie: sono molto rari.
Hai visto quel
consulto grafologico di M. Raymond Trillat su Picasso? Incredibile: «Ama
intensamente e uccide l’oggetto del suo amore». Ho soltanto poche righe
comunicatemi da Éluard. Trillat non sapeva di chi fosse la scrittura: «Mania
delle armi per difendere dagli altri il suo povero essere» (la parola povero mi
lascia un po’ perplesso). «Attinge tutto dalla tristezza... Per alcuni un pazzo
creatore, per altri, sublime... Appartiene ad un altro tempo, a un altro mondo:
cavalleresco, pazzo, infantile. Nietzsche che bacia un cavallo sulle narici.
Baudelaire superlativamente buono». M. Trillat viene consultato, all’ospedale
Necker, per la rieducazione dei bambini a sviluppo ritardato.
Quando mi
annoio, prendo un tuo libro a caso (sic)
- e anche quando non mi annoio...
Straordinario
il dito del piede rotto! Come hai fatto? E molto tempo fa, la statua è stata
completamente rotta a martellate, rifatta, rotta di nuovo.
Vorrei che tu
conoscessi la mia affittacamere. Quando ha saputo che Salmon era là, ha schiuso
la porta del salotto (di velluto d’Utrecht verde scuro con i quadri nell’ombra),
e si è fermata, come per caso, sulla porta socchiusa. Il salotto è sempre
chiuso ed è stato aperto solo per quella visione estatica.
Parlando di
Nizza, Vichy, Pau, Ginevra, dice: «In quelle città, il treno di Parigi arriva
sempre verso le quattro». È originale, non trovi?
«Rouen è sulla
Loira? (sic) Le Mans è in Bretagna.»
Pare che lei fosse, da giovane, una bellezza. Col pretesto delle nevralgie, si
avvolge la testa in parecchi scialli verdi, gialli, ecc. Vive in un miraggio,
immagina che le sue fattorie (vere, ma nessuno paga l’affitto), siano zeppe di
legna da bruciare e si stupisce anche, sinceramente, che non gliela portino a
casa. In realtà, se io non comprassi la legna da un negoziante di legname (che
del resto non la consegna a domicilio), passeremmo inverni interi senza
riscaldamento - cosa che, d’altra parte, non si è ancora verificata.
Ha degli
impeti di furore e di indignazione veramente comici.
Credo che M.
Bourla tornerà oggi o domani: gli parlerò di Guillaume, di Fabio, ecc., di
Jules, di Pierre, di Arthur, di Paul, di Léon, di Léon-Paul e di Amédée
(Modigliani).
Ti abbraccio
Max
p. 1111, mercoledì 1° luglio 1942
Cena con
Valéry e Mondor.
Mondor
racconta che gli hanno portato uno che si era tagliato il pene. Gli chiede
perché: “Basta con le stronzate”, risponde. Valéry racconta una battuta molto
bella di uno spagnolo accecato da una palla da pelota basca: “Buona notte,
signori!”. Valéry mi prega, se scrivo a Max, di inviargli i suoi saluti. Ieri
il giovane B.,[7] di
ritorno da Saint-Benoît, diceva: “Max chiama Valéry abominevole imbroglione”.
Valéry l’intelligente non si rende conto nemmeno per un attimo di un certo tipo
di intelligenza come il nostro.
pp. 285-286, Notte di Natale
Max Jacob mi
scrive da Saint-Benoît-sur-Loire:
Saint-Benoît, 15 dicembre
Caro Jean,
se ti cresce
la barba bianca, la mia cresce ultra... Come avrei voluto riceverti sulle verdi
distese del mio paese di trent’anni fa, nel Finistère di Pierre Loti.[8]
Hanno fatto saltare le rocce per costruire dei block-notes.[9]
Ma ci sono ancora le ostriche! Resiste un po’ troppo lo stile Sarah Bernhard! e
la pittura a spatola che tu per primo hai fatto notare e con tanta precisione:
i pittori di Quimperlé[10]
pensano di essere rivoluzionari, dipingendo con la spatola come Dunoyer de
Segonzac.[11] Non
porteranno via le ostriche né la pittura con la spatolaccia, la stessa con cui
si spalmavano il burro e il lardo. In questo mese, il Finistère è la Scozia!
