A maggio, di
primo mattino il visitatore ha il sole di fronte e per godere della visione
dell’abbaziale di Saint-Gilles-du-Gard aiuta lo stretto passaggio che porta alla Maison
Romane, struttura museale che una tradizione vuole sia stata la casa natale di
Guy de Foulques, il Guido Fulcodi che
resse la Chiesa romana dal 1265 al 1268 col nome di Clemente IV.
San Gilles: già
il nome è tutto un programma. La storia c’insegna che il meridione francese mai
fu evangelizzate dai vescovi inviati da Roma, bensì dal clero greco ortodosso,
lo zoccolo duro su cui si è costruita nei secoli la Chiesa gallicana, e già questo
spiega l’origine del mito di san
Trophime di Arles, il protovescovo che la leggenda vuole sia stato unto
direttamente dall’apostolo Pietro e da questi inviato a convertire le masse
pagane del Sud della Gallia. Ma noi sappiamo che un san Trophime storico non è
mai esistito e quindi sorvoliamo su queste baruffe tra galli interessati a godere le ricche prebende del grasso pollaio.
Si aggiunga: dalla lettura dei testi agiografici, dunque
a lui favorevoli, si apprende che Trophime sarebbe morto tra l’anno 270 e
l’anno 275 - e qui la storia dell’unzione dalle mani di san Pietro va a farsi
benedire, in tutti i sensi.
Decisamente
intrigante è l’analisi del nome: guarda caso, Gilles viene dal greco e significa l’Egeo, il greco, un nome a
sua volta derivato da quello della capra, potente antenato simbolico: aiks quando è soggetto, aigos quando è complemento di nome. Il
diminutivo è aigidion che diventa aegidius nel latino medievale. Uno degli
appellativi degli antichi greci era Egei -
figli della capra e chi si occupa di religiosità arcaica ben conosce che in
Occidente i “capretti” erano una delle quattro tribù attiche primitive, così come
lo stesso nome si ritrova nell’espressione “essere sotto l’egida di qualcuno”, dove l’egida
indica la corazza protettiva in forma di mantelletto di capra con al centro la
testa della Gorgone, che nella mitologia greca era portata in battaglia da
Atena, da Zeus e da altri dèi.
Vecchie storie,
che riportano ai miti dell’Oriente: quante strutture religiose da me visitate
tra la Svanezia e le terre tibetane portano all’esterno e/o all’interno le
corna della capra o dell’ibex, il simbolo sacro
per eccellenza? Ancora: in Svanezia, terra di sicura fede cristiana, le chiese più
antiche, da cercare sui monti, non sono mai quadrate o rettangolari bensì
rotonde - come lo sono le tende abitate - significando con ciò che entrare in
chiesa è un tutt’uno coll’entrare nel grembo generativo della Madre che tutti
nutre. Le più antiche tra le strutture rimaste presentano due giri di mura: il
fedele deve dapprima deambulare in senso orario all’esterno, poi nel corridoio
tra le due mura, infine può entrare nel cerchio sacro, dove sopra l’altare non
vi è la statua di una vergine o un uomo crocifisso ma un bel paio di corna di
caprone, il fecondatore. Questo spiega la ragione per cui in queste chiese
possono entrare solo gli uomini - e mai in un numero superiore a sette: potenza
dei numeri sacri! -, mentre le donne devono limitarsi al giro delle mura esterne
e sostare di fronte alla porta. Il perché di questa proibizione è subito
spiegato: è il maschio - il montone, l’ibex, l’uomo - che feconda, quindi solo i
maschi possono/devono entrare. Un’esperienza importante, perché riporta al
cristianesimo arcaico adottato dal mondo rurale, privo delle pesanti sovrastrutture
dei riti e dei dogmi teologici imposti nei secoli successivi.
Chi è
interessato al tema della capra - e non solo - consiglio vivamente la lettura
de Gli indù, prezioso libro firmato
da Wendy Doniger - un nome, una garanzia - tradotto da Anna Bertolino e pubblicato
nel 2015 da Adelphi nella collezione Il
ramo d’oro.
Gilles, il greco, il figlio della capra.
