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lunedì 10 dicembre 2018

Musée Nissim de Camondo, Paris


Cacciati dalla Spagna per volere degli Inquisitori, alla fine del XV secolo una famiglia di ebrei sefarditi attivi nel mondo della finanza trova riparo all’ombra dei minareti dell’Impero ottomano. Vi rimangono per tre secoli, quando l’ala protettrice offerta dallo statuto di protetti dell’impero Austro-Ungarico consiglia loro di traslocare a Trieste, uno dei centri dell’interscambio commerciale tra il mondo cattolico e quello musulmano. Per non disperdere i contatti in essere, nel 1802 Isaac Camondo fonda a Istanbul una banca che porta il suo nome, poi ereditata nel 1832 da suo fratello Abraham-Salomon, colui che viene ritenuto il patriarca dell’immensa fortuna dei Camondo - e le solide radici da lui piantate a Vienna, Londra e Parigi gli regalano il nomignolo di “Rothschild dell’Est”. La sua visione di sviluppo internazionale - tenere i piedi in più scarpe è una lezione che gli ebrei hanno ben imparata a loro spese - lo induce ad associare alla banca di famiglia i suoi due nipoti Abraham-Béhor e Nissim - dal 1866 rimasti orfani del padre Salomon-Raphaël -, spingendoli ad aprire una sede della banca Isaac Camondo et Cie a Parigi, cittàdove lui stesso s trasferisce nel 1869.
Già naturalizzato italiano nel 1865, nel 1867 (per aver economicamente sostenuto la causa di riunificazione dell’Italia) Abraham-Salomon riceve da Vittorio Emanuele III il titolo di conte, trasmissibile ad Abraham-Béhor, il primogenito maschio, una limitazione poi corretta nel 1870 con un secondo decreto che concede anche a Nissim lo stesso titolo e la sua trasmissibilità.
L’aver scelto Parigi quale nuovo centro operativo non scioglie comunque i legami col passato. A Istanbul il patriarca è impegnato nello sviluppo urbanistico del quartiere di Galata, operazione affiancata da un’intensa attività filantropica, con la costruzione di scuole, di ospedali e dispensari che portano il suo nome.
Portare la sede operativa a Parigi implica la necessità di disporre di una struttura di prestigio, adatta a mostrare la solidità della ditta. L’anno 1869 coincide col periodo in cui i fratelli Pereire, acquisiti i diritti sui terreni a sud del Parc Monceau, danno l’avvio a una nuova speculazione residenziale che vede quegli spazi destinati alla costruzione di hôtels particulier adatti alle esigenze di prestigio delle emergenti famiglie dell’alta società industriale e finanziaria. Nel giugno del 1870 i Camondo acquistano due lotti di terreno tra loro adiacenti, un lato rivolto al Parc Monceau, l’altro aperto sulla rue Monceau. Il lotto indicato col numero stradale 61 viene affidato all’architetto Denis-Louis Destrors, che riceve da Abraham-Béhor l’incarico di costruirvi un fastoso hôtels, struttura completata nel 1875.
Il lotto adiacente, che porta il numero 63 di rue Monceau, non è vergine: nel 1864 Adolphe Violet, un ricco imprenditore attivo nei lavori pubblici, vi aveva fatto erigere una casa, ingrandita nel 1872. L’anno seguente Nissim, il nuovo proprietario, affida all’architetto René Sergeant l’incarico di creare una nuova casa, aggiungendovi una serra decorata secondo lo stile giapponese, mentre nel 1874 l’architetto Destors ne realizza la nuova facciata.
Presto inseritisi nel mondo dell’alta aristocrazia francese, i fratelli Camondo non disdegnano di organizzare dei fastosi ricevimenti, aprendo le porte dei loro saloni adorni di oggetti d’arte.

Nel 1889, a qualche mese di distanza l’uno dall’altro, muoiono entrambi i fratelli, un evento che segna l’inizio del declino della banca Camondo. L’erede designato - Isaac de Camondo, figlio di Abraham-Béhor - pian piano si allontana dagli affari per dedicarsi alla musica e all’arte, le sue grandi passioni. Amante dell’arte decorativa del XVIII secolo, nel 1881 acquista per l’ingente somma di 100.000 franchi la pendola delle Tre Grazie, opera attribuita a Étienne Falconet e poi, sempre per la stessa somma, arricchisce uno dei saloni di casa col mobile degli Dei, una prestigiosa opera di alta ebanisteria. Ma l’interesse di Isaac non si limita all’arredamento. Col tempo raggruppa una eccezionale raccolta di pitture, disegni e pastelli di pittori impressionisti quali Degas, Manet, Monet e Cézanne, collezione in seguito donata al Louvre.
Nel 1893 Isaac vende l’hôtel al 61 di rue Monceau per trasferirsi in rue Gluck, a due passi dall’Opéra, dedicandosi anima e corpo alla melomania.

