lunedì 29 giugno 2015

Il Tempio di Lanleff


In uno sperduto villaggio bretone di non oltre cento abitanti, la ricerca mi ha portato a visitare un diroccato tempio di forma rotonda e con doppio muro per la deambulazione. Si è creduto per molto tempo opera dei Templari (e la Guida Verde Michelin continua tranquillamente a propagandare questo falso) - e questo perché gli archeologi del XIX secolo hanno definito, a torto, queste rovine “Tempio di Lanleff”. In realtà si tratta di una chiesa cristiana di stile romanico, fatta costruire al ritorno dalla prima crociata (1099) da un signore della regione, compagno d'armi del duca Alain Fergent. La sua pianta circolare - con dodici arcate a tutto sesto - s’ispira a quella della basilica del Santo Sepolcro di Gerusalemme (Anastasis), con un deambulatorio che circonda la rotonda e l'absidiola di sud-est, con volta a conca. A pochi metri di distanza da questa è stata trovata una fossa comune con reperti ossei.
Alcuni capitelli, molto deteriorati, sono stati rifatti ed esposti nel prato che circonda l’edificio. I soggetti scolpiti non mi hanno per niente meravigliato, anzi hanno confermato le mie aspettative: una coppia di animali (si vuole siano ovini) e una coppia di uccelli copulanti, un virile Adamo e la sua compagna Eva visti di fronte, un Adamo “pudico” che si copre con le mani. Gli angoli superiori sono decorati da volti umani arricchiti dalle corna del capro (cifrario: le “corna” di Mosé, ma anche le punte della corona reale e della mitra del vescovo, “corna” che mettono in simbolica comunicazione l’umano consacrato col divino).
Anche: una croce tombale scolpita nella pietra nera, col Cristo sostituito dal lògos. Tradotto, il testo recita: Questa croce s’innalza per l’anima del presbitero Iohannes morto la vigilia delle idi di agosto (il giorno 14).
A due passi dall’ingresso, l’immancabile sorgente con le acque raccolte in una vasca rettangolare, con la sua brava leggenda che vede una donna vendere la sua creatura al diavolo in cambio di tredici denari d’argento, poi rivelatisi così roventi da aver lasciato la loro impronta nella roccia da cui sgorga l’acqua sorgiva.
In sintesi: tutto, o quasi, quanto da me raccontato in tante conferenze, messo per iscritto e pubblicato in rete a questi indirizzi: Arles e la leggenda di St-Trophime e St-Gilles-du-Gard





INTEGRAZIONE (aprile 2021)

Richard Krautheimer. Architettura paleocristiana e bizantina
Penguin Book 1965 - Giulio Einaudi editore 1986, pp. 80-83

