Tre dicembre 1974. Daniella ed io siamo di fronte all’agognata meta: il complesso
monastico di San Pietro al monte e il vicino sacello di San Benedetto, da noi mai visitato prima d’ora.
Neanche il tempo di togliersi lo zaino ed ecco che arrivano altri
tre visitatori. Ne sono felice: a quel tempo cinque mila lire - il grimaldello che apriva queste porte - era una bella
cifra e poterla condividere era manna colata dal cielo. Sì, perché in quegli anni il complesso era chiuso e
in stato di semi sfacelo. Per entrarvi si doveva telefonare al custode - tale Canali, un contadino residente ai piedi del monte -,
fissare l’appuntamento, pagare e salire accompagnati.
Avanzo la proposta ad uno di loro e ascolto risposte evasive …e qui un dubbio mi assale: questi di certo non sono saliti per caso, bensì sono stati avvisati che oggi le porte erano aperte… Accantono la richiesta e saliamo la semidistrutta
scalinata d’accesso a San Pietro. Dentro, io e Daniella dedichiamo il giusto
tempo per ammirare gli affreschi - poi staccati - e la cripta. Nel frattempo i
nostri tre compari di merenda, aperti i treppiedi e montate le reflex,
scattano fotografie.
Ai piedi della scalinata vi è San Benedetto, col suo portale
recante l’ormai volutamente
ignorato simbolo dello scisma tricapitolino e il suo altare affrescato
- che Fabio Scirea così racconta a pag. 77 del suo libro Pittura ornamentale del medioevo lombardo edito nel 2012 da Jaca
Book.
Civate, San Benedetto, già San Giovanni Battista del Sepolcro. Il
triconco posto ai piedi di San Piero al monte potrebbe costituire una copia del
martyrium paleocristiano di San
Giovanni Battista a Gerusalemme, con funzioni di pellegrinaggio (per la
probabile presenza di reliquie di san Giovanni) e di cappella cimiteriale dei
laici benefattori. Ciò si accorda con l’ipotesi di due percorsi liturgici
incrociati: l’uno dei monaci, provenienti dal portale sud di San Pietro e
diretti attraverso il portale sud dello scomparso banco dell’emiciclo nord;
l’altro dei laici, provenienti dal portale nord di San Pietro e diretti
attraverso il portale ovest all’altare. Insolitamente alto per celebrare (cm
113, per 93 di larghezza), l’altare poteva più che altro fungere da reliquiario
e da sepulchrum pasquale, oggetto
della depositio della croce il
Venerdì santo, dell’elevatio la notte
di Pasqua e della visitatio il
mattino seguente. In bune condizioni è il decoro dipinto dell’altare: sul
fianco sud una Cornice a bande
rosso/gialle con filo di perle inquadra san Benedetto su Drappo bianco con bordure di croci gradonate;
il sant’Andrea del fianco nord differisce per l’omogeneo fondo bianco; la deesis del fronte ovest si fregia del
fondo blu e di una Cornice a losanghe
quadrifogliate alternate a croci. Datazione plausibile è l’inizio del
secolo XII, in parallelo al decoro di S. Pietro.
Ovviamente, negli anni Settanta tutti questi studi erano
ancora nel limbo degli dei e noi ci si arrangiava leggendo col poco che si
trovava in libreria. Poi gli anni sono passati, tante esperienze sono state
vissute e …di San Pietro al monte e di San Benedetto - ma non solo - oggi ho
idee mie, che sempre rifiutano ogni ipotesi storicistica formulata su basi
dubitative: potrebbe, forse, si dice, si ipotizza. Con questi termini non si scrive la Storia, ma le storielle.
Aggiungo: il nome San Pietro al monte mi riporta ad un’altra chiesa da me cercata sui monti a sud di Ponferrada (Léon, Spagna): il suo nome è San Pedro de Montes, già sede di un monastero benedettino fervente nei secoli X e XI. Oggi il minuscolo omonimo villaggio è abitato da poche persone (erano 5 una decina d’anni fa), la chiesa e il monastero soffocati dalla vegetazione. Per chi vuole saperne di più rinvio al libro di Benjamín Martínez Fuertes: Montes y Peñalba. Ensayo histórico-artístico, Peñalba Impresíon, 2004.
