1905, primi giorni di marzo: la polizia austriaca ha deciso di espellere tutti gli stranieri da Pola e i Joyce,
costretti a partire immediatamente, prendono la strada per la triste Trieste, gioco di parole che
unito al termine noia riporta alla
memoria quanto scritto da Stendhal, vissuto in questa città nel 1831. Ma le opinioni
sulla noia sono a loro volta noiose: mi divertono di più le fulminanti sentenze
alla Jean Cocteau, tipo: “Goethe? Se fosse stato un genio lo si
sarebbe saputo.”
Rientro in carreggiata e riprendo
a raccontare delle date e degli indirizzi joyciani, di fondamentale importanza
per capire i suoi scritti. Sì, perché
Joyce ama raccontare fatti reali, camei
di vita vissuta, ritratti di persone da lui conosciute, frasi da lui ascoltate.
Nessun ricorso alla fantasia del romanziere, ma un’attenzione alla verità dei
fatti degna della miglior scuola di pignoleria. Un esempio? Il suo libro sui Dubliners - suggerisce all’editore Grant
Richards - è stato scritto “per la maggior parte in uno stile di ricercata
bassezza” e intriso dello “speciale odore di corruzione, che, spero, aleggia
nei miei racconti”, un ricordo, questo, degli anni “di angoscia e collera” passati
vagando dall’una all’altra delle squallide case affittate da suo padre nei
quartieri più infimi popolati dai sub-cittadini “esclusi dalla festa della
vita”.
Scrive Ellmann in James Joyce, op. cit., p. 253: «Non era affatto cosa sicura che i
suoi racconti avrebbero trovato un editore, e questa incertezza durò per altri
nove anni. “Non riesco a scrivere se non offendo qualcuno,” constatò. Tuttavia
era soprattutto al verismo che egli attribuiva il particolare pregio dei
racconti. Prima d’inviarli in esame a Grant Richards il 3 dicembre verificò
scrupolosamente tutti i particolari. Chiese a Stanislaus di accertarsi se un
prete può essere sepolto con l’abito talare, come padre Flynn in The Sisters; se le vie Aungier e Wicklow
si trovano nella Royal Exchange Ward e se un’elezione municipale può aver luogo
in ottobre (per Ivy Day in the Committee
Room); se i poliziotti di Sydney Parade appartengono alla divisione D, se
l’ambulanza della città può accorrere a Sydney Parade per un incidente e se una
persona rimasta ferita là può essere trasportata e ricoverata al Vincent’s
Hospital (per A Painful Case); e
infine (per After the Race) se i
poliziotti ricevono le provvigioni dal governo anziché per contratti
particolari.»
1905, 5 marzo: pochi giorni dopo
il loro arrivo a Trieste, dove Almidano Artifoni ha offerto a James un posto di
insegnante alla Berlitz miseramente retribuito, i Joyce si sistemano in una
camera al n. 3 di piazza del Ponterosso, terzo piano, con vista sul Canal Grande,
dove rimangono un mese in quanto la padrona di casa, la moglie del
fruttivendolo con negozio al piano terra, li informa che non gradisce avere tra i piedi dei
piccoli urlanti. A pochi passi, in riva Carciotti (oggi riva
III Novembre) c’è la chiesa greco-ortodossa di San Nicolò e Joyce, sensibile
agli aspetti esteriori della recita ecclesiastica, inserirà questa esperienza in
The Sisters, il racconto che apre Dubliners (Dublinesi, malamente tradotto in Gente di Dublino), ma anche in Dedalus.
Nora è visibilmente incinta e
trovare una nuova stanza non è cosa facile. Ai Joyce viene in aiuto la signora
Canarutto - moglie del tappezziere Moisé, con bottega in piazza Scuole
Israelitiche 2 -, che affitta loro una stanza del suo appartamento di via San
Nicolò 30, secondo piano, a due passi dalla Berlitz School, che è al primo
piano del n. 32 (ma nel 1906 si trasferirà in un palazzetto liberty di fronte,
al n. 33, e poi, nel 1908, in via della Cassa di Risparmio 1). Nora non apprezza
la cucina di casa Canarutto e James le offre pranzo e cena nei ristoranti socialisti della zona, un aggravio di
spesa così da lui commentato: “Non faccio che farmi prestare soldi”. In
effetti la Berlitz paga poco e Almidano Artifoni usa terrorizzare i docenti con
continue minacce di licenziamento qualora questi avessero dato lezioni private.