L’hôtel al 63 di rue Monceau è abitato da Moïse de Camondo, l’erede di Nissim. A differenza del suo estroverso cugino Isaac, Moïse vive una vita più convenzionale. Il 15 ottobre 1891 sposa Irène dei conti Cahen d’Anvers (La Petit Irène ritratta da Pierre-Auguste Renoir nel 1880), nata in seno ad una potente famiglia di finanzieri ebrei. Lui ha 31 anni, 19 la sposa. La luna di miele dura otto mesi, passati nella villa di Cannes. Nel 1892 nasce Nissim, nel 1894 Béatrice. Nel frattempo, giusto per rinforzare i nuovi vincoli familiari, Moïse e suo suocero acquistano un mastodontico yacht, Le Geraldine.
Nel 1897 tutto cambia: Irène fugge di casa in compagnia del conte Charles Sampieri, responsabile delle scuderie Camondo. Le pratiche per il divorzio - interminabili e rese pubbliche e scandaloso dai giornali - si concludono l’8 gennaio 1902, coi figli lasciati alle cure paterne. Venduto lo yacht, Moïse reinveste in una vasta tenuta nei pressi di Chantilly, ricca di boschi adatti per la caccia, rinominando Villa Béatrice l’esistente dimora.
Due annotazioni:
- Per unirsi a Sampieri, coetaneo di Moïse, Iréne si converte al cattolicesimo: non può saperlo, ma nel 1944 questa conversione sarà la sua salvezza.
- Nel dicembre 1903 i due fuggitivi hanno una figlia, Claude Germaine.

Moïse coltiva la passione per i viaggi e per le automobili, già condensate nel 1901 nella partecipazione alla gara Parigi-Berlino. Rimasto solo, in compagnia dei figli ogni anno ama passare il mese di dicembre a Saint-Moritz, quello di gennaio a Monte-Carlo, i mesi estivi a Biarritz, Dinard o altre località à la page.

È solo alla morte del cugino Isaac (1911) che Moïse eredita la direzione della banca di famiglia, a cui s’aggiungono altri incarichi in consigli d’amministrazione. Non amante dei rischi finanziari, la sua direzione bancaria è caratterizzata dalla mera gestione conservativa.

Il tempo passa, i figli crescono, una prima guerra mondiale arriva.
Patriota convinto, nel 1914 il ventiduenne Nissin s’arruola nell’aviazione. Nel 1915, in qualità d’osservatore, partecipa a numerose missioni volte a fotografare i campi di battaglia di Verdun e della Somme. Nel luglio del 1916 prende il brevetto di pilota. Il 5 settembre 1917 Nissim lascia la base di Villers-les-Nancy per una nuova ricognizione. Con lui sul velivolo, un Dorand, vi è Lucien Desessard, fotografo e artigliere. A tremila metri di quota incrociano un aereo tedesco, il Dorand è abbattuto. Tre settimane dopo la conferma: i due aviatori sono stati sepolti con gli onori militari nel cimitero tedesco di Avricourt.
La notizia della morte dell’amato figlio getta Moïse nella più totale disperazione. Per lui tutto è finito. Nel 1919 vende la banca, nel 1924 redige il testamento, donando il suo palazzo e le collezioni in esso contenute allo Stato francese, ponendo precise condizioni, tra cui: «Desidero che il museo sia tenuto in maniera impeccabile e pulito meticolosamente. Non è compito facile, nemmeno con personale di primo livello, che dovrà essere composto da un numero di addetti sufficiente alla bisogna; il lavoro è tuttavia facilitato da un sistema completo di aspirazione che funziona con poca spesa e meravigliosamente bene. […] Nei giorni di pioggia i visitatori potrebbero accedere dal cancello di ferro battuto che dà sul passaggio carrabile coperto che collega il cortile con boulevard Malesherbes. Tale cancello è preceduto da un ampio marciapiede che potrebbe essere ricoperto di stuoie e lungo il quale si potrebbero disporre dei portaombrelli.»

Moïse de Camondo muore il 14 novembre 1935 e a vegliare sull’esecuzione del testamento paterno si applica la figlia Béatrice, colei che il 21 dicembre 1936 - presente il Presidente della Repubblica e altre cariche dello Stato - inaugura ufficialmente il Musée Nissim de Camondo, dedicato al figlio (e fratello) morto per la Francia.