Aggiungo: il nome San Pietro al monte mi riporta ad un’altra chiesa da me cercata sui monti a sud di Ponferrada (Léon, Spagna): il suo nome è San Pedro de Montes, già sede di un monastero benedettino fervente nei secoli X e XI. Oggi il minuscolo omonimo villaggio è abitato da poche persone (erano 5 una decina d’anni fa), la chiesa e il monastero soffocati dalla vegetazione. Per chi vuole saperne di più rinvio al libro di Benjamín Martínez Fuertes: Montes y Peñalba. Ensayo histórico-artístico, Peñalba Impresíon, 2004.
Ritorno al 1974. Finita la visita, sul campo siamo in tre: io, Daniella e il custode. Gli altri compari sono scesi a valle senza neppure un saluto, un grazie. Me ne faccio
una ragione: metto mano al portafogli e un verdone cambia tasca.
Poi …la vita è fantastica.
Esattamente (o quasi) due anni dopo - il 4 dicembre 1976 - sono nell’ufficio
dell’editore Paolo Cattaneo di Oggiono. Alcuni mesi prima (luglio) i fratelli Tamari Editori in Bologna
avevano messo in vendita il mio primo libro - Escursioni nelle Grigne - che riscuoteva un discreto successo. A Cattaneo volevo proporre un libro su arte storia e cultura in
Valsassina, un genere di pubblicazione che in quegli anni andava di moda. Parlando del
più e del meno, Cattaneo mette sul tavolo un volume fresco di stampa dal titolo Brianza immagini arricchito
nel colophon da tre sottotitoli: documento
fotografico di vita brianzola - immagini
recuperate dal mondo intatto della memoria - impressioni e appunti su paesaggio, arte, umanità, artigianato,
tradizioni. A seguire i nomi dei quattro autori di testi e fotografie e del
presentatore.
Lo apro, guardo
alcune fotografie finché il puro caso mi porta alle pagine 238 e 239 dove …chi
ti vedo? Ma il profilo dell’uomo nella foto in alto a destra è il mio, ripreso
a mia insaputa davanti a San Benedetto quel fatidico 3 dicembre 1974. E così da
allora conosco il nome e il cognome di chi aveva fatto orecchie da mercante di
fronte alla richiesta di condividere la spesa. Signori si nasce.
Da quella prima
volta sono passati quasi 42 anni, ma non ho mai smesso di salire a San Pietro,
vuoi per la bellezza del luogo, vuoi per la facile salita - purché si eviti la
scivolosissima scalinata: sentieri alternativi non mancano, basta informarsi.
Ieri, 5 ottobre, ero ancora sul posto: il cielo azzurro, il sole caldo, le
strutture chiesistiche aperte - e questo grazie ad un gruppo di bravi volontari.
Per me è stata la nuova occasione per varcare per la …centesima volta le
porte di San Pietro e di San Benedetto e scattare nuove immagini, che allego
qui sotto, precedute da un raro documento, una vera chicca bibliografica: la
lettera in cui il padre Giuseppe Allegranza racconta della sua ascensione a San
Pietro al monte …256 anni fa.
Per la storia dell’abbazia di civate
Appendice
Descrizione di una chiesa antica
Sul monte di civate e del sepolcro
Del b. Alberto in pontida
(Del P. Giuseppe Allegranza: dal ms. nella Braidense, segn. AF. IX,
76)
Al Sig. Don Giuseppe Pecis in Milano.
Galbiate,
2 luglio 1760.
Ho fatto ieri
mattina per antiquaria curiosità un viaggio, che potrà, se non altro, servire a
lei di ricordare la mia servitù a cotesto gentilissimo Mons. Borromeo, e dirgli
alcuna cosa della sua Chiesa Abbaziale di Clavