Mail inviata il primo dicembre 2010
Da anni sperpero al vento, sia con
scritti che oralmente, che tutta la “Storia” è fondata su grandi bugie, essendo
sono stati i vincenti a scriverla. Fino a pochi decenni fa gli Hittiti erano
“solo” una delle piccole tribù citate nella Bibbia. Oggi sappiamo che le loro leggi
statali e le loro leggende - scritte su decine di migliaia di tavolette di terracotta emerse dagli scavi archeologici di Boğazköy (Hattusa) e Yazilikaya, siti da me visitati negli anni Ottanta - sono alla base del racconto biblico. Ma al popolo non si deve far sapere
che i vincitori hanno derubato la cultura dei vinti. Di recente, l’ha detto e l’ha scritto anche Umberto Eco, quindi ho le spalle scoperte.
Si veda:
http://video.corriere.it/storia-fatta-grandi-falsi/127a9c26-f197-11df-8c4b-00144f02aabc
Umberto Eco, Il cimitero di Praga, pp 339-340.
Goody Jack, Il furto della storia, edito in Italia da Feltrinelli.
Si veda:
http://video.corriere.it/storia-fatta-grandi-falsi/127a9c26-f197-11df-8c4b-00144f02aabc
Umberto Eco, Il cimitero di Praga, pp 339-340.
Goody Jack, Il furto della storia, edito in Italia da Feltrinelli.
Oggi ho letto per la milionesima
volta la storiella di una frasetta di Voltaire, che, come la citazione di
Lapalisse, rientra tra i continui piccoli falsi, più difficili da estirpare
dei grandi, perché “verità” imparata nelle aule scolastiche o peggio ancora su
Wikipedia, dunque automaticamente “vera” (se la gente usasse riflettere,
capirebbe che Lapalisse mai avrebbe potuto incidere la propria lastra tombale;
dunque altri sono i responsabili della frase “lapalissiana”…).
Porto il mio contributo: così come
Galilei non ha mai scritto: «Eppur si
muove» e in nessun luogo delle opere di Machiavelli si trova «Il fine giustifica i mezzi», allo stesso
modo Voltaire non ha mai scritto né detto «Non
sono d’accordo con quello che dici, ma darei la vita perché tu lo possa dire».
E allora da dove nasce questa leggenda metropolitana?
Ricordo che il vanesio e
inconcludente giornalista televisivo Sandro Paternostro - colui che aveva
impostato il “canone” delle
corrispondenze televisive da Londra sulla filiera tematica cappellini-della-regina,
mostre-canine e via minchionando (e tutta l’Inghilterra di Hume e di Dickens,
del Labour e di Shaw che vada a farsi benedire) - amava ripetere questa formula
nel programma televisivo Diritto di replica, in onda nel 1991 su RaiTre, con
Fabio Fazio co-conduttore.
Ma se François-Marie Arouet de Voltaire, signore di Ferney, non ha
mai detto o scritto questa frase, come mai gliela si attribuisce?
Risposta: la sola versione nota di
questa citazione è quella della scrittrice inglese Evelyn Beatrice Hall, nascosta dietro lo pseudonimo S. G. Tallentyre: «I
disapprove of what you say, but I will defend to the death your right to say
it.», in The Friends of Voltaire, 1906, ripresa anche nel successivo Voltaire
In His Letters, 1919.
Per chiudere la storia di questa
falsa citazione, Charles Wirz, Conservatore de l’Institut et Musée Voltaire di
Ginevra, ricordava nel 1994 che Miss Evelyn Beatrice Hall, mise, a torto, tra virgolette
questa citazione in due opere da lei dedicate all’autore di Candide, e riconobbe espressamente che
la citazione in questione non era autografa di Voltaire in una lettera del 9
maggio 1939, pubblicata nel 1943 nel tomo LVIII, intitolato Voltaire never said it, della rivista Modern language notes,
Johns Hopkins Press, Baltimore, pp 534-535.
Ecco di seguito l’estratto della
lettera in inglese:
«The phrase “I disapprove of what you say, but I will
defend to the death your right to say it” which you have found in my book
“Voltaire in His Letters” is my own expression and should not have been
put in inverted commas. Please accept my apologies for having, quite unintentionally,
misled you into thinking I was quoting a sentence used by Voltaire (or anyone
else but myself).»
Le parole “my own” sono messe in corsivo intenzionalmente da Miss Hall nella
sua lettera.
A credere poi a certi commentatori
(Norbert Guterman, A Book of French Quotations, 1963), la frase starebbe
anche in una lettera del 6 febbraio 1770 all’abate Le Riche, dove Voltaire
direbbe: «Monsieur l’abbé, je déteste ce que vous écrivez, mais je donnerai ma
vie pour que vous puissiez continuer à écrire.» Peccato che se si consulta la
lettera citata, non si troverà né tale frase e nemmeno il concetto. Essendo
breve tale lettera, è meglio citarla per intero e scrivere la parola fine su
questa leggenda.
A M. Le Riche,
A Amiens.
6 février.
Vous avez quitté, monsieur, des Welches pour des Welches. Vous trouverez
partout des barbares têtus. Le nombre des sages sera toujours petit. Il est
vrai qu’il est augmenté; mais ce n’est rien en comparaison des sots; et, par
malheur, on dit que Dieu est toujours pour les gros bataillons. Il faut que les
honnêtes gens se tiennent serrés et couverts. Il n’y a pas moyen que leur
petite troupe attaque le parti des fanatiques en rase campagne.
J’ai été très malade, je suis à la mort tous les hivers; c’est ce qui fait,
monsieur, que je vous ai répondu si tard. Je n’en suis pas moins touché de
votre souvenir. Continuez-moi votre amitié; elle me console de mes maux et des
sottises du genre humain.
Recevez
les assurances, etc.
Ma ormai la frase creata da Miss Hall
aveva varcato l’Atlantico e dopo un piccolo rimbalzo nei circoli ristretti dei liberal
era entrata nel formidabile circuito dei media
americani, tramite il popolare Reader’s Digest (Giugno 1934) e la Saturday
Review (11 Maggio 1935). E da allora la sua diffusione è stata inarrestabile.
Una piccola bugia in meno? Brutto
esercizio se si ha in mente di far carriera nell’immondo della politica. Non
imparerò mai.
Lo stesso giorno ho ricevuto questo
commento, che mi ha dato il verso per riportare in auge Paolo Segneri, un
personaggio su cui sono inciampato mentre scrivevo la biografia di Niccolò Stenone:
Wednesday,
December 01, 2010 7:14 PM
Molto interessanti le specifiche su Voltaire. Spero (e visto il
carattere dell’uomo potrebbe essere vero) che sia reale almeno l’aneddoto
relativo all’avvicinarsi della morte. Ove non ti fosse noto (del che dubito) lo
riporto: sembra che in quella occasione Voltaire chiedesse che gli venisse portato un
costume da Arlecchino, allora chiamato “domino”. A chi gli chiedeva a che gli
servisse (ed evidentemente pensava che la richiesta dipendesse dallo stato
confusionale del coma) rispose: sta scritto “beati qui in Domino (o domino)
moriuntur”. Se ti era nota AMEN. Ciao, PT
No. È un versetto dell’Apocalisse
(vedi l’esegesi ad opera del gesuita Paolo Segneri), mai sulla bocca di
Voltaire. C’est tout. Ciao