Corro il rischio di ripetermi, ma il pensiero mi riporta ad alcune delle mie esperienze
vissute deambulando, il più delle volte solitario, tra i monti dell’Himalaya
indiano e nepalese per condividere vita miti e riti delle popolazioni abitanti
le terre ai confini politici col Tibet, oppure vagando per il Caucaso o tra le
vallate dell’America latina e le lande desertiche dell’Africa mediterranea, inseguendo
i miti più antichi, dove il culto per le vergini dee madri, le pietre nere e i
serpenti mi hanno insegnato l’importanza dell’intersecazione dei simboli forti
delle corna col legno e col ferro. Sì, perché l’arcaico senso del sacro pretende che i templi debbano essere costruiti soltanto
col legno del cedro, l’albero sacro in assoluto, e che il ferro sia l’unico
metallo da utilizzare nei riti sacri.
Più sacra ancora - retaggio mnemonico della scoperta che il fuoco si poteva
utilizzare anche per nutrirsi e difendersi - è la pietra nera, quella rimasta a diretto contatto con la fiamma,
quindi da questa resa pura. Aiyanar, il sasso nero infisso a mo’ di pene eretto
nella Madre Terra, primo concetto antropomorfo di una divinità che mente umana
ricordi, insegna. Non pochi millenni dopo arriveranno le madonne nere.
Restando al legno
e al ferro, la teologia cristiana si è adeguata trasformando il padre putativo del
Messia (Xristòs, in greco) da
carpentiere (muratore, costruttore - masson
in francese, termine adottato dai fratelli
muratori o massoni) in falegname
e facendo morire il Figlio inchiodato con tre chiodi di ferro a una croce di
legno. Ancora una volta l’India precede i miti e i riti: migliaia di anni prima
di Cristo un’altra divinità, Krisna (nome dalla radice simile a Xristòs), aveva
vissuto una vita che ricorda sia quella Mosè che quella di Gesù: una madre
vergine resa gravida dal verbo divino;
la profezia che da lei nascerà il nuovo re destinato a spodestare il tiranno
sul trono; l’abbandono del neonato, posto in una cesta di vimini lasciata
trasportare dalla corrente del fiume; il suo ritrovamento da parte di una
famiglia di pescatori, mentre sull’altra sponda imperversa la strage degli innocenti;
una vita vissuta in famiglia, salvo emergere pubblicamente negli ultimi anni della
sua breve esistenza, conclusa immolandosi per la redenzione del suo popolo, trafitto
da tre frecce ad un albero. Una storia, questa, che aveva toccato il cuore
delle tribù dei vaccari abitanti sulle terre bagnate dalla Yamuna, nel regno di
Mathura.
Torno
a san Gilles. Come ho già scritto, la Chiesa gallicana è stata fondata dai
Greci, commercianti ed artigiani, ed è rimasta a lungo di rito orientale prima
d’essere condotta alla chiesa latina soggetta al potere del vescovo di Roma e i
monaci di Provenza in questo hanno avuto una loro importanza. A Costantinopoli,
nel 402 il marsigliese Jean Cassien conosce Giovanni Crisostomo e i monasteri poi
da lui aperti a San Victor di Marsiglia e sulle isole di Lérins ne risentono non
poco: la loro resistenza alle novità apportate da Agostino l’Africano sono
celebri. È un periodo dove il dissidio tra Oriente e Occidente è forte, tanto
che nella diocesi di Arles il futuro san Césaire impone la predicazione ai
preti “secondo i luoghi”, riservando ai soli vescovi il rituale romano.
Dal
Dizionario Oxford dei santi di David
H. Farmer, Franco Muzzio1987, traduzione di Luigi Zappalà: Egidio (Ægidius) (m. c. 710), eremita. Ciò che si conosce di questo
santo, divenuto estremamente popolare nel Medioevo, è che nacque all’inizio del
VII secolo e che fondò un monastero, nel luogo successivamente chiamato
Saint-Gilles (Provenza), sulle terre donategli dal re Wamba. Il sepolcro
divenne un importante centro di pellegrinaggio, anche perché situato sulla
strada per Compostela e per la Terra Santa. Secondo una leggenda del X secolo
(un insieme di prestiti da altre Vite) era nato ad Atene ed era diventato
eremita alle foci del Rodano, non lontano da Nîmes, dopo essere stato attirato
in quella regione dalla fama di Cesario di Arles. Durante una partita di caccia
re Wamba stava inseguendo una cerbiatta: l’animale cercò rifugio presso Egidio
nel momento in cui il re stava lanciando una freccia che andò, così, a colpire
l’eremita, rendendolo zoppo. Un’altra leggenda narra che un imperatore
(erroneamente identificato con Carlomagno) si fosse recato da Egidio per
ottenere il perdono di un peccato che non aveva osato confessare; il giorno
successivo, mentre diceva messa, Egidio apprese da un pezzo di carta scritto da
un angelo la natura del peccato in questione: le preghiere del santo furono
efficaci a tal punto che le lettere, a una a una, scomparvero dalla carta.
Verso gli ultimi anni della sua vita Egidio andò a Roma e offrì al papa il
monastero che aveva fondato (ottenendo, in questo modo, privilegi e protezione);
il papa gli fece dono di due porte in legno che il santo gettò in mare e che il
mare trasportò fino ad una spiaggia vicino al suo monastero. Dalla Provenza
(chiamata provincia Sancti Aegidii) il culto di Egidio si diffuse per l’Europa,
soprattutto per merito dei Crociati. Alla sua popolarità contribuì notevolmente
la protezione di zoppi, lebbrosi e balie (quest’ultima credenza si basava sulla
leggenda che raccontava dell’aiuto dato alla cerbiatta), e la supposizione che
l’invocazione del santo fosse così efficace da rendere superflua la confessione
auricolare dei suoi protetti. In Inghilterra erano dedicate a lui 162 chiese
antiche e almeno 24 ospedali. Le chiese più famose in Gran Bretagna sono St.
Giles ad Edimburgo e St. Giles, Cripplegate, a Londra. La sua festa era
celebrata in tutti i monasteri benedettini e in larga parte d’Europa. Nelle
rappresentazioni artistiche è raffigurato come un semplice abate con il bastone
pastorale; esistono anche cicli della sua vita (nelle vetrate risalenti al XIII
secolo a Chartres ed Amiens e negli affreschi della cripta di
Saint-Aignan-sur-Cher) e immagini di avvenimenti che riguardano la protezione
data alla cerbiatta (mensola dello stallo nella cattedrale di Ely) o la Messa
di Sant’Egidio (National Gallery, Londra).
La
diffusione della venerazione per il santo non impedì la decadenza del centro di
culto, avvenuta nel tardo Medioevo, quando diminuirono le offerte fatte al
sepolcro, principale fonte di sostentamento dei monaci. La comunità cercò di
ristabilire le entrate con straordinarie esposizioni delle reliquie e con
indulgenze papali. Almeno due famose fiere inglesi sono in relazione alla festa
di Egidio: una, a Winchester, che ormai non si tiene più; l’altra a Oxford, che
ha perso i connotati originali di compra-vendita dei prodotti locali ed è stata
trasformata in luna-park. In Germania, alla fine del Medioevo, Egidio venne
riconosciuto come uno dei quattordici santi protettori.
Le
chiese a lui consacrate sorgono spesso nei pressi di incroci stradali: «i viaggiatori
potevano visitarle mentre i loro cavalli venivano ferrati dai fabbri delle
vicinanze, anch’essi protetti dal santo». Festa: 1° settembre.
La Vita scritta da Jean Stilting ci informa
che Gilles è nato ad Atene verso l’anno 640, che i suoi genitori sono ricchi e
che lui ha frequentato buoni insegnanti; che verso il 660 lascia la Grecia e
che verso il 684 incontra a Toledo il re dei Visigoti. Apprendiamo anche che la
sua santità è precoce: come il Cristo anche Gilles guarisce gli epilettici, i
malati e salva le flotte dal mare in tempesta (in Francia, le onde grosse del
mare sono anche dette chévres intese
come le capricciose, quelle che
saltano). L’imitazione continua: Gesù cammina sulle acque del lago di
Galilea? Anche Gilles usa lo stesso metodo per andare velocemente a Roma e subito
rientrare ad Arles.
