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martedì 23 aprile 2024

Gli impiccati di via Ghega - Trieste, 23 aprile 1944




Nel febbraio 1944 il generale Ludwig Kübler, comandante della Wehrmacht nel «Litorale», territorio amministrato direttamente dal Reich, riscontrato il grave pericolo costituito dai partigiani, impartì l’ordine «terrore contro terrore, occhio per occhio, dente per dente», perché «è giusto e necessario tutto ciò che conduce al successo». Kübler assicurò i suoi sottoposti: «Coprirò personalmente ogni misura che sia conforme a questo principio». Nelle province di Udine, Trieste, Gorizia, Pola, Fiume, Lubiana, costituenti la Operationszone Adriatisches Küstenland (Zona d’operazioni Litorale Adriatico) l’incremento della violenza in quell’anno non ebbe sosta.
A Trieste la resistenza organizzata nella rete clandestina delle fabbriche, nei GAP (Gruppi di azione partigiana), nel CLN (Comitato di liberazione nazionale), fu esposta ai gravi rischi derivanti dall’apparato repressivo nazista (Gestapo), da quello del collaborazionismo locale (Ispettorato Speciale di Pubblica Sicurezza per la Venezia Giulia), dall’attività degli infiltrati e da una speciale milizia, la Guardia civica, istituita dal podestà Cesare Pagnini in accordo col prefetto Bruno Coceani, in base ad un’ordinanza del Gauleiter Friedrich Rainer sulla costituzione di unità antipartigiane.
La strage di via Ghega rientrò in questo clima di violenza generalizzata ed avvenne appena venti giorni dopo la fucilazione di 71 antifascisti ad Opicina.
Sull’altipiano carsico, il 3 aprile, nel Poligono di tiro di Opicina, in seguito ad un attentato compiuto il giorno precedente dai partigiani presso il cinema del luogo in cui 7 soldati tedeschi avevano perso la vita, furono qui fucilati per rappresaglia 71 ostaggi, i cui corpi vennero bruciati il giorno successivo nel forno crematorio della Risiera di San Sabba.
Con l’istituzione della Zona di operazioni Litorale Adriatico, palazzo Rittmeyer, proprietà comunale dal 1914, fu trasformato dalle autorità germaniche in Soldatenheim (Casa del soldato), ritrovo e mensa per soldati ed ufficiali della Wehrmacht. L’edificio rimase tristemente famoso per la rappresaglia compiutavi dai nazisti il 23 aprile 1944. Il giorno precedente, il 22 aprile, nella sala mensa affollata di soldati ed ufficiali in attesa del pranzo, esplose una bomba, lasciata in una borsa sotto un tavolo, da due partigiani d’origine azerbaigiana, Mechti Husein Zade (Mihajlo) e Mirdamat Seidov (Ivan Ruskij), prigionieri sovietici inquadrati nella Wehrmacht, ma operanti come sabotatori per il Fronte di Liberazione Sloveno (Osvobodilna Fronta). Nell’attentato perirono cinque soldati tedeschi.
La reazione nazista fu immediata: nella notte tra il 22 ed il 23 aprile, dalle carceri del Coroneo e dei Gesuiti, vennero prelevati 51 ostaggi civili, partigiani e politici italiani, sloveni e croati. Fatti scendere da un camion e scortati all’interno furono impiccati ad uno ad uno, chi alla balaustra delle scale, chi alle finestre, ed esposti, per due giorni, a monito per la popolazione.
Tra gli ostaggi vi furono ragazze e ragazzi in giovanissima età: Carlo Krizai di 16 anni, Giuseppe Turk di 17, come Giulio della Gala di GL e della Gioventù Antifascista Italiana (GAI), Luciano Soldat di 18. Tra le donne Laura Petracco Negrelli, Zora Germec, Maria Turk. Laura Petracco fu arrestata assieme allo studente universitario Marco Eftimiadi, cui toccò la stessa sorte.
Militi della Guardia civica furono obbligati, dai comandi germanici, a svolgere servizio di vigilanza alle salme esposte.
Il fratello di Laura Petracco, Silvano di 18 anni, fu tratto dalle carceri ed impiccato nei pressi della stazione ferroviaria di Prosecco con altri 10 suoi compagni il 29 maggio 1944. Prosecco svolse un ruolo importante sia nella lotta antifascista d’anteguerra che nella successiva lotta di liberazione; nel 1941 vi era sorto il primo nucleo dell’Osvobodilna Fronta e l’intera area ebbe un ruolo strategico di collegamento tra la rete clandestina della città di Trieste, l’altipiano ovest e l’entroterra sloveno. Alla forza del movimento partigiano corrispose una violenza repressiva inaudita al punto che, dopo l’eccidio del 29 maggio, suscitarono molto allarme i lavori per la costruzione di un forno crematorio nei pressi dell’attuale monumento ai caduti, progetto interrotto dalla liberazione.
La sera del 27 marzo 1945 un gruppo di gappisti portarono a termine un’azione di sabotaggio incendiando i fusti di benzina depositati all’interno di un’autorimessa tedesca sita in via Massimo d’Azeglio, senza causare vittime. Durante la fuga, due degli attentatori furono fermati da una pattuglia della Guardia civica: uno riuscì a scappare, l’altro, Giorgio De Rosa, fu consegnato ai tedeschi. L’indomani le SS arrestarono altri tre del gruppo partecipante all’azione.
Bastonati crudelmente nella sede dell’Ispettorato Speciale e riconsegnati alle SS, Giorgio De Rosa, Sergio Cebroni, Remigio Visini, Livio Stocchi, d’età tra i 17 ed i 21 anni, furono pubblicamente impiccati la mattina del 28 marzo, sul luogo dell’attentato, a ganci rudimentali.