Malgrado il diktat del direttore, i buoni auspici di un allievo, il conte
Francesco Sordina - un facoltoso commerciante d’origine greca, domiciliato al
n. 2 di via della Barriera Vecchia, oggi corso Saba 6 - forniscono a Joyce un certo
numero di clienti importanti.
L’obbligata convivenza in una stanza d’affitto, la palese infelicità di Nora e il frustrante lavoro alla Berlitz spingono Joyce a cercare sollievo fuori casa e il caffè Stella Polare - in via Sant’Antonio, all’incrocio con via Bellini - è tra i suoi preferiti. Altre volte lo si incontra nelle osterie All’Alpino di via Rittmeyer 20, Ai due dalmati o Al pappagallo - entrambi in via Capitelli -, Ai due leoni in via dell’Arcata 16, non dimenticando il quartiere dei bordelli dell’area di Cavana «una città vecchia dalle decrepite stamberghe, con i muri marciti, le quali si stringono insieme le une alle altre sulle luride viuzze sospette, sotto cui una moltitudine di fetidi canali primitivi inquinano il sottosuolo e infettano l’aria con le loro esalazioni. Chi passa per la città vecchia durante lo scirocco è colpito da un puzzo, e cerca di trattenere il respiro: sono le esalazioni di gas mefitici, i quali provengono dal sottosuolo attraverso le connessure e le aperture del lastrico, e dalle casupole. Ognuno raccapriccia quando, passando per via, vede aperto, per necessità di restauro, uno di quei rigagnoli melmosi, dalle pareti sconquassate e permeabilissime […] I canali sono coperti dalle sole pietre del lastrico, dalle connessure delle quali e dalle altre aperture ad ogni pioggia forte rampolla, scorrendo per le vie, l’acqua infettata delle materie fecali, la quale dove il lastrico si avalla, forma delle pozzanghere i cui sedimenti, dopo asciutti, diventano polvere respirata dai polmoni». [Itinerari Triestini. James Joyce, di Renzo S. Crivelli, MGS Press, Trieste, 2008, pp. 47 e 49]. Questi bassifondi, insieme a quelli ancor più fetidi dell’area dei bordelli di Dublino, si ritrovano nel XV episodio di Ulysses (Circe).
L’obbligata convivenza in una stanza d’affitto, la palese infelicità di Nora e il frustrante lavoro alla Berlitz spingono Joyce a cercare sollievo fuori casa e il caffè Stella Polare - in via Sant’Antonio, all’incrocio con via Bellini - è tra i suoi preferiti. Altre volte lo si incontra nelle osterie All’Alpino di via Rittmeyer 20, Ai due dalmati o Al pappagallo - entrambi in via Capitelli -, Ai due leoni in via dell’Arcata 16, non dimenticando il quartiere dei bordelli dell’area di Cavana «una città vecchia dalle decrepite stamberghe, con i muri marciti, le quali si stringono insieme le une alle altre sulle luride viuzze sospette, sotto cui una moltitudine di fetidi canali primitivi inquinano il sottosuolo e infettano l’aria con le loro esalazioni. Chi passa per la città vecchia durante lo scirocco è colpito da un puzzo, e cerca di trattenere il respiro: sono le esalazioni di gas mefitici, i quali provengono dal sottosuolo attraverso le connessure e le aperture del lastrico, e dalle casupole. Ognuno raccapriccia quando, passando per via, vede aperto, per necessità di restauro, uno di quei rigagnoli melmosi, dalle pareti sconquassate e permeabilissime […] I canali sono coperti dalle sole pietre del lastrico, dalle connessure delle quali e dalle altre aperture ad ogni pioggia forte rampolla, scorrendo per le vie, l’acqua infettata delle materie fecali, la quale dove il lastrico si avalla, forma delle pozzanghere i cui sedimenti, dopo asciutti, diventano polvere respirata dai polmoni». [Itinerari Triestini. James Joyce, di Renzo S. Crivelli, MGS Press, Trieste, 2008, pp. 47 e 49]. Questi bassifondi, insieme a quelli ancor più fetidi dell’area dei bordelli di Dublino, si ritrovano nel XV episodio di Ulysses (Circe).