Non la Scozia dei viaggi in calesse, con i laghi e gli abeti, ma la Scozia dei
«laghisti»,[12] i poeti
che imitavano Béranger o Greuze: i bretoni sono Greuze o Béranger sullo sfondo
di nebbie madreperlacee e colline nere. D’estate, il tuo angolo di Névez è una
stampa giapponese - il fiume di Pont-Aven. Riceverti davanti alla prefettura di
Quimper sul muschio e nel mio bosco di faggi vent’anni fa! Ciò nonostante,
vorrei che andassi a Quimper: non ho più nessuno là, mia sorella è morta di
dolore (sic) e mio fratello è stato
portato in Germania, in una prigione non si sa dove. Se tu dovessi avere
qualche noia amministrativa o altro (Dio sa che ci si può aspettare di tutto)
rivolgiti al dottor Tuzet, medico della prefettura, 16 rue Vis. È un uomo spiritoso
e tenero, influente, ingegnoso e grafologo geniale, padre di un’adorabile
famiglia. Vallo a trovare anche senza seccature... Ti saprà dire di certo un
luogo dove potrai trovare degli approvvigionamenti (come si dice con una parola
sinistra).
Per vie
impreviste, ricevo spesso tue notizie. Montargis va a Parigi dove bazzica gente
informata. Montargis, cioè Béalu! Anche Jean-François mi dà tue
notizie. Io lo chiamo l’Amico di professione!
Sì, Raymond[13]
è nel mio libro da messa. Prego per lui, anche quando non lo nomino, cioè
raramente.
Mi parli di
una stufa che fuma. Qui ho della legna - in questo momento, improvvisamente, in
abbondanza -, ma i ceppi grossi, così deliziosi in poesia, in fatto di comfort
sono del tutto negativi: non bruciano, ci vorrebbero dei pezzetti, della
carbonella, dei pampini di vigna,
come dice una signora di qui. Devo alimentare il fuoco continuamente, ho le
mani nere e niente acqua calda per lavarle - nemmeno acqua fredda: tre brocche
sono bucate e lo stagnino non vuole lavorare per l’affittacamere, odiata da
tutti. Se la carta è sporca, lo è per tutti questi motivi.
Credo che tu
sia nel paese dei Polignac. Credo che Jean sia morto.
Il tuo amico
fedele,
Max
Max ha
ragione. Dalla baronessa, siamo tra Greuze e Béranger. I Botrel, che abitano a
Pont-Aven, sono tra Béranger e Greuze. Mi pento di non aver approfittato
dell’invito di Mme Botrel. Sarebbe stato bellissimo scrivere una pièce in casa loro. E inoltre ci si
scalda e si mangia in maniera superlativa.
p. 298, 22
gennaio 1944
Saint-Benoît-sur-Loire (Loiret)
20 gennaio 1944
Carissimo Jean,[14]
mi dicono che
Sacha Guitry può far liberare della gente. Caro Jean, vivo in un’angoscia
insopportabile. Con l’idea della sofferenza redentrice ho sopportato la
distruzione della casa paterna a Quimper, la morte di mia sorella maggiore,
quella di mio cognato e l’incarcerazione di mio fratello. Ora, hanno arrestato
mia sorella, la mia sorella prediletta. Ne morirò.
Quella cara
bambina è stata la mia compagna d’infanzia. Le disgrazie le piovono addosso da
quando si è sposata: suo marito è morto nel campo di Compiègne per le torture;
aveva un figlio solo, che da anni è in manicomio. Andava a trovarlo tutte le
domeniche; le tolgono anche questa dolorosa consolazione, è una cosa disumana;
è infernale. Ho scritto al vescovo di Orléans, all’arcivescovo di Sens,
scriverò al superiore del monastero della Pierre-qui-vire.
Ti chiedo
scusa di disturbarti nel tuo lavoro. Ma a chi posso chiedere aiuto? Ho scritto
a Misia. Se scrivessi a Sacha Guitry, la mia lettera verrebbe messa tra quelle
delle solite richieste. Con una tua parola, Sacha la prenderà in
considerazione.
È troppo! Se
non avessi il Signore, penserei al suicidio. Penso al monastero, ma mi deciderò
a questo atto estremo quando mio fratello e mia sorella saranno liberati.
Mio fratello
si chiama Gaston Jacob, è stato arrestato il 16 dicembre 1942 e condotto non si
sa dove. È nato il 14 maggio 1875 a Quimper, da dove non si è mai allontanato.
Era un tranquillo commerciante, né povero né ricco.
Mia sorella è
la moglie di Lucien Lévy, abitava al 18 di rue Oberkampf. (È nata il 24 agosto
1885 o 1886.) Il marito aveva una piccola impresa artigiana al 16 di rue de la
Pierre-Levée (XIe). Lei lo aiutava. La loro unica impiegata mi ha
scritto una lettera commovente.
La mia
famiglia risiedeva in Bretagna da più di cent’anni ed era benvoluta.
Cosa dire?
Grido aiuto, ti chiamo in aiuto e ti abbraccio. Prego per te.
Max
Cosa sarà del
mio povero nipote, mal nutrito e solo nella sua cella di malato a Villejuif?
p. 310, 2
febbraio 1944
Saint-Benoît-sur-Loire
Loiret
2 febbraio 1944
Caro Jean,[15]
non ti
ringrazio. Sapevo… conosco il tuo cuore. Ho fiducia solo in te.
Sacha Guitry,
contattato da Marcelle Bourlier, ha detto che se fossi stato io, avrebbe potuto
far qualcosa. Vuol dire dunque che si può far qualcosa. Sì, hai ragione: è un
incubo. La mia vita è in una fossa nera.
Ho voglia di
scrivere a Chanel. Potresti andare a trovarla. Mia sorella potrebbe essere
salvata se vi ci mettete tutti e due.
Sì, Jean,
Girardoux! Tu, lui e Picasso, le uniche persone intelligenti che io abbia
conosciuto. Ma non dirlo agli altri.
Il tedio di
Saint-Benoît con quel muro per orizzonte: la prigione di mia sorella! Una
colomba, un agnello in prigione! E suo figlio da quindici anni in manicomio. Andarlo
a trovare alla domenica era la sua unica consolazione.
Ti voglio e ti
abbraccio
- sì -
Max
p. 323, 25 febbraio 1944
Lettera di
Béalu (Montargis). Max Jacob arrestato a Saint-Benoît, portato di certo a
Orléans. È atroce.[16]
pp. 323-324, lunedì 28 febbraio 1944
Ieri,
bisognava salvare Max. Ho visto Sacha che mi ha indicato i passi da compiere,[17]
Sert agirà tramite l’ambasciata di Spagna, Prade vuol portare un mio breve
scritto su Max al responsabile delle prigioni ebree (pare che il responsabile
mi ammiri e conosca Max).
Buone
speranze.
Stamattina ho
spedito il testo. Prade telefona e dice che il testo è magnifico e che mi
spedisce delle orchidee. Tutte queste orchidee che mi mandano serviranno da
modelli per il quadro del Palais-Royal.
per salvare max jacob...[18]
«[...] Con
Apollinaire, egli ha inventato una lingua che domina la nostra lingua ed
esprime le profondità.
«È stato il
trovatore di quel torneo straordinario in cui Picasso, Matisse, Braque, Derain,
De Chirico, si affrontano e lottano con i loro stemmi colorati.
«Da molto
tempo, Max ha rinunciato al mondo e si nasconde all’ombra di una chiesa.
«La gioventù
francese gli vuol bene e gli dà del tu, lo rispetta e lo ammira come un
esempio. Io poi ne ammiro la nobiltà, la saggezza, la grazia inimitabile, il
prestigio segreto, la «musica da camera», per dirla con Nietzsche.
«Aggiungerò
ancora che Max Jacob è cattolico da vent’anni. I sottoscritti si permettono di
segnalare alle autorità competenti il caso molto particolare di Max Jacob.
«Non ha quasi
contatti con il mondo, se non attraverso le innumerevoli amicizie di giovani
poeti e grandi protagonisti della letteratura francese. L’età e il
comportamento, così nobile e degno, spinge il nostro cuore e lo spirito a fare
quest’estremo tentativo per liberarlo e salvare una vita che ci sta a cuore.
Jean Cocteau.»
pp. 325-326, martedì 29 febbraio 1944
Ricevuta la
lettera di Max qui allegata.[19]
Caro Jean,
ti scrivo da
un vagone con la compiacenza dei gendarmi che ci sorvegliano. Presto arriveremo
a Drancy. E tutto quello che ho da dirti.
Sacha, quando
gli hanno parlato di mia sorella, ha detto: «Se fosse lui, potrei fare qualcosa!»
Ebbene, sono
io.
Ti abbraccio
Max
Prade mi
telefona che abbiamo buone possibilità di farcela.
pp. 327-328, 15 marzo 1944
Max Jacob è
morto.[20]
È spaventoso. Ieri sera alle dieci, Prade mi ha telefonato dicendo che la sua
istanza di liberazione era stata firmata.[21]
La notizia della morte arriva stamattina dal sindaco di Saint-Benoît. La
lettera qui allegata che Max mi aveva scritto dal treno è di quindici giorni
fa.
La notizia
della morte deve avere impiegato dieci giorni ad arrivare. Quindi il dramma si
è svolto in otto giorni. Ma quale dramma? Era malato?
Ho telefonato
a Picasso e a Pierre Reverdy.[22]
Prade farà
fare delle ricerche del corpo.
Max era un
angelo, un bambino come Saint-Pol Roux.[23]
Perdita
inestimabile.
p. 328, marzo 1944
Prade ha
finalmente trovato la tomba di Max a Ivry. Vi ha fatto mettere una croce, un
recinto e una targhetta. Dopo la guerra, Max sarà trasferito a Saint-Benoît, ma
bisogna salvaguardare la tomba. Max aveva fatto testamento e aveva nominato suo
esecutore testamentario Pierre Colle. Pierre è venuto a trovarmi. Domani andrà
a Saint-Benoît e cercherà di salvare le carte e le poesie. (Ne aveva inviate
alcune copie a parecchie persone.) Max è arrivato a Drancy quindici giorni fa,
in ottima salute, abituato a uno stile di vita durissimo, al digiuno, al
freddo. Sei giorni dopo era morto. Misia Sert fa dire una messa a Saint-Roch.[24]
Pierre ha visto il fratello di Max, simile a Max, meno tutto. È l’unico ancora
libero della famiglia.
p. 394, 3 dicembre 1944
Ieri, a pranzo
da Pierre Colle, visto i manoscritti di Max. Riempiono tre armadi. Dal 1925,
Max non aveva pubblicato nulla e tutti i giorni scriveva per ore. Ce n’è
abbastanza per pubblicare cento volumi di poesie e di prose. Éluard mi ha
chiesto di curare con lui la scelta delle poesie. È impossibile: bisognerebbe
dedicarvi un anno di lavoro.
Una storia di
Max.
Una signora
diventata ricca con i pianoforti (Mme Steinway) non poteva sentir parlare di
pianoforti. Cena in un castello nei dintorni di Montargis. Si avvertono tutti:
nessuno deve parlare di pianoforte. La signora è contentissima. Ma, al momento
della partenza, sulla scalinata esterna, la padrona di casa dice: «Aspetti,
faccio portare il pianoforte».
[1] Si sa che Max
Jacob viveva nascosto nell’abbazia benedettina di Fleury a Saint-Benoît-sur-Loire.
[2] Appassionato
d’astrologia, Max Jacob faceva oroscopi per gli amici. Così, nel 1938, aveva
messo in guardia Jean Marais contro un segno del destino degno di Lorenzaccio.
[3] Albert
Guillaume (1873-1942), disegnatore, acquarellista, era considerato un pittore
molto «parigino». È contemporaneo di Edouard Vuillard (1868-1940).