È di nuovo guerra, con l’occupazione tedesca e il governo di Vichy affidato a Pétain.
In quanto ebrei da più di tre generazioni (mentre ne bastano solo due se entrambi i coniugi sono ebrei) nel dicembre del 1942 Béatrice, Léon Reinach (suo marito dal 1919) e i loro due figli - Fanny (1920) e Bertrand (1923) - sono arrestati e deportati nel famigerato campo di Drancy, periferia est di Parigi.
Il 20 novembre 1943 Léon, Fanny e Bertrand vengono stipati sul Convoglio 62 diretto ad Auschwitz. Sono 1200 le persone a bordo. All’arrivo 914 di loro sono subito uccise, mentre Léon e Bertrand vengono fatti proseguire verso i campi di Birkenau (Léon) e Monowitz (Bertrand).
Il 31 dicembre 1943 Fanny viene uccisa ad Auschwitz.
Il 7 marzo 1944 Béatrice è una delle 1501 persone che lascia Drancy per salire sul Convoglio 69 diretto ad Auschwitz.
Il 22 marzo Bertand è ucciso nel campo di Monowitz.
Il 12 maggio Léon è ucciso a Birkenau.
Il 4 gennaio 1945 Béatrice è uccisa ad Auschwitz.

Da questa mattanza ne escono indenni il Musée Nissin de Camondo, dal 1936 non più una depredabile “casa di giudei” ma di proprietà dello Stato francese (Musée des Arts Décoratifs) e Irène nata Cahen d’Anvers, ex moglie di Moïse de Camondo, madre di Béatrice, nonna di Fanny e Bertrand, fortunosamente convertitasi al cattolicesimo “prima” del 1940, data limite imposta dalle leggi razziali. Sarà lei l’erede dei Camondo.

LE FOTOGRAFIE DI
GIANCARLO MAURI
scatti del 4 novembre 2015
con l’inserimento di brani estratti da
Lettere a Camondo
un libro di Edmund de Waal
edito nel 2021 da Bollati Boringhieri
e di cui ne consiglio vivamente la lettura integrale


Conosco rue de Monceau piuttosto bene. […] Tutto cominciò venti anni orsono, in una mattina non diversa da questa. Percorrevo lentamente il boulevard Haussman per poi svoltare in rue de Courcelles e raggiungere il tratto dove la via inizia a farsi interessante. Poi mi lasciavo alle spalle l’incrocio con avenue Ruysdaël, in fondo alla quale si scorge la macchia verde del Parc Monceau e, proseguendo, passavo davanti alla mastodontica «mostruosità» di vostro zio Abraham al 61, al vostro elegante portone al numero 63, fino al boulevard Malesherbes. [...]
Le famiglie ebree che si trasferiscono nel quartiere arrivano da fuori. Questo posto offre l’opportunità per portare la propria famiglia in una Parigi laica, repubblicana, tollerante, civilizzata, e di costruire qualcosa con fiducia in se stessi, qualcosa di dimensioni appropriate, pubbliche. Entrambe le nostre famiglie, gli Ephrussi e i Camondo, arrivano nel 1869 ed entrambe, quello stesso anno, comprano un lotto di terreno in rue de Monceau. Al numero 55 c’è l’Hôtel Cattaui, residenza di banchieri ebrei trasferiti dall’Egitto. Dall’altra parte della strada ci sono un paio di Rothschild mentre due dei tre facoltosi ed eruditi fratelli Reinach abitano proprio accanto al parco. Henri Cernuschi, che vive quasi dirimpettaio a voi, non è ebreo ma è esule dall’Italia a causa delle sue idee politiche.










Partendo dunque dalle cucine, attraverso la vostra casa evitando gli spazi pubblici. L’architetto che avete scelto, René Sergent, aveva appena finito di ristrutturare il Claridge’s di Londra quando progettò questi spazi che sono il non plus ultra in fatto di efficienza. Impianto idraulico e di ventilazione all’avanguardia, maniglie delle porte sagomate per adattarsi perfettamente alla mano di una cameriera indaffarata. Le mattonelle di maiolica bianca scintillano. Le linee del grande fornello di ghisa sono sinuose e filanti come quelle di una delle vostre automobili nuove custodite negli immensi garage. Tutte le finestre hanno il vetro smerigliato. La luce è soffusa.




La porta che dà sulle scale di servizio è discreta, la si nota appena. […] Salgo. La prima porta mi conduce nel regno del maggiordomo, l’office coi suoi lavandini di zinco per lavare piatti e bicchieri. Una porta nascosta dà accesso alla sala da pranzo.




Vorrei sapere del cabinet delle porcellane dove, dentro vetrinette a sei ripiani, sono esposti i vostri servizi di Sèvres, les services aux oiseaux Buffon, e dove pranzate da solo: chissà se gettate lo sguardo oltre la finestra, verso i rami degli alberi che ondeggiano dolcemente nel vostro giardino e, più in là, nel Parc Monceau? Nel 1913 fate piantare aceri, ligustro della Cina e susini ornamentali, Prunus cerasifera Pissardii, dalla chioma rosso scuro.



In questa casa ogni stanza spinge avanti, si dispiega, interagisce. Sono nella biblioteca e posso proseguire in tre direzioni diverse. Dal salone principale è possibile accedere ad altri quattro spazi. Ci sono nicchie e recessi, scale a chiocciola che dalle camere da letto salgono agli alloggi della servitù, in modo che gli abiti possano apparire e sparire. Si intravede una scalinata curva che sale disegnando un ampio arco, tagliato da una galleria. C’è un appartamento nascosto per il maggiordomo, una stanza per l’argenteria, un locale espressamente dedicato al travaso del vino.
Avete affidato a René Sergent l’incarico di creare questa casa per voi. [...] Ma in questo edificio, tanto splendido quanto disorientante, l’architetto supera se stesso.















Posso parlarvi delle camere dei ragazzi, monsieur?
Quella di Nissim è un santuario. Quando, nel 1923, Béatrice, Léon e i bambini si trasferiscono nell’elegante appartamento di Neullly, voi trasformate la camera di Fanny e Bertrand in salotto. E in effetti è la stanza più accogliente della casa, con finestre su due lati, rivolte verso il parco e verso la casa di Cernuschi, ora trasformata in museo che espone le collezioni d’arte asiatica del defunto proprietario.






...sono nella vostra biblioteca. Adoro questa stanza. È circolare, dettaglio insolito per una biblioteca, e deve aver messo a dura prova i falegnami che hanno realizzato le librerie.
«[La mia biblioteca] è di forma rotonda con un solo lato dritto, che mi serve per il mio tavolo e la mia sedia; e curvandosi viene ad offrirmi, in un colpo d’occhio, tutti i miei libri...» scrive Montaigne nel saggio Di tre commerci.
Dell’avere biblioteche rotonde: Michel Eyquem de Montaigne e Moïse de Camondo.






E poi [nella camera da letto] c’è quel nudo davvero terrificante sopra il vostro letto. A quanto pare si tratta di un’allegoria del sonno ma è bruttina, a essere sinceri.


I sanitari sono in un recesso al di là di un passaggio ad arco, completamente immerso nell’ombra. Richiudo la porta con estrema discrezione.



CIMITERO DI MONTMARTRE





venerdì 13 ottobre 2017

Carlos Casagemas, peintre, ami de Picasso


Prima giornata “intera” a Parigi. Destinazione Saint-Ouen. Il cimitero, non il mercato delle pulci, anche se poi la strada è la stessa. Cimitero dimenticato anche da chi ha scritto libri sui cimiteri di Parigi. O almeno, non descritto nei due volumi che ho in casa: l’illustratissimo e bilingue Secrets des cimetières de Paris - Secrets of the Paris Cemeteries di Jacquelin Barozzi, Éditions Massin 2012 e il più letterario Les Cimetières de Paris di Michel Dansel, Éditions Denoël 1987. Tra le loro pagine primeggiano le aree del Père-Lachaise, di Montparnasse, di Montmartre e giù giù fino ai più piccoli cimiteri di periferia felicemente dimenticati dai giri turistici massificati, ma del cimetière de Saint-Ouen nessuna traccia.
In mio aiuto arriva sant’Internet, dove trovo una piantina voluta dalla Mairie de Paris, con breve spiegazione, numerazione dei campi e l’elenco di 71 tombe di prestigio. La stampo ed evidenzio due punti di mio interesse, così descritti:
- VALADON Suzanne (1865-1938) peintre (mère d’Utrillo)
- CASAGEMAS Carlos (1881-1901) peintre, ami de Picasso (La mort de Casagemas, 1901 par Picasso).


Arrivarci è facile: linea 4 della metropolitana, direzione Porte de Clignancourt. Al capolinea si continua a piedi per avenue Michelet, coi suoi larghi marciapiedi occupati dai venditori di ciarpameria varia. Qui la fauna umana è essenzialmente magrebina, giovane e - nel mio caso - inutilmente incazzata. La cronaca: vedo una vitrea porticina deturpata da scritte e per abitudine alzo la fotocamera all’occhio. Un venditore subito mi urla no foto! no foto! Senza abbassare la fotocamera gli rispondo: perché no? Lui ci resta lì come quel de la mascherpa - forse perché finora nessun viso pallido ha osato reagire alla sua provocazione - e non trova di meglio che ribattere il mantra di cui sopra. Con gesto plateale scatto una foto, poi una seconda. Calo la fotocamera e mi giro: vedo occhi bianchi su sfondo scuro che scrutano la non-reazione dell’ammutolito no-fotista. Saluto e me ne vado, puntando al sottopasso del Boulevard Phériphérique.