Gerusalemme.
Gli edifici postcostantiniani che sopravvivono a Costantinopoli sono per lo più fortificazioni e palazzi di data relativamente tarda. A Gerusalemme, invece, e in tutta la Terrasanta, sono giunti fino a noi resti di numerosi edifici ecclesiastici che risalgono ai decenni immediatamente successivi alla morte di Costantino. In gran parte sono stati eretti sui luoghi della vita e della passione di Cristo e sono quindi dei martyria, uguali come funzione a quelli costruiti da Costantino a Betlemme e sul Golgota. Ma a differenza di questi edifici costantiniani, i martyria tardo- e postcostantiniani della Palestina evitano la fusione di un edificio a pianta centrale con una navata basilicale: l’edificio a pianta centrale diviene autosufficiente. Sotto questo aspetto i martyria della Terrasanta sono le controparti della chiesa costantiniana dei Santi Apostoli di Costantinopoli. Infatti edifici con pianta a croce presumibilmente costruiti sul modello della chiesa costantinopolitana esistevano già tra i martyria della Palestina e dei paesi vicini. Un pellegrino del VII secolo, Arculfo, ci ha lasciato la pianta e una sommaria descrizione di uno di questi edifici, costruito, probabilmente prima del 380, sopra il pozzo di Giacobbe presso Sichem (Shéchem) dove Cristo parlò con la Samaritana.
In Palestina tuttavia i martyria cruciformi erano certamente un’eccezione: di regola in Terrasanta erano degli edifici circolari isolati, il cui ovvio prototipo era la Rotonda dell’Anastasis di Gerusalemme. Costruito in massicci blocchi di pietra squadrati, l’edificio copriva il sepolcro da cui Cristo era risorto (di qui ’Anastasis ‘Resurrezione’) e fronteggiava, all’estremità occidentale di un cortile poco profondo, circondato su tre lati da portici, l’abside della basilica-martyrium di Costantino. Forse prevista fin dall’inizio, ma evidentemente non ancora completata nel 336, sembra fosse già in uso intorno al 350; nonostante le numerose trasformazioni, la sua pianta originaria è stata ricostruita nelle sue linee essenziali. Un prospetto rettilineo, in cui si aprivano portali, si affacciava sul cortile in cui sorgeva la rocca del Calvario. All’interno, l’Anastasis fu sviluppata come un’imponente rotonda di 33 metri e 70 di diametro col vano centrale circondato da un deambulatorio di forma irregolare. Proprio al centro dell’edificio, come suo punto focale e sua ragion d’essere, si levava il cono del sepolcro di Cristo sormontato dal baldacchino costantiniano. Il vano centrale era circondato da venti supporti che sostenevano archi pur se probabilmente mancavano due pilastri dove, a oriente, si inseriva la facciata. Idealmente, colonne e pilastri erano raggruppati, probabilmente fin dall’inizio, in gruppi di quattro. Coppie di pilastri sull’asse principale formavano una croce; le colonne sulle diagonali erano raggruppate in triadi, simboleggianti, nell’interpretazione dei padri della Chiesa, i dodici apostoli e le quattro estremità del mondo alle quali essi recavano il quadruplice messaggio della Trinità. Il deambulatorio, semicircolare e con tre nicchie aggettanti, circondava la metà occidentale del vano centrale, terminando in spazi rettangolari presso la facciata. Una galleria che correva al di sopra del deambulatorio offriva posto anche al fedele che non fosse riuscito a trovarlo a pianterreno. Infine, sopra la fascia dei finestroni, c’era una cupola. Può darsi che si trattasse di una struttura in legno e che, per quanto la cosa non sia certa, fosse aperta al centro come nel tetto dell’ottagono che sovrasta la grotta di Betlemme. L’insieme era disarmonico, le colonne robuste e sollevate su alti plinti, i muri eccezionalmente pesanti.
La Rotonda dell’Anastasis chiaramente si colloca in una tradizione tardoantica con forti accenti classici. Che i capitelli delle colonne e i profili dei loro alti plinti fossero o meno classici come le antiche riproduzioni farebbero supporre, la pianta è radicata nella tradizione dei mausolei e degli heroa imperiali. La cosa è perfettamente naturale in un edificio destinato ad accogliere il sepolcro e a commemorare la resurrezione (verrebbe fatto di dire l’apoteosi) di Cristo, il Basileus del Cielo, il Sole Risorto. Vien fatto di ricordarsi dei grandi mausolei-heroa della Roma imperiale: quello di Elena, quello di Diocleziano a Spalato, infine il mausoleo di Costantina, il quale, come l’Anastasis, era circondato da un deambulatorio interno. È indubbio che le stesse fonti sono servite all’architetto di Santa Costanza e a quello dell’Anastasis. Infatti ci si chiede se i martyria circolari a sé stanti della Terrasanta, dei quali la Rotonda dell’Anastasis è il primo e più cospicuo esempio, non si debbano interpretare come parte di un movimento di rinascita dell’epoca tardo- o postcostantiniana. In antitesi alla fusione di pianta basilicale e pianta centrale i martyria isolati riaffermano la tradizione del mausoleo-heroon imperiale.
La Rotonda dell’Anastasis non è l’unico edificio di questo tipo tra i martyria della Terrasanta. Scavi condotti sul Monte degli Ulivi hanno messo in luce alcuni dei muri dell’Imbomon, il santuario fatto costruire nel 370 dalla patrizia romana Pomenia per ricordare il luogo in cui Cristo era salito al Cielo. È stata ritrovata una parte del muro circolare esterno (da cui risulta, per la rotonda, un diametro di circa 18 metri) insieme con i resti di un colonnato esterno. All’interno gli antichi pellegrini vedevano un altro colonnato, cioè un deambulatorio, forse a due piani. Il deambulatorio correva intorno a un vano che racchiudeva la roccia con le impronte di Cristo al momento dell’ascensione. Questo vano centrale o non aveva alcuna copertura, oppure il suo tetto in legno, probabilmente di forma conica, si concludeva in un grande foro. Verso oriente, zona presbiteriale e abside, che partivano dal vano centrale, sembra tagliassero il deambulatorio. Comunque l’Imbomon rappresentava una variante della pianta dell’Anastasis. Né era l’unica variante. Un santuario molto simile all’Imbomon è stato messo in luce da scavi a Beisan (Scitopoli) nella Palestina settentrionale; senza dubbio era un martyrium, ma l’avvenimento che esso commemorava o la reliquia che vi era custodita rimangono ignoti. Martyria del genere, a pianta centrale, di forma circolare o poligonale, compaiono in altre varianti nei luoghi santi della Palestina: probabilmente sopra il Sepolcro della Vergine nella Valle di Giosafat fuori di Gerusalemme; certamente in una chiesa che l’imperatore Zenone (474-75, 467-91) dedicò alla Vergine sul monte Garizim (Gerizim) presso Sichem, che è di pianta ottagona anziché circolare e accoglie una reliquia del Calvario.
Fuori della Terrasanta, «copie» dell’Anastasis e di sue derivazioni furono frequenti nell’Europa medievale, però sembra siano state relativamente rare nel mondo cristiano del IV e V secolo. Un esempio che viene fatto di ricordare è la chiesa dei Santi Carpo e Policarpo a Costantinopoli: ne sopravvive solo la sostruzione circolare, ma da essa si indovina chiaramente, al livello del suolo, un edificio composto di vano centrale con cupola e di deambulatorio, interrotto questo da una zona presbiteriale e un’abside, il tipo di muratura suggerisce una data intorno al 400 e la pianta, nonché la tradizione locale, fanno ritenere che la chiesa fosse una copia relativamente precoce dell’Anastasis.

LE FOTOGRAFIE DI
GIANCARLO MAURI
22 giugno 2015