[4] I testi più
tardivi di Cocteau su Georges Braque (1882-1963) e su Raoul Dufy (1877-1953),
dimostrano meno riserve (cfr. Le Passé
défini, 2, p. 160 e pp. 373-374). Kees Van Dongen (1877-1968), invece, non
uscirà mai dallo spazio angusto cui lo confina quel giorno J. Cocteau: tra il
mondano Jean-Gabriel Domergue (1885-1962) e il dadaista della pittura, Francis
Picabia (1879-1953).
[5] Una copia
dattiloscritta della lettera ci è stata trasmessa da Paul Morihien.
[6] Jean-Pierre
Bourla, nato nel 1923 o 1924, aveva avuto al liceo Pasteur, nel 1941,
nell’ultimo trimestre della terza liceo, J-P. Sartre come professore di
filosofia e Max Jacob come consigliere poetico. Dalle memorie di Simone de
Beauvoir conosciamo il suo tragico destino: spagnolo di origini ebree, fu
arrestato, internato a Drancy e fucilato a vent’anni.
[7] Cocteau conosce Marcel
Béalu, nato nel 1908, dal 1938. È Max Jacob che lo porta dal “cappellaio poeta”
di Montargis (Le Foyer des artistes,
p. 88). Nel 1941, Béalu ha pubblicato L’île au cri de
silence
(Cahiers de Rochefort) e Mémoires de
l’ombre (Debresse) di cui Max Jacob, nella sua lettera del 2 aprile,
riprodotta alle pp. 43-44, raccomanda la lettura a J. Cocteau.
[8] Da intendere
piuttosto nel senso del Finistère dell’epoca di Pierre Loti (1850-1923,
pseudonimo di Julien Viaud). Perché lo scrittore della Charente, ufficiale di
marina, formatosi a Brest, lo descrive soltanto nel suo romanzo Pécheur d’Islande (1886), la cui storia
si svolge a Paimpol. Vengono descritte anche le lande del Nord Finistère.
[9] La selezione
fatta da François Sentein corregge prudentemente in
«block-haus» come se non si potesse dar credito alla fantasia verbale di Max
Jacob.
[10] È l’«École de
Pont-Aven», che alla fine dell’Ottocento raggruppa intorno a Paul Gauguin
pittori quali Émile Bernard e Paul Sérusier.
[11] André Dunoyer
de Segonzac (1884-1974) faceva parte dei pittori - più numerosi degli scrittori
- che avevano risposto nel 1942 all’invito dei loro colleghi tedeschi. Come
paesaggista, Segonzac è più noto per gli acquerelli che per le pitture a
spatola.
[12] Poeti
inglesi, che all’inizio dell’Ottocento vivevano nella regione dei laghi, nel
Nord-Est dell’Inghilterra e tra i quali i più noti furono Wordsworth e
Coleridge. Questa pochade critica, che comprende lo chansonnier Pierre-Jean de Béranger (1780-1857) e risale fino al
pittore Jean-Baptiste Greuze (1725-1805), richiederebbe molti commenti.
[13] Radiguet, che
Max Jacob conobbe poco prima di Jean Cocteau, cfr. n. 1 p. 129.
[14] Sebbene
Cocteau non la menzioni nel suo diario, abbiamo inserito questa lettera, di cui
Paul Morihien ci ha consegnato la versione dattiloscritta, probabilmente con la
data in cui è stata ricevuta. Con le grida di allarme del 2 e del 28 febbraio
(Cfr. p. 310 e 325), la lettera segna una tappa commovente del calvario di Max.
[15] Sebbene non
vi sia nessun riferimento, inseriamo nel diario questa lettera, che preannuncia
in modo così tragico quella del 28 febbraio. (Cfr. p. 325.)
[16] Lettera non
ritrovata. Max Jacob viene arrestato dalla Gestapo il 24 febbraio, alle 11 del
mattino, mentre stava uscendo dalla messa in cui aveva appena servito nella
cripta della basilica. Lo conducono dapprima nella prigione di Orléans. In
questa circostanza, R. Lannes resta commosso dall’atteggiamento di Cocteau: «Dà
prova di un cuore più grande di quanto gli abbia mai visto» (Frammento del
diario, in data del 27 febbraio 1944).