Poco più avanti, sulla destra vedo una costruzione in fase di ruspante abbattimento. Intuito il mio interesse un uomo in gita col suo pisciante cagnolino apre il dialogo:
- Hanno abbattuto una chiesa copta per costruire un supermercato.
- E i copti adesso dove vanno?
- Eh, loro hanno già la chiesa nuova, più in là - e mi indica un posto indefinito.
- Già. Il cimitero è lontano?
- Prima a destra, c’è un cartello.

Una sequenza di show rooms lucranti sul culto dei morti è il miglior segnavia: le esposizioni di tombe marmoree si alternano ai venditori di fiori.
All’ingresso del cimitero un verde cartello regala brandelli di cronaca spicciola.
Di fronte ho l’alberata Avenue du Rond-Point, a sinistra l’Avenue de l’Ouest. Seguendo quest’ultima ben presto sono alla semplice tomba della famille valadon utter. Inutile cercare il nome di Utrillo: il figlio della Valadon è sepolto altrove, al cimitero Saint-Vincent, sulla butte di Montmartre.
Prendo a seguire l’Avenue du Sud, quella che porta direttamente al cimitero vecchio, separato dal cul-de-sac che porta il nome di Rue Adrien-Lesesne. Il vecchio cimitero è piccolo e di forma triangolare. Di fronte ho l’Avenue Laterale. La seguo e al muro giro a destra. In fondo, campo 7, trovo lo spoglio rettangolo sotto cui giace Carlos Casagemas (francesizzato Charles sulla lapide).



L’Umberto-echiana (o echica?) Vertigine della lista mi accompagna da troppi decenni. Infatti, da sempre prendo appunti sui personaggi che m’interessa conoscere. Ho cominciato con gli alpinisti attivi sulle Grigne, poi con gli scrittori, infine con gli artisti della tela. Col tempo, dai fogli biroscritti sono passato al word dattiloscritto affidato alla memoria del pc. Gli appunti su Picasso sono chilometrici - e non poteva essere altrimenti visto che su di lui ho in casa oltre cento volumi. Leggendo, ogni data o azione degna di nota è finita nell’hd, col cognome dell’autore del libro e il numero di pagina. Tutto questo mi permette di ricostruire i fatti, narrati sempre - o quasi - in maniera diversa dai biografi. La vita e la morte di Casagemas è uno di questi fatti, mutante secondo il libro che si ha per le mani. Per questo uso affermare mai credere a nulla di quel che ti dicono (o scrivono) e credi solo a metà di quel che vedi. È il continuo confronto tra tesi diverse a fare la differenza, avvicinandoci alla possibile verità.
Su Casagemas propongo una selezione dei miei appunti, con bibliografia racchiusa tra parentesi quadre. Aggiungo: in casa ho copia digitale di tutte le riviste segnalate.

1899 - [O’Brian 72 e 74; Palau 151 e 152]. A febbraio Picasso termina Costumi d’Aragon, che gli vale la medaglia di terza classe a Madrid e la medaglia d’oro a Málaga. Andato perduto, si conserva una caricatura apparsa su Blanco y Negro del 13 maggio.




[O’Brian 79; Perry 40; Sabartés 20]. Metà febbraio (gennaio per Museu Picasso): rientrato da Horta de Ebro a Barcellona, dopo aver litigato col padre se ne va di casa e trascorre parecchie settimane ospite in un bordello, ricambiando l’accoglienza delle ragazze decorando le pareti delle camere. [Nota di Gcm: che sia nato qui il Bordel d’Avinyó, ora noto come Les demoiselles d’Avignon?]. Lasciato il bordello Picasso va ad abitare con l’amico Santiago Cardona, fratello di Joseph, lo scultore conosciuto alla Llotja. A fianco dell’atelier di corsetteria dei Cardona, Picasso ha a sua disposizione una stanzetta la cui finestra dà sulla carrer dels Escudellers Blancs. Qui dipinge nell’aprile 1899.
[Palau 157 e sgg]. In febbraio, a Barcellona esce il primo numero della rivista Quatre Gats, diretta da Pere Romeu.
[O’Brian 83]. Una certa tendenza all’anarchia era sempre presente in Picasso e le discussioni al Quatre Gats semplicemente chiarirono e incoraggiarono un odio preesistente verso l’autorità e un deciso rifiuto alle regole imposte dall’esterno.
[Perry 41, O’Brian 79; Sabartés 25]. Frequentando il turbolento gruppo dei Quatre Gats - tutti uomini abbigliati con giacche diritte, gilet, pantaloni stretti, larghe cravatte sgargianti e l’immancabile pipa in bocca - Picasso ha avuto modo di conoscere i pittori Junyer Vidal, Nonell, Sunyer e Casagemas; il critico d’arte e giornalista Carlos Junyer Vidal e suo fratello Sebastià (che diventò pazzo); Josep Xiro (pure lui finito in manicomio); Joachim Mir (Picasso e lui si scambiarono i ritratti); lo scultore Manolo Hugué detto Manolo (che Picasso aiutò per tutta la vita); l’anarchico Jaime Brossa; Zuloaga, che divenne fascista al tempo di Franco e denunziò Picasso; i fratelli Ángel e Fernándes de Soto detto Mateu; lo scrittore Ramón Reventós e suo fratello Cinto; il poeta Jaime Sabartés, che diventerà suo assistente fino alla sua morte, nel 1968. Tra i più anziani, in questa cerchia, figurano il critico Eugenio d’Ors, autore di Pablo Picasso e altri studi; il pittore e scrittore Santiago Rusiñol, lo storico dell’arte Miguel Utrillo, il pittore Ramón Casas. Ma anche Joseo e Joaquim Bas, Josep ed Elim Fontbona, Josep, Joan e Juli Gonzales, Sebastia e Oleguer Jubyent e gli innominali Pixot: Josep, Ramon, Lluis, Ricard… e i “solitari” Manolo Hugué, Joan Vidal Ventosa, Anglada Camarasa, Rocarol e Ricardo Opisso.