1905, 27 luglio; fa caldo e Joyce
vorrebbe passare il pomeriggio al mare, ma dopo una sosta al bar decide di rientrare a casa, dove trova Nora in preda a forti dolori che i due interpretano come il frutto di una indigestione. In realtà Joyce aveva sbagliato a contare i
mesi della gravidanza: i coniugi erano convinti di essere all’ottavo ...anziché al nono. Infatti, è la più esperta padrona di casa a parlare di doglie e a chiamare una
ostetrica, mentre James corre da un suo allievo, il dottor Sinigaglia,
chiedendogli la cortesia di essere lui ad assistere la partoriente. Alle nove di sera nasce Giorgio.
Il giorno dopo James manda un cablogramma a Stanislaus: “Figlio nato Jim”,
seguito da una lettera in cui chiede al fratello di farsi prestare dall’amico Vincent
Cosgrave una sterlina per pagare le spese del parto.
Tra un trasloco e l’altro James non
ha smesso di scrivere il suo Stephen Hero.
Si legge in Ellmann, op. cit., p. 250: «Il
15 marzo aveva terminato diciotto capitoli, venti il 4 aprile, ventuno a maggio,
ventiquattro il 7 giugno. […] Gli mancavano ancora trentanove capitoli da
scrivere per Stephen Hero; ma
intanto, con rapidità molto maggiore, riuscì a dare una buona spinta a Dubliners. L’8 maggio aveva già scritto A Painful Case; The Boarding House fu pronto per il 13 luglio e Counterparts per il 16; Ivi Day in the Committe Room fu
terminato il 1 settembre, An Encounter
il 18, A Mother alla fine dello
stesso mese; Araby e Grace durante ottobre. A luglio,
comunicando che presto avrebbe finito il libro, annunziò che ne sarebbe seguito
un altro, intitolato Provincials. Al
principio dell’autunno studiò la disposizione del materiale di Dubliners. Nel saggio A Portrait of the Artist e in Stephen Hero, aveva insistito sulla
necessità di rappresentare il proprio io sia nella fase della puerizia che in
quella della maturità. In Dubliners
volle vedere anche la città come un individuo la cui vita poteva essere
distinta in quattro fasi, la prima rappresentata da bambini, l’ultima da
personaggi ormai maturi.»
1905, autunno: James insiste
perché suo fratello Stanislaus lo raggiunga a Trieste dove c’è una cattedra
vacante alla Berlitz e Artifoni non avrebbe problemi ad assumerlo. Stanislaus,
che ha ventun anni, deve decidere tra un nero futuro da impiegato sottopagato a
Dublino, oppure riunirsi al fratello e condividere con lui gioie e debiti. Alla
fine decide per questa seconda opzione e il 20 ottobre lascia Dublino. Dopo un
viaggio “monacale” sui vagoni ferroviari di quarta classe per mancanza di
denaro, appena installatosi in casa Canarutto, in una stanza accanto a quella
del fratello, Stanislaus viene informato che James è rimasto con un solo
centesimo in tasca, con immediata richiesta di un prestito. Il giorno dopo
Stanislaus inizia a lavorare alla Berlitz in cambio di 40 corone alla
settimana, soldi che James fin da subito ritira per lui, aggiungendoli ai suoi
quarantadue. Una cifra discreta, tutto sommato, ma ben poca cosa se affidata a
James: pranzi e cene in trattoria, serate passate a bere nei bar o frequentando
bordelli contribuiscono a tenere la famiglia nella continua povertà.
1906, gennaio: i Francini
propongono ai Joyce di tornare a vivere tutti insieme in un solo appartamento,
come ai tempi di Pola, suddividendo le spese. Detto fatto, il 24 febbraio i
Joyce e i Francini si installano nella casa al n. 1 di via Giovanni Boccaccio, secondo
piano. Nora continua a non voler cucinare e quindi i Joyce riprendono a
frequentare ristoranti e trattorie, quali l’Antica Bonavia al n. 4 di via Procureria.