[17] Jean Cocteau
accumula tutte le possibilità di successo: Sacha Guitry e soprattutto José
Maria Sert hanno già dato prova della loro influenza, l’uno nel salvare Tristan
Bernard, l’altro, Maurice Goudeket. In quanto a Georges Prade, magnate della
stampa e consigliere comunale di Parigi, persiste sino in fondo in una
«collaborazione attiva», secondo l’espressione di H. Michel (Paris allemand cit., p. 162). Ricordiamo
che nel consiglio comunale sedeva accanto a Darquier de Pellepoix, noto
antisemita. Jean Luchaire, come il suo direttore, era amico di Otto Abetz.
[18] Abbiamo
inserito qui, e con un titolo che non tradisce Cocteau, un lungo frammento
della petizione firmata da parecchi amici di Max, tra i quali A. Salmon, H.
Sauguet, S. Guitry, P. Colle. Paul Morihien, in bicicletta, era andato in giro
per tutta Parigi a raccogliere le firme. Cfr. É.
Charles-Roux, L’Irrégulière, ou Mon
itinéraire Chanel, Parigi, Grasset, 1974, p. 548.
[19] Il 28, Max fu
trasferito da Orléans a Drancy. Si sa che durante il tragitto aveva redatto
almeno altre due lettere, che uno dei gendarmi della scorta imbucherà alla gare
d’Austerlitz: una a Paul Bonet, rilegatore d’arte, per il quale Max miniava i
libri, l’altra al canonico Albert Fleureau, parroco di Saint-Benoît-sur-Loire. Lucien Scheler pubblica l’ultima lettera in La Grande Espérance des poètes, 1940-1945
(éd. Temps actuel, 1982, p. 270).
[20] Il 4 marzo
1944, alle 21.30, nel suo sessantottesimo anno... Il 2, Max, per una
congestione polmonare, fu inviato all’infermeria del campo. «Il male progrediva
rapidamente e Max si lasciò morire, mormorando: “Sono con Dio”» (Lucien
Scheler, op. cit., p. 270). Il diario
di R. Lannes conferma che la triste notizia arrivò a Cocteau il 15 marzo.
[21] Un’uguale
consapevolezza di un inutile successo da parte spagnola, secondo Misia Sert:
«L’ordine di liberazione che Sert finì con l’ottenere, giunse troppo tardi».
(A. Gold e R. Fizdale, Misia, cit.,
p. 342.) La «Lettera qui allegata», è quella di p. 325.
[22] Il poeta
Pierre Reverdy (1889-1960) conosce Max Jacob e J. Cocteau dal 1916. Tutti e tre
parteciparono alle attività artistiche di «Lyre et Palette» a Montparnasse, ed
è M. Jacob che presenta Reverdy al pubblico, quando lancerà la rivista
«Nord-Sud». Come M. Jacob, P. Reverdy viveva proteggendosi in un’abbazia
benedettina: Solesmes.
[23] Membro
dell’Académie Mallarmé, il poeta Saint-Pol Roux (Paul-Pierre Roux, 1861-1940)
era stato la prima vittima della barbarie, nel giugno 1940, nel suo castello di
Coceilian, vicino a Camaret.
[24] Il diario di
R. Lannes permette di datarla. Fu celebrata il 21 marzo. «L’atmosfera è “da
catacomba”. Per poco, si sarebbero sentiti ruggire i leoni alle porte». Lannes
nota la presenza di Éluard, Sauguet, Herrand, Marchat, Salmon, Pierre Colle,
Misia Sert, Chanel, Mollet. A questa lista, aggiungiamo quella di L. Scheler:
«C’erano Cocteau e Picasso - compagni del Bateau-Lavoir - Dora Maar, Pierre
Reverdy, [...], François Mauriac, [...], Paulhan e Raymond
Queneau» (op. cit., p. 336). R.
Lannes conclude così il racconto della cerimonia: «Quando ci siamo ritrovati
con Yanette Délétang-Tardif, Colle e Salmon, nella camera di Jean Cocteau, poco
dopo, abbiamo misurato con tristezza lo spazio cruento che la scomparsa di Max
aveva lasciato tra noi». (Frammento datato 21 marzo 1944.)
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