* * *

DOVE SI TROVA. Al numero civico n. 12 della centralissima via Ghega, l’arteria che delimita il borgo Teresiano e collega la Stazione centrale (ex Ferrovia Meridionale) al centro città, l’edificio ottocentesco, ereditato dal Comune dalla famiglia de Rittmeyer nel 1914, è sede dal 1954 del Conservatorio di musica «Giuseppe Tartini». Una lapide, posta sulla facciata nel 1947, ricorda l’eccidio.
La via d’Azeglio, ubicata nei pressi dell’Ospedale Maggiore, parte da piazza dell’Ospitale, facilmente raggiungibile da piazza Goldoni, e finisce a largo Niccolini. Al numero civico 13, sulla facciata di un’autorimessa, una lapide con i nomi ricorda le 4 vittime.



















sabato 25 marzo 2023

La Risiera di San Sabba


Giornata caratterizzata da una pioggia leggera, di quelle destinate a durare poco. In piazza Goldoni l'autobus numero 10 arriva puntuale. Una ventina di minuti dura il viaggio. Si scende alla penultima fermata (i monitor all'interno aiutano il viaggiatore), dopo il cimitero monumentale di Sant'Anna e dopo lo stadio dedicato al dio Balòn. All'ingresso ci viene chiesto di ammutolire la suoneria dei telefoni ...e di portare pazienza: oggi - come succede in periodo scolastico - i cortili e i locali dell'ex opificio per la lavorazione del riso ospitano comitive di studenti al seguito delle loro guide. Nessun problema. Acquisto un libretto (l'unico disponibile): 3 euro. La visita ha inizio. Subito a sinistra, ancora sotto il portico, vi è la cella destinata a chi era in attesa della morte - per gas, per impiccagione o per colpo di mazza sul cranio. A destra, nel cortile, una lastra di acciaio marca lo spazio dove sorgeva il forno crematorio. A sinistra vi è lo stanzone delle cellette, lunghe e alte 2 metri, larghe un metro e 20 - e qui dentro vi stavano anche 6 prigionieri. Scatto qualche fotografia, che qui propongo in ordine cronologico, rinviando al sito web ufficiale per ogni altra informazione.

Ha scritto Luigi Nacci:

Da Prosecco segui il sentiero 1, resta sul lato mare, attraversa il Bosco Fornace, il San Primo, passa accanto all’ex vedetta per la pesca dei tonni, che si è conclusa negli anni ’50, sei a Santa Croce, prosegui per il Bosco Babiza, svolta a destra per Aurisina, passa sotto l’autostrada, c’è la segnalazione per un cimitero austro-ungarico, vacci, è seminascosto, raccolto in una dolina, fa impressione, no? Pensa alla pomposità del Sacrario di Redipuglia. Prima, all’obelisco, non ti ho detto di un altro cimitero a pochi passi da te, quello militare tedesco, smantellato nel 1956, in cui erano stati sepolti i soldati morti a cavallo tra il 1944 e il 1945 nel Litorale Adriatico.
Lì era sepolto Christian Wirth, detto Christian il barbaro, uno che si mormora interrasse bambini vivi e girasse con un barattolo pieno di denti d’oro, SS che era stato comandante del lager di Bełżec, in cui erano state sperimentate le prime camere a gas, membro del programma Aktion T4 finalizzato all’eliminazione dei “malati inguaribili” nonché, prima di essere ucciso dai partigiani jugoslavi a Erpelle (una ventina di chilometri da dove ti trovi), a comando dei reparti speciali “Einsatzkommando” che avevano preso possesso della Risiera di San Sabba. Spostata nel cimitero veronese di Costermano, la sua salma è stata al centro di un caso di cronaca nel 1988, allorché il console generale tedesco di Milano si rifiutò di presenziare alle commemorazioni avendo scoperto che tra i nomi dei caduti figurava il suo. Scandalo, rimozione del console, cancellazione del nome nella cappella cimiteriale. Tutto risolto, no?
Non si pensi che le stragi siano avvenute solo da una parte. Molti dei tedeschi impegnati nella Battaglia di Opicina, una volta arresisi e, di fatto, consegnati ai partigiani jugoslavi dai neozelandesi, finirono nella vicina Foiba di Monrupino. Pure dall’altra parte del golfo, a Muggia, fecero una fine infausta i croati dell’Accademia di Marina fedeli all’ustaža Ante Pavelic, che costituivano una piccola guarnigione a difesa della costa. Pier Antonio Quarantotti Gambini, scrittore istriano di Pisino, amato da Saba, racconta in Primavera a Trieste che erano circa quattrocento «splendidi ragazzi, e anche educati», non avevano preso le armi contro i titini, anzi, al loro arrivo avevano fraternizzato. Molti erano dalmati, parlavano italiano, pensavano di essersela cavata, invece furono fucilati tutti come traditori alle Noghere, in un luogo, aggiungo io, dove c’erano state paludi, poi saline, vie di pellegrini, un aeroporto, un campo profughi per gli istriani dei Monti di Muggia che erano stati beffati all’ultimo secondo da una modifica (l’“Operazione Giardinaggio”) del Memorandum di Londra del 1954 e infine, oggi, un biotopo minacciato da una zona industriale. Quarantotti Gambini afferma nell’incipit del suo volume che «gli italiani, come troppe altre volte, scambiano per storico l’effimero. Gli italiani ammazzano Claretta, e non si accorgono che l’ala della storia batte sulle Alpi Giulie».

Il prima e il dopo lo trovate tra le pagine di Trieste selvatica, Editori Laterza.

Alle parole di Nacci aggiungo quelle scritte da Robert D. Kaplan in Adriatico. Un incontro di civiltà, Marsilio 2022:

La risiera di San Sabba si trova a una ventina di minuti dal centro: un memoriale eretto sul sito di un piccolo, infernale satellite del sistema di sterminio nazista. Un luogo tristemente famoso perché ospita ancora l’unico forno crematorio presente in Italia, dove migliaia di italiani, sloveni e croati furono uccisi e bruciati, e migliaia di ebrei furono confinati in celle luride e minuscole in attesa di essere deportati nei campi di sterminio della Polonia occupata dai tedeschi, o altrove. L’Adriatico nord-orientale e la zona all’ombra delle Alpi - formata da Trieste, Gorizia, Lubiana, Pola e Rijeka - costituivano una geografia dell’Olocausto a sé, sotto il diretto controllo tedesco, al contrario dell’Italia vera e propria, dove i nazisti operavano in accordo con il governo fascista di Mussolini. La conversione di questo ex impianto per la pilatura del riso ed ex campo di sterminio in monumento nazionale è di grande effetto: si avverte subito un senso di oppressione nel dover percorrere il passaggio lungo e stretto che, sfilando tra alte pareti di cemento, sfocia in un cortile delimitato da altre pareti che paiono estendersi all’infinito, dove gli spuntoni di una scultura in acciaio e la pavimentazione di metallo disegnano il profilo dell’area del forno crematorio. Nessuna decorazione, nessun simbolismo manifesto: solo dure pareti spoglie impossibili da scalare, che evocano il totale annientamento.
Ripenso alle parole di Hannah Arendt su Auschwitz e sugli altri campi di concentramento contenute nelle Origini del totalitarismo. L’autrice aveva intuito che i nazisti riuscivano a giustificare a se stessi la propria ideologia solo creando luoghi del genere. Auschwitz, e tutto quello che vi accadeva, era la fucina del nazionalsocialismo: è questo che lo rendeva reale, e da fatti del genere l’Europa centrale non si riprenderà mai.

LE FOTOGRAFIE DI
GIANCARLO MAURI
20 marzo 2023