25 maggio 2017: sono al cimitero di Saint-Benôit-sur-Loire in laico pellegrinaggio
alla tomba di Max Jacob, poeta, critico d’arte, pittore. Nato a Quimper, Bretagna, il 12
luglio 1876, all’interno di una famiglia di ebrei laici, Max Jacob muore il 5 marzo 1944 a Drancy, il terribile campo
di concentramento non molto distante dalla chiesa abbaziale di Saint-Denis e da Parigi.
Ne seguo le tracce da anni, leggendo i suoi scritti e le
sue lettere. Di lui tutto mi affascina, a partire dalla povertà fraternamente condivisa con un allora sconosciuto Pablo Picasso, a cui offerse generosa ospitalità nella soffitta al numero 87
di boulevard Voltaire, Parigi. Vi è un solo letto singolo, ma Jacob trova subito
la soluzione: lui vi dorme la notte, il tempo che Pablo utilizza per disegnare al lume
di una lampada a petrolio. Al mattino è Picasso a coricarsi sulla branda, che
Max lascia libera per andare a lavorare come magazziniere al Paris-France, una centrale
d’acquisti al 137 di boulevard Voltaire, un posto scarsamente retribuito
offertogli da un suo cugino, tale Gustave Gompel, figlio del proprietario - e quest’ultimo
acquisterà tre pastelli di Picasso pagandoli una miseria: un franco l’uno. Pastelli
e non quadri, perché Picasso ha le tasche così vuote da non potersi permettere
il lusso di acquistare tele, pennelli e colori. Il cibo è ridotto al
minimo: talvolta una scatola di sardine deve durare una settimana. Sia Picasso che Max ricorderanno a lungo il loro primo pasto fuori dalle
mura di casa: in rue de la Roquette investono gli ultimi spiccioli nell’acquisto di una salsiccia, insaccato che una volta aperto emana del gas che ricorda il pesce
marcio. Sempre di quel periodo è un fatto mai del tutto chiarito: pare che i
due avessero pensato al duplice suicidio, gettandosi dalla finestra del quinto piano. Dirà
Picasso: “Il periodo di estrema povertà ha il suo apice tra la fine
del 1902 e l’inizio del 1903, quando abitavo in boulevard Voltaire con Max”.
1903. Lettera di Max Jacob a Pablo Picasso
13 ottobre 1905. Tristesse, di Max Jacob
Il tempo
passa. Ritornato a Parigi Picasso va ad occupare l’atelier lasciato libero da Paco
Durio: è nei meandri della Maison du Trappeur, al numero 13 di rue Ravignan,
una struttura lignea fatiscente e destinata a diventare famosa come le bateau-lavoir,
un nome uscito dalla fantasia di Max Jacob.
Dopo
diversi cambi d’indirizzo, alla fine, pur di restare vicino a Pablo, anche Jacob
sale alla butte Montmartre - ed è nella sua lercia stanzetta al 7 di rue
Ravignan che nel 1909 (22 o 28 settembre?) vede il Cristo apparirgli sul muro di
casa. Nell’esaltazione del momento, così Max Jacob descrive questa visione (la traduzione
dal francese è mia): Sono tornato dalla Biblioteca nazionale; ho deposto la mia
cartella di cuoio; ho cercato le mie pantofole e quando ho rialzato la testa c’era
qualcuno sul muro! c’era qualcuno! c’era qualcuno sulla tappezzeria rossa. Il mio
corpo è caduto per terra! la folgore mi ha denudato! Oh! imperituro momento! oh!
verità! verità! lacrime di verità! gioia della verità! indimenticabile verità! Il
Corpo Celeste è sul muro della povera stanza! Perché, Signore? Oh! perdonatemi!
È in un paesaggio, un paesaggio che ho disegnato tempo fa, ma Lui! quale bellezza!
eleganza e dolcezza! Le sue spalle, il suo approccio! Ha un abito di seta gialla
e dei paramenti blu. Si gira attorno e vedo questo volto sereno e raggiante. Sei
monaci portano nella camera un cadavere. Una donna, che ha dei serpenti attorno
alle braccia e nei capelli è accanto a me.[1]
I suoi
amici racconteranno che quelli erano gli anni in cui Max combatteva i morsi della
fame sniffando massicce dosi di etere, la droga dei poveri venduta a basso costo
in ogni farmacia. Si aggiunga: proprio lo stesso mese di settembre 1909, l’amato
Picasso e la sua compagna Fernande avevano lasciato il battello-lavatoio per lo studio-appartamento all’11
di boulevard de Clichy... E poi ancora: erano i tempi in cui Max passava le sue
giornate alla Bibliothèque nationale de Paris curvo sui tomi dello Zohar
e della Kabbalah. Si faccia la somma: fame, etere, Picasso e Fernande fuorusciti
dal periodo romantico (per chi aveva la pancia piena) della bohème, lo studio dello
Zohar e della Kabbalah ...e se ne traggano le conclusioni.
Dopo
altre visioni, l’epilogo: il 18 febbraio 1915, nel convento parigino di Notre-Dame-de-Sion,
Max Jacob riceve il battesimo assumendo il nome di Cyprien. Suo padrino è Pablo
Picasso; Sylvette Filassier o Filacier, attrice di teatro delle Novità, la
madrina. Scherzerà Picasso: “Io volevo battezzarlo Fiacre, perché san Fiacre non
amava le donne, ma lui scelse Cyprien”. Aggiungo una nota personale: la vecchia
cappella del battesimo non esiste più, soppiantata da una moderna struttura inserita
in un complesso scolastico privato ad uso dei rampolli della ricca borghesia. Ho
avuto modo di accedere a quei locali e non è detto che un giorno non decida di mettere
in rete i miei scatti fotografici.
[1] Max Jacob darà in seguito altre versioni di quel che
vide sul muro della sua camera. Si legge in La
Défense du Tartufe. Extases, remords, visions, prières Poèmes et méditations
d’un Juif converti, 1919, pp. 290-291 : «Après une journée de paisible travail à la Bibliothèque nationale, rue
Richelieu a Paris, je rentrais chez moi, ma grosse serviette de maroquin pleine
de notes et de manuscrits. J’étais habillé comme on l’était à cette époque, j’avais
un chapeau haut de forme et une redingote. Comme il faisait très chaud, je me
réjouissais à l’idée de me mettre à mon aise. Après avoir enlevé mon chapeau,
je m’apprêtais, en bon bourgeois, à mettre mes pantoufles quand je
poussai un cri. Il y avait sur mon mur un Hôte. Je tombai à genoux, mes yeux s’emplirent
de larmes soudaines. Un ineffable bien-être descendit sur moi, je restai
immobile, sans comprendre. En une minute, je vivais un siècle. Il me semble que
tout m’était révélé. J’eus instantanément la notion que je n’avais jamais été
qu’un animai, que je devenais un homme. Un animal timide. Un homme libre.
Instantanément aussi, dès que mes yeux eurent rencontré l’Être Ineffable, je me
sentis déshabillé de ma chair humaine, et deux mots seulement m’emplissaient : mourir, naître. Le Personnage de mon mur
était un homme d’une élégance dont rien sur terre ne peut donner l’idée. Il
était immobile dans une campagne; il était vêtu d’une longue robe de soie jaune
clair, ornée de parements bleu clair. Je le vis d’abord de dos, sa belle chevelure
tombait sur ses nobles épaules. Il tourna légèrement la tête et je vis une
partie de son front, la pointe de son sourcil et sa bouche. La campagne dans
laquelle il se trouvait était un paysage très agrandi que j’avais dessiné
quelques mois auparavant et qui représentait le bord d’un canal.» […] «...j’entendis à mes oreilles une foule de voix
et de paroles très nettes, très claires, très sensées, et qui me tinrent
éveillé toute la soirée et toute la nuit, sans que je sentisse d’autres besoins
que celui de la solitude. Je ne sortis de ma chambre, qui était au rez-de-chaussée,
que pour en fermer les volets, comme si j’avais craint que les coups d’œil des
voisins me prissent le secret de mon bonheur. Je restai genouillé devant la
grande tenture rouge qui se trouvait au-dessus de mon lit, et sur laquelle s’était
réalisée la Divine Image. Je me sentais transporté, je sentais sous mon front
se dérouler une suite ininterrompue de formes, de couleurs, de scènes qui je ne
comprenais pas, et qui me furent plus tard révélées comme prophétiques.»
Max Jacob all'ingresso di Notre-Dame-des-Champs, a Parigi
fotografia di Jean Cocteau, 12 agosto 1916
Importante per Max è l’incontro con l’abate Weill di Orléans, colui che nel 1921 gli suggerisce di lasciare Parigi per ritirarsi a vivere a Saint-Benôit-sur-Loire dove - gli scrive
l’abate - più che l’aiuto di un prete avrebbe trovato “la vicinanza della magnifica basilica. Una delle più belle e più
emozionanti chiese romaniche di Francia non potranno lasciarla indifferente”.
Max accetta il consiglio e già nel giugno del 1922, dopo un breve rientro nella
capitale, può scrivere all’amico André Level: “Quando ritrovo la mia pianura, la mia basilica e la Loira, io respiro
tutto inondato di pace”. La permanenza del poeta a Saint-Benôit-sur-Loire dura quindici anni, benché suddivisa in due
periodi: dal 1921 al 1928 e dal 1936 al 1944. Rinfrancato dalla presenza di san Benedetto - le sue reliquie sono conservate nella cripta - Max Jacob vive intensamente la sua nuova vita religiosa, servendo messa e partecipando ad ogni funzione, ad ogni
processione.
Poi arriva la guerra.
Sebbene convertito, battezzato, cresimato e occupante una cella del monastero
benedettino, nel 1942 a Max viene imposto l’obbligo di portare la stella gialla
degli ebrei. Due anni dopo la situazione precipita: dapprima - 4 gennaio -
deportano Myrthé-Léa, la sua amata sorella (Gaston, il loro fratello, arrestato
nel dicembre del 1942, dal 1943 è in Germania), poi il 24 febbraio 1944 è la
volta di Max a finire nelle mani della Gestapo e condotto a Drancy, la prima
tappa verso Auschwitz. Non appena la notizia arriva a Parigi - portata da
Marcel Béaulu, il grande amico degli ultimi anni di Jacob - Jean Cocteau
organizza una petizione per liberarlo. Nel frattempo Max si è ammalato di
polmonite. Non ricevendo cure mediche il poeta muore il 5 marzo e sepolto nel
cimitero ebraico di Ivry-sur-Seine - 44a divisione; 24a
linea, dopo la croce Geffroy; 27a fossa, tra Mme Cleret e Luoise
Tremey - con pochi coraggiosi presenti alle sue esequie. Tra questi vi è Pablo
Picasso, un cui ritratto Max Jacob ha tenuto davanti agli occhi, sopra il
tavolo di lavoro, fino al momento dell’arresto.
[1] All’inizio del 1939 Max Jacob redige il suo
testamento e così dispone dei suoi scarsi beni terreni: il suo orologio «usuale»
sia dato ad André Salmon; il suo orologio «da taschino» a Pablo Picasso;
il volume «Imitation de N. S.-J.C., che mi è stato regalato da Picasso al mio
battesimo» al dottor Szigeti. Infine aggiunge: «Je demande à être enterré religieusement aussi
humblement que possible dans le cimitière de Saint-Benoît-sur-Loire.»
1944. Lettera di Jean Cocteau al consigliere von Bose,
ambasciata di Germania a Parigi
9 febbraio 1944 - L'ultima lettera di Max Jacob a Picasso
Ritratto di Picasso, di Max Jacob (1944),
il disegno che Max teneva sopra il suo tavolo di lavoro
1949. la
guerra è ormai alle spalle. Per rispettare le ultime volontà di Max Jacob - «Chiedo di essere inumato
religiosamente e nel modo più umilmente possibile nel cimitero di Saint-Benoît-sur-Loire»,[1]
gli amici sopravvissuti fanno riesumare le spoglie per trasferirle dal
cimitero di Ivry a quello di Saint-Benoît-sur-Loire. La cerimonia ha luogo il 5
marzo, data del quinto anniversario della morte del poeta. Il clima inclemente impedisce
a molte personalità parigine di assistere alla cerimonia. O almeno, questa è la
debole scusa dietro cui si sono nascosti gli assenti.
In seguito, la sorte (o la volontà di qualche imbecille)
ha fatto sì che alla sua destra venisse sepolto un militare di professione, con
tante guerre di spietata colonizzazione nel palmarès. Conoscendo Max,
sono certo che a sentirsi a disagio per questa vicinanza non sarà lui, anzi …temo
abbia subito fatto amicizia col suo vicino di ...camerata.
GIANCARLO MAURI
25 maggio 2017
26 maggio 2017
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