1900 - [O’Brian 87; Sabartés 40-41]. Dai primi di gennaio e fino a settembre Picasso condivide gratuitamente con Carlos Casagemes una grande soffitta, priva di mobili ma ben illuminata da grandi finestre, all’ultimo piano di una vecchia casa che loro chiamano obrador perché destinata all’uso industriale - in Riera de San Joan 17. L’atelier è di proprietà del padre di Carlos, console generale degli Stati Uniti a Barcellona. È qui - ascoltati i discorsi di Casas, Rusiñol, Utrillo e Nonell, che ha un atelier in rue Gabrielle - che Pablo prepara il suo primo viaggio a Parigi, obiettivo l’Esposizione universale. Ogni paese sceglie gli artisti che lo rappresenteranno. Picasso invia alcune tele e Ultimi momenti (ora coperta da La Vita, 1903) è selezionata per l’Esposizione Universale che si inaugura a Parigi il 14 aprile ed esposta al Grand Palais.
[Palau 192-194]. Primavera: Picasso e Casagemas vanno a Sitges e a Badalona.
[Sabartés 44; O’Brian 97-98]. Il padre paga a Pablo il biglietto del treno (e faticherà per arrivare a fine mese) e verso il 15 di ottobre [nei giorni che precedono il 27 settembre scrive Museu Picasso; pochi giorni dopo il suo diciannovesimo compleanno scrive Penrose 87] lui e Casagemas arrivano a Parigi, Gare d’Orsay. La prima idea è di prendere un atelier al 9 di rue Campagne-Prèmiere. Sulla strada per Montparnasse, dove si reca per vedere lo studio, casualmente Picasso incontra Nisidro Nonell, prossimo a rientrare a Barcellona, che gli offre il suo atelier al 49 di rue Gabrielle. Le spese sono divise per tre, essendo arrivato a Parigi anche Pallarés.
[Sabartés 43; Palau 200-201]. Come giunsero a Parigi, dalla Gare d’Orsay inaugurata da poco, Picasso e Casagemas non si diressero subito a Montmartre, come si è soliti affermare. Si recarono, dapprima, a un indirizzo preciso di Montparnasse: 9, rue de Campagne Première. Lì c’era un grande edificio, ove allora esistevano numerosi studi, occupati da artisti. In uno di questi si era installato il pittore e scenografo Oleguer Junyent, con la mediazione del quale ne affittarono uno per loro. Secondo André Warnold (pag. 174), l’edificio fu costruito con materiali provenienti dalla demolizione dell’Esposizione Universale del 1899. Quasi sicuramente a Montparnasse, Picasso e Casagemas videro anche i pittori Isern e Pidelaserra i quali, con lo scultore Fontbona, abitavano nello stesso quartiere (sappiamo che dal loro studio s’intravedeva l’orologio di Val de Grace). Solo dopo essersi accertati di avere un letto assicurato, si diressero a Montmartre per salutare Isidre Nonell, che abitava al numero 49 di rue Gabrielle. Questi li informò che sarebbe partito, alcuni giorni dopo, per Barcellona. Forse perché piaceva loro quello studio, forse perché preferivano Montmartre, allora molto più celebre di Montparnasse, prenotarono lo studio di Nonell per quando costui lo avesse abbandonato. Picasso mi disse che avevano potuto recuperare una parte della caparra data per lo studio di rue Campagne Première, che abbandonarono subito per andare a installarsi provvisoriamente, mentre attendevano la partenza di Nonell, all’Hôtel du Nouvel Hippodrome (in rue Caulaincourt, mi sembra), al prezzo di tre pesetas al giorno.
[Palau 202]. Che la prima visita all’Esposizione fosse dedicata alla sezione pittura, come riferisce Casagemas, non ha nulla di strano. D’altra parte Picasso ha un quadro nella sezione spagnola (numero 79 del catalogo), con il titolo Gli ultimi momenti, sicuramente lo stesso già esposto ai 4 Gats.
[Palau 212]. Nonell aveva presentato a Picasso e a Casagemas tre modelle: Laure Gargallo detta Germaine, ballerina al Molulin Rouge, e le sorelle Antoinette e Louise Lenoir detta Odette. Germaine era sposata con un certo Florentin.
[Perry 43]. Casagemas mi seguiva dappertutto, ma, quando entriamo in un bordello, il suo lungo naso si allunga ancora. Lui mi aspettava in basso mentre io salivo godente a quelle sedie rosa e violetto. Credevo fosse disgustato, lui era impotente, l’ho saputo troppo tardi. Casagemas mi ha insegnato che noi siamo tutti differenti.



[Sabartés 55; Palau 206-207]. Casagemas s’innamora di Germaine.
[Perry 61]. Il 23 o 24 dicembre Picasso e Casagemas rientrano a Barcellona per passare il Natale in famiglia. Il 30 dicembre i due sono a Málaga, in visita allo zio di Pablo, Salvador Ruiz. Questi, viste le pessime condizioni del loro abbigliamento, si rifiuta di ospitarli. Scelgono l’Hôtel Tres Naciones e anche qui - causa l'evidente povertà di mezzi - trovano difficoltà, superate da Pablo solo dopo aver fatto il nome dello zio. Tre giorni dopo Casagemas lo lascia perché vuole rientrare a Parigi.
[Palau 210]. Appena giunsero a Malaga, i due amici andarono alla locanda delle Tre Naciones, situato in calle Casas Quemadas. Ma i loro abiti dovevano essere davvero in condizioni penose, dato che la padrona si rifiutò di accoglierli. Picasso ricorse infine alla zia Marìa de la Paz Ruiz Blasco, che abitava nello stesso stabile, affinché lui e il suo amico fossero accettati.


1901 - [Palau 210; Sabartés 41]. Gennaio. A Malaga Picasso e Casagemas passavano le notti in taverne e postriboli, soprattutto nella casa chiamata Lola la Chata. Lo zio Salvador gli diede l’indirizzo di un sarto perché si facesse un abito decente. Casagemas era sempre ubriaco. Un giorno, grazie alle conoscenze dello zio Salvador, Pablo lo fece salire su una delle navi dirette a Barcellona e Casagemas abbandonò Malaga. Partito Casagemas, Picasso comprese che non aveva più nulla da fare nella sua città natale e decise di andare a Madrid. Secondo Sabartés, questa permanenza di Picasso a Malaga durò meno di due settimane. Considerando che era giunto il 31 dicembre, bisogna situare la data della partenza di Picasso per Madrid verso il 12 o il 13 di gennaio.
 [Palau 212-214]. Parigi, 17 febbraio. Casagemas - ospite di Pallarés nel suo nuovo studio al numero 120 ter di boulevard de Clichy - annuncia di voler tornare a Barcellona e per festeggiare la partenza invita Pallarés, Manolo e Riera, Germaine e Odette a cenare con lui al ristorante L’Hippodrome, al 128 di boulevard de Clichy. Qui, dopo l’ennesimo litigio con Germaine, Casagemas estrae una pistola e le spara un colpo, mancandola. Subito dopo Casagemas si punta la pistola al cervello e si spara, stramazzando su una sedia. Portato all’ospedale Bichat muore alle 23,30. Sarà sepolto a Montmartre Saint-Ouen, mentre la commemorazione funebre si terrà a Barcellona, nella chiesa di Santa Madrona.


[Sabartés 55] Malheureusement, Casagemas qui s’est mis une femme en tête ne fait rien ; il ne peint plus, boit pour se distraire et pense au suicide. Que peut faire Picasso auprès d’un tel ami ? A peine a-t-il eu le temps d’aller au Louvre et au Luxembourg. Il a parcouru Paris ; il a vu le Molin Rouge, il a pris l’air de Montmartre. Il a fait plus ou moins attention à ce qui s’y peint et s’y dessine. Ce qu’il ne peut voir faute de temps, il le devine dans les conversations. Il se préoccupe de tirer Casagemas de son mauvais pas. Aussi projette-t-il de l’amener à Malaga. Peut-être là-bas le soleil lui rendra-t-il la gaîté. C’est inutile. Casagemas ne réagit pas. Il est hanté par le suicide. Et comme il se met à boire sans arrêt, Picasso s’en sépare. Casagemas retourne à Paris dès qu’il se sent libre et, quelques jours après, il se suicide.

Io non so perché non c’ero, ma pare che il vero problema di Casagemas - la ragione per cui Germaine rifiutava di aderire alle sue profferte d’amore - non fosse l’impotenza ma una dolorosa fimosi, problema risolvibile con un intervento chirurgico. Quanto al suicidio, pare che nello studio di rue Gabrielle a Casagemas che le chiedeva di non abbandonarlo per andare a casa di altri artisti lei avesse risposto: “loro, almeno, sanno usare qualcos’altro oltre al pennello”. Una frase mortale per il giovane spagnolo, anche perché pronunciata in presenza di Picasso e di Pallarés.
Quanto alla fatidica sera del 17 febbraio, Casagemas sparò sì un colpo di pistola in direzione di Germaine, ma lei fu lesta a scansarsi e a ripararsi dietro Pallarés. Ed infatti fu Pallarés ad essere colpito, fortunatamente in maniera non grave.
Picasso - che al momento del fatto si trovava a Madrid e seppe della morte dell’amico solo mesi dopo - ricorderà Casagemas con alcune tele. In una, accanto al volto di Carlos sul letto di morte - il foro del proiettile in primo piano - compare una candela. Come Picasso ammise, quella vivida fiamma che illumina il volto del morto altro non è che il sesso femminile, dolore e causa della morte di Casagemas.





La vita continua e i morti non risorgono. Tre anni dopo Germaine e Pablo si ritrovano e per alcuni mesi frequentano con passione lo stesso letto. Riprendo dalle mie note:



1904 - [Vallard 91]. 12 aprile: Picasso è a Parigi in compagnia di Sebastià Junyer Vidal.
[Penrose 129]. Sul lato occidentale della collina di Montmartre, in una piazzetta che ora si chiama place Émile-Goudeau, esiste ancora un curioso e malandato edificio che oltre cinquant’anni fa Max Jacob battezzò ironicamente Bateau Lavoir, la meta per la quale Picasso e Sebastia Junyer y Vidal partirono da Barcellona nell’aprile 1904.
[Vallard 93]. Nella Maison du Trappeur (13 rue de Ravignan, oggi place Émile-Goudeau) - che un giorno diventerà famosa col nome di Bateau Lavoir, nome che allora i frequentatori ignoravano - l’atelier di Paco Durio è vuoto, così Picasso ci si installa.
[Perry 107]. Lì ritrova la colonia spagnola: Ricardo Canals e sua moglie (la romana Benedetta Bianco Coletta, già modella di Degas e di Renoir; dirà Picasso: “io l’amavo perché lei ci faceva mangiare e perché non tradiva il marito”), Manolo, Totote, Ramón Pitchot, Germaine; Juan Gris li raggiungerà poco dopo. Max Jacob lo presenta al critico André Salmon e conosce Kees van Dongen, due residenti dell’immobile.
[Perry 112]. Una tavola, l’Arlequin au verre, mostra Picasso seduto accanto a Germaine. Sullo sfondo Frédé suona la chitarra.




 [Perry 107]. Estate: Germaine è uscita dalla vita di Pablo. “Quel che ho fatto di meglio in questo periodo viene da Madeleine e dal Lapin Agile. La Femme au casque de cheveaux è Madeleine, la Femme à la Corneille è Margot, la nipote di Frèdé del Lapin Agile. Ella sposerà Mac Orlan”. Picasso, che ne diviene amante, la ritrae anche nella Femme en chemise, nel Nu assise e nella donna in piedi delle Deux Amies; ancora: è lei la donna accanto ad Arlecchino nella Famille de l’Acrobate au Singe e nella Famille d’Arlequin.
[Perry 107-108; Penrose 133 sgg]. Autunno: Pablo incontra Fernande Bellevallée (Amélie Lang all’anagrafe, moglie divorziata di un certo Olivier), modella professionista, ora l’amante di Joaquím Sunyer, abitante nei pressi del Bateau Lavoir. I suoi genitori fabbricano “Fiori e Piume e Arbusti Artificiali”. Picasso si ritrae accanto a lei in due acquarelli: Contemplation e Nu endormi.
[Penrose 145 sgg]. Il “rosa” (o periodo del circo, come preferisce Picasso) arriva con L’Acteur.

Come dire: dall’incubo seguito alla morte di Casagemas Picasso ne è uscito solo dopo aver amato Germaine. Poi lei sposerà Ramón Pitxot, pittore catalano.

* * *

Esco dal cimitero, ripasso tra i tendoni del mercatino - altro lato della strada: qui a tener banco sono soprattutto i Sikh - e m’infilo nell’intestino detto metropolitana. Riemergo alla luce mezzora dopo, fermata Odéon. Dall’alto del suo basamento il cittadino Danton controlla il traffico. Un tempo, lui teneva casa qui, proprio dove oggi si erge la sua statua. È proprio vero: Parigi era tutta un’altra casa.

LE FOTOGRAFIE DI
GIANCARLO MAURI
2 ottobre 2017