Alla morte dei
suoi genitori Gilles regala tutti i beni ereditati ai poveri e deciso a vivere
una vita eremitica e non desiderando per sé alcuna dignità ecclesiastica, trova
rifugio nella foresta “gotica” - terreno di caccia riservato al re dei Visigoti
- che occupa il territorio dell’attuale comune di Saint-Gilles-du-Gard, a quel
tempo bagnato dal mare.
Più sopra ho
citato l’arrivo dei cacciatori e questo ha a che fare con la sua decisione di
farsi sacerdote. Nella foresta, Gilles è l’amico degli animali: le cerbiatte
gli offrono il loro latte, i cervi si lasciano accarezzare, i cani furiosi si
placano di fronte a lui. Storie che Lamartaine metterà in versi nel suo poema Jocelyn, dove la Provvidenza insegna
agli eroi
«À ravir le chevreau pendant qu’il tette encore,
Pour que sa mère aussi vienne, au cri de sa faim,
Tendre pour le nourrir sa mamelle à la main.»
Ed è per proteggere
la sua cerbiatta prediletta dalle frecce scagliate dai cacciatori del re che
Gilles resta ferito. Il re Wamba ritiene che il dono di un terreno sia il
giusto compenso per il danno subito, ponendo una condizione: su quella terra vi
sia costruita un’abbazia, condizione che obbliga Gilles ad accettare la tonaca di
abate.
Intorno al 700 i
Saraceni invadono queste lande e distruggono la primitiva abbazia. Provvede
Carlo Martello a sconfiggere i mauri
e a ricostruire la struttura monastica con una chiesa dedicata a san Pietro e
agli apostoli. La dedicazione non è casuale: capita l’antifona, Gilles prende
le distanze dalla Chiesa greca di Arles e pone i suoi monaci sotto la doppia
protezione del vescovo di Roma e dei sovrani di Francia.
Vissuto
a lungo per i suoi tempi, l’Egeo - figlio
della capra, mago e grande conoscitore di erbe, muore attorno agli anni 721-725.
Per la città che
porta il nome del santo altre date importanti sono:
- 817: il
Concilio d’Aix la Chapelle riconosce “il monastero di S. Gilles nella valle
flavienna” (Flavien era il nome che
si dava il re dei Visigoti).
- Tra il 900 e il
1000: viene redatta la Vie de S. Gilles,
testo che ha saputo mantenere il ritmo tipico della tradizione orale (scrivere
come si parla).
- 1046: un
documento officiale cita le sedi dei quattro grandi pellegrinaggi di quel
tempo: “tanto le chiese della beata Maria e di san Pietro a Roma, che di S.
Giacomo e di S. Gilles”.
- 1066: Almodis,
la madre di Raymond IV affilia Saint-Gilles a Cluny, ma Roma mantiene i
privilegi dell’abbazia (cfr.: la bolla d’Innocenzo II del 1132).
- 1116: le tre
vecchie chiese sono distrutte e al loro posto sorge l’abbazia attuale, ricca di
testimonianze dei tempi vissuti, con ispirazioni celtiche, romane, provenzali, bizantine
e talvolta arabe, mentre le sculture del portale evidenziano l’influenza dell’Apocalisse giovanneo, arricchito dalle
figure di animali tipici della foresta abitata da Gilles, ma anche (e
soprattutto) dei legami esistenti tra i mitologici animali mostruosi che
terrorizzavano queste terre, bestie immancabilmente domate dai santi della Chiesa romana.
- 1138 o 1139: Pierre
de Bruys, accusato di eresia, viene bruciato vivo sul piazzale antistante la
chiesa di Saint-Gilles. A questo crimine - come sempre approvato e impunito
- faranno seguito la crociata contro i Catari, le epidemie di peste, le guerre di
religione, la Rivoluzione del 1793, che tanti danni arrecheranno alla
popolazione e alla struttura artistica.
- 1842: l’abbazia
viene classificata monumento storico.
- 1865: Henry
Revoil, architetto diocesano, ritrova nella chiesa inferiore la lapide tombale
di sant’Egidio. Sebbene gli scarsi reperti ossei indicati come quelli di Gilles siano già dal 1562 a Toulouse, chiesa di Saint Sernin, i pellegrinaggi alla vuota tomba del santo riprendono.