James, terrorizzato dall’idea che Nora potesse restare di nuovo incinta, pratica
un suo personale metodo di controllo delle nascite: quando non lo trovano
ubriaco in qualche bettola è facile trovarlo in qualche bordello. Francini,
nella sua conferenza Joyce intimo
spogliato in piazza pubblicata come opuscolo nel 1922, ci rende partecipi
di alcune frasi ascoltate in quel periodo di convivenza: «Mia moglie ha imparato l’italiano,
il che basti a far debiti comodamente. Io non li pago. Li pagherà Berlicche? [Berlitz] ciò non mi riguarda. I
creditori mi dicono di mettermi in giudizio. Mi no go giudizio. Se se trataria de scoder tanto, tanto… ma pagar? Mi
no mi. E go mastruzà la petizion. […] L’agente delle tasse è un ignorante
che mi secca continuamente mi ha empito il tavolo di foglietti a mano dove c’è
scritto: Monitorio, monitorio, monitorio. Io gli ho detto che se non la smette
lo mando a farsi fo…raggiare da quel tagliaborse del suo padrone. Il
tagliaborse è il governo di Vienna. Potrà esser domani quello di Roma. Ma o
Vienna o Roma o Londra, per me i governi son tutti a un modo, filibustieri. […] Questa
mattina - cosa strana perché non mi càpita mai - ero senza il becco di un
quattrino. Sono andato dal mio Diretor e
ghe go dito come che se; gli ho chiesto un anticipo sullo stipendio. La
chiave della cassaforte non la jera
inruginida; ma el Diretor mi ha
rifiutato l’anticipo dicendomi che sono un pozzo. Gli ho risposto che ci si
affoghi e me ne sono venuto”. “Ostrega,
ma come fazzo mi povaro! […] Mia moglie non sapesse far altro, sa far
figlioli e bolle di sapone. Bene, così non moriremo mai di fame. I figliuoli
portan ricchezza, dice un proverbio italiano. Infatti Giorgio ha le scarpe
rotte. Ma mia moglie se ne frega e seguita a far bolle di sapone. Cogliomberi!
Se non ho giudizio, dopo Giorgio primo, essa è capace di scaricarmi il secondo
del ramo maschile della dinastia. […] No, no, Nora mia, questo scherzo mi
capacita poco. Perciò, finché a Trieste ci saranno petesseri, credo che al tuo uomo convenga passar la notte fuori a
ciondolar come una pannuzza.»
Agli affanni economico-famigliari
si uniscono le delusioni letterarie: Chamber
Music non trova un editore. Dubliners
si scontra col tipografo che chiede continue modifiche al testo, da lui
ritenuto immorale: in un racconto James parla di “un uomo con due case da mantenere”; in un altro il tipografo arrossisce
all’idea che un uomo possa “avere”
una ragazza; il terzo punto è più indigesto: in un racconto una donna cambia
continuamente le posizioni delle gambe. Non può essere accettato dalla morale
corrente, dice lui, il tipografo censore. Ancora: a Richards, l’editore, non
piace che Joyce inserisca più volte in un racconto la parola bloody (maledettamente), termine usatissimo in inglese come rafforzativo
nelle imprecazioni. L’editore la recepisce come una parola sporca, da
eliminare. Intanto il tempo passa e il libro non esce. Ora l’editore ha trovato
da ridire su An Encounter, poi
comunica che il racconto Two Gallants
sarà da lui omesso dal libro. Esasperato, Joyce risponde che “cancellare questi
punti avrebbe significato ridurre Dubliners
ad un uovo senza sale”. A giugno Richards chiede nuove concessioni e il 9
luglio Joyce gli spedisce l’intero manoscritto fortemente rimaneggiato. Queste
incertezze pesano anche su Stephen Hero,
arenatosi al XXV capitolo. Joyce si sente intrappolato e riversa tutta la sua
frustrazione su Trieste, odiando questa città: deve andarsene …e non deve
aspettare tanto a farlo: Giuseppe Bertelli, il vice direttore della Berlitz
triestina, è scappato con la cassa dell’istituto e Artifoni, complice il calo
estivo dei clienti, si vede costretto a rinunciare ad uno dei fratelli Joyce. James
prende a consultare le pagine degli annunci economici della Tribuna di Roma dove scopre che la Banca
Nast, Kolb & Schumacher cerca un impiegato con buona conoscenza della
lingua inglese. James risponde all’inserzione, passa il colloquio e alla fine
di luglio - lasciandosi alle spalle una serie di debiti, saldati da suo
fratello - arriva a Roma con moglie e figlio.
1906, 31 luglio, martedì, ore 21,30:
la famiglia Joyce entra nella casa della signora Dufour, via Frattina 52, terzo
piano, dove hanno affittato una stanza. Scrive Ellmann, op. cit., pp. 272-3: «Il
1 agosto si recò, per un colloquio decisivo, alla sede della banca, che sorgeva
quasi all’angolo fra piazza Colonna e via s. Claudio. Schumacher, che, a quanto
risultò, era non soltanto banchiere, ma anche console dell’impero
austro-ungarico, lo ricevette con discreta cordialità. Assomigliava a un “Ben
Jonson col pancione”, e camminava sbilenco, con un berretto sul capo. Chiese a
Joyce che età avesse, chi fosse suo padre e in quali rapporti d’amicizia la sua
famiglia fosse con il Lord Mayor di Dublino. Soddisfatto delle risposte, gli
versò 65 lire come rimborso delle spese di viaggio, e gli concesse un acconto
di 100 lire sulla prima mensilità, che era di 250 lire. […] Quanto ai colleghi, questi infastidirono
Joyce fin dall’inizio. Soffrivano sempre di disturbi ai testicoli (“rotti,
gonfi, ecc.”) o al sedere - raccontò Joyce a Stanislaus - e non facevano altro
che descrivere minuziosamente i loro malanni. […] Per un mese e mezzo Joyce rimase nel reparto corrispondenza. Era un
lavoro insipido, gravoso. Doveva scrivere dalle duecento alle duecentocinquanta
lettere al giorno, cominciando alle 8,30 di mattina e terminando alle 19,30 e
spesso anche più tardi, con due ore di libertà per il pranzo. La conseguenza
immediata fu che consumò presto l’unico paio di pantaloni che aveva. Vi fece
applicare due grosse toppe, e per nasconderle fu costretto a indossare il
cappotto anche col caldo d’agosto. A Stanislaus, che glieli aveva prestati,
comunicò afflitto che erano stati fatti con una stoffa troppo delicata per un lavoro
continuo al tavolino. A settembre la sua bravura ricevette un piccolo
riconoscimento, giacché - forse a causa del soprabito - fu trasferito al banco
degli incassi, dove il lavoro era più facile e di maggior responsabilità. Ma
qui, dovendo scontare assegni a importanti clienti, dovette comprarsi un paio
di pantaloni. Nei rapporti con quell’insolito impiegato la banca commise il
grosso errore di corrispondergli lo stipendio una volta al mese, invece che ogni
settimana o magari giorno per giorno come aveva fatto la scuola Berlitz. Joyce era
incapace di conservare il denaro, r inevitabilmente ricominciò a chiedere aiuto
a Stanislaus. Il 16 agosto aveva già dato fondo a tutta la somma che la banca
gli aveva anticipato. […] Stanislaus
era furibondo. Stava ancora saldando i debiti contratti dal fratello a Trieste
e ora doveva addossarsene altri.»
Causa il suo dispendioso tenore
di vita, ben presto Joyce è costretto a cercarsi un secondo lavoro, dando
lezioni private ad un certo Terzini ma è solo dopo aver risposto ad una
inserzione della Tribuna, che il 20
di novembre Joyce inizia a dare lezioni d’inglese all’École des Languages. Nonostante
questi nuovi introiti niente cambiava in famiglia e Stanislaus viene sommerso
di richieste di denaro “in prestito”. Si aggiunga: il 12 novembre, non sopportando
di avere in giro per casa quell’uomo sempre ubriaco, la signora Dufour lo
invita a sloggiare alla fine del mese. Joyce pensa che come sempre tutto si
accomoderà ma stavolta ha fatto male i suoi conti e alle 23 e 30 del 3 dicembre
lui e la sua famiglia si trovano in mezzo alla strada. Presi alla sprovvista,
sotto la pioggia, i Joyce affittano una carrozza e prendono a girare in cerca
di un albergo, dove restano quattro notti. Dopo aver passato due giorni in
cerca di camere d’affitto, il 7 dicembre trovano due stanzette al quinto (o
quarto?) piano di via Monte Brianzo 51, prendendone possesso il giorno dopo. Il
letto è piccolo e i due devono coricarsi testa-piedi, come Bloom e Molly in Ulysses.
Un passo indietro nei mesi. Verso
la fine di settembre Richards scrive a Joyce che non può pubblicare Dubliners. A questo punto l’autore intende
sciogliere il contratto con l’editore e si rivolge ad un ad un avvocato. Questi
gli consiglia di scrivere all’editore per tentare di convincerlo, ma il 19
ottobre Richard risponde confermando la sua decisione. Il 20 novembre Joyce offre
Dubliners ad un altro editore, John
Long. In mezzo a tutto questo trambusto il 30 settembre 1906 James aveva
trovato modo di accennare a Stanislaus la sua intenzione di dedicarsi alla
stesura di un romanzo che avrebbe chiamato Ulysses,
imperniato sulla figura di un ebreo di Dublino, bruno e cornuto, prendendo a
seguire le cronache del divorzio di una coppia di ebrei di Dublino e occupandosi
delle teorie antisemitiche di Guglielmo Ferrero. Il 9 ottobre il suo amico
Symon, a cui aveva inviata una lettera con richiesta d’aiuto, chiede all’editore
Elkin Mathews se lo interessava un libro di poesie scritto “da un giovane irlandese che si chiama J. A.
Joyce. Non appartiene al Movimento celtico, e Yeats, benché ne riconosca la
bravura, ce l’ha un po’ con lui perché ha attaccato il Movimento”. A dirla
tutta, Joyce non solo ha attaccato il Movimento celtico, ma ha anche scritto che
Yeats è “un idiota noioso, completamente
staccato da quel popolo irlandese al quale si appella come autore della
Countess Cathleen.” Mathews accetta di visionare il manoscritto di Chamber Music e il 17 gennaio 1907 Joyce
riceve un contratto di pubblicazione, seguito a febbraio dalle prime bozze.
1907, 6 febbraio: James
scrive a suo fratello che Ulysses non
è andato più avanti del titolo. In crisi depressiva per le ingenti bevute e
stressato da Nora che vuol cambiar casa, ai primi di febbraio James disdetta
l’appartamento e versa la caparra per una stanza non molto lontana. Il periodo
è frenetico e tutto felicemente precipita: illudendosi di aver trovato un altro
alunno privato Joyce lascia l’Ècole des Languages e sperperato già l’11
febbraio l’intero stipendio percepito dieci giorni prima nell’acquisto di abiti
e cappelli (con richiesta a Stanislaus di dieci corone), Joyce decide che deve
scappare da Roma, informando la banca che lascerà l’impiego alla fine del mese
(ma rimane fino al 5 marzo). In cerca di una nuova città pensa di trasferirsi
a Marsiglia ma poi il 15 febbraio James informa suo fratello del suo
imminente rientro a Trieste, ammettendo che “il viaggio a Roma era stato una
coglionieria”. Stanislaus ne parla con Artifoni e questo rifiuta di riprenderlo
alle sue dipendenze. Si aggiunga: il 21 febbraio John Long rifiuta di
pubblicare Dubliners e Nora è di
nuovo incinta.
Il 7 marzo 1907 Joyce scrive a suo
fratello “arrivo otto trova stanza”. Tanto per non cambiare arriva a Trieste senza
il becco di un quattrino in tasca, anche perché la notte prima della partenza, pieno
di alcol, ha la bella idea di mostrare a due avventori di un bar l’ultimo
stipendio ricevuto dalla banca. Uscito in strada, i due lo buttano e terra e
gli rubano il portafogli con le duecento corone (e nella confusione che ne
segue rischia anche di essere arrestato).
Al beato martire Stanislaus non resta che procurare a suo fratello una stanza presso la sua stessa affittacamere.
Al beato martire Stanislaus non resta che procurare a suo fratello una stanza presso la sua stessa affittacamere.
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