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mercoledì 21 maggio 2014

Il Parlaschino ritrovato


Sono finalmente riuscito a rendere omaggio alla tomba dell’abate Paolo Emilio Busi, importante figura di poeta e letterato nato nel 1571 in seno ad una famiglia di Parlasco e per questo detta “i Parlaschini”. Di lui scrive Giuseppe Arrigoni nel fascicolo III dei suoi Documenti inediti riguardanti la storia della Valsássina ecc., s.d. ma 1857:

«Nacque povero, visse da prodigo guadagnando molto e consumando tutto, da vero letterato, morì miserabile.
[NOTA: Da un istromento di vendita in data 16 giugno 1586 rogato Prospero Grattarola di Margno esistente nell’archivio parochiale di Taceno si ricava che essendo morto senza testare Bartolommeo Barlaschino De Busi, e successi nella eredità Battista ed Angelica suoi figli, non che Paolo Emilio e Rosa figli del premorto altro suo figlio Francesco, relicto satis ideneo patrimonio tamen relictis tot debitis qui assorbent fere vires patrimonii, né avendo la madre di Paolo Emilio (passata a seconde nozze) mezzi per continuare la educazione del figlio avviato al sacerdozio, questi ricorse al Senato per impetrare il permesso di alienare la propria sostanza, e che in fatti la vendette al nob. Gio. Piero Barroverio di Perlasco per la somma d’imp. lire 1050 depurata delle passività. In una lettera che, vecchio, scriveva ad un amico egli stesso dice: «Io sono ingombrato dalla mia solita malinconia, e perché puochi mi veggono uscir di casa, stimano, ch’io procuri di nascosto dalla inesorabil Atropos, comodità di varcar sopra le sue spalle l’horribile et oblivioso Lethe, che mi vieta il stizzoso Caronte, perché di tanti scudi e doppie da me guadagnate con stupor di chi mi ha conosciuto, hora non ho un quattrino, con che potessi, dopo traghettato, pagar a lui, come conviene il nolo della barca». Ed altrove dice: “Già dei viventi una felice morte / M’avrebbe sciolto, se non mi premesse / De’ creditori miei la trista sorte.”]
Fu maestro di grammatica prima a Bellano, poi ad Asso, ed indi professore di belle lettere e rettore del Collegio Calchi-Traegio a Milano. Bersagliato per tutta la vita dall’invidia e dalle disgrazie, ritornò nel 1651 a Bellano a “terminare gli anni dell’infiacchita vecchiezza”, com’egli si esprime in una lettera di congratulazione in data 18 agosto del 1652 a Martino Denti di Bellano per la costui elezione al vescovado di Stróngoli. Ed in fatti ivi spirò nella grave età d’anni 82 il giorno 15 gennajo del 1653, ed il dì 11 giugno successivo venne il suo cadavere trasportato nel sepolcro che egli stesso nella chiesa della Natività di Getana si era preparato nel timore di essere còlto dalla terribile e celebre peste del 1630, di cui furono vittime gli amici suoi Gussalli e Boldoni e che egli aveva schivato ritirandosi a Gorgonzola in casa di un suo parente. Sulla pietra sepolcrale ancor si legge l’iscrizione che aveva fatto scolpire così concepita: DONEC TUBA / PAULUS AEMILUS PARLASCHINUS / FREQUENTISSIMA ULTIMI TERRIBILIUM / COGITATIONE COMMOTUS IN HOC / DELUBRO UBI CASIBUS ADVERSIS / PRÆSENTEM DIVINI NUMINIS / CLEMENTIAM EST EXPERTUS HUNC / TUMULUM SIBI PONENDUM CURAVIT / ANNO REPARATIONIS HUMANÆ / MDCXXX ETATIS SUÆ LX / QUIESCAM. Dopo due secoli dacchè vi fu deposto ne feci levare il coperchio e con un lume spinsi lo sguardo nel bujo sepolcro ed esclamai : Che ci rimane del Parlaschino? del corpo poca terra, dello ingegno ancora i frutti.»

Aggiungo: benché nato povero, Paolo Emilio riuscì a completare i suoi studi a Parigi. Della sua opera, oltre ad una Breve Descrizione della Valle Sássina mi piace ricordare il Transitus Corinnae Paulli Aemylii Parlaschini Academici Parthenij ad Io. Baptistam Pinium Datiensem …, Mediolani : Apud Malatestas Regios Impressores, 1608, nonché il compendio e la traduzione dei Progymnasmatum latinitatis sive Dialogorum del gesuita Spanmüller (Giacomo Pontano), originariamente scritti per un pubblico tedesco e pubblicati in Italia col titolo Brieue scelta de ciuili costumi estratti dal secondo volume de Dialogi latini del p. Giacomo Pontano della Compagnia di Giesù. Utilissimo à tutti, e principalmente a chi dappò il compimento di ogni buona creanza desidera intendere, come si habbin da regolare i propri sentimenti. Nouamente a beneficio commune tradotti da Paolo Emilio Parlaschino. In Milano : appresso Gio. Battista Bidelli, 1621 -, opera, questa, da accostare alla traduzione in volgare del notissimo Galathaei lectissima de moribus praecepta in studiosae civilisque juventutis di Giovanni Della Casa, anch’essa portata a buon fine dal Parlaschino e pubblicata nel 1624 per i tipi di Laer. Jo. Bapt. Columnae. Queste due traduzioni dimostrano una sensibilità del nostro uomo verso un modello di vita entrato nell’immaginario collettivo come “galateo”.

In passato, “da lui” sono stato più volte, trovando la chiesetta sempre chiusa. Un bel giorno una signora del posto m’informa che la domenica mattina un sacerdote viene a celebrare la messa nella vicina chiesa, e che di solito lui porta con sé le chiavi.
Le credo ed eccomi di nuovo a Gittana, con l’agognata porta finalmente aperta. Dentro, il soffitto è tutto solcato da pericolose fenditure e il pavimento è utilizzato come deposito per ogni cosa possibile. Della tomba nessuna traccia, ma l’esperienza insegna e allora con calma e con l’aiuto di mia moglie comincio a spostare tutto lo spostabile, riempiendo l’aria di polvere decennale. Al centro del pavimento rimane un lungo e pesante tavolo. Spostato anche questo, l’ultimo ostacolo è rappresentato da una tavola di legno e sotto ... ecco la lapide tombale di Paolo Busi, rotta in più pezzi. Ho scattato alcune foto, poi ho rimesso ogni cosa al suo posto.

Ora non pretendo che tutti sappiano del Parlaschino, ma qui, tra il « Beatus Pater Larius » (parole del poeta) e la Valsassina non è che ci sia stata un’invasione di menti sopraffine tali da giustificare questo abbandono. Ovunque in Europa, una chiesetta d’origine longobarda che raccoglie i resti di un poeta che aveva goduto di un certo prestigio non è merce da buttare, come ho visto fare qui, ennesimo esempio che conferma quel che penso da sempre: questo Paese non uscirà mai dalla sua profonda crisi morale, molto più pericolosa di quella economica. Perché i soldi vanno e vengono, ma la l’ignoranza volutamente seminata rimane - e prolifica più della gramigna.



LE FOTOGRAFIE DI
GIANCARLO MAURI
scatti del 25 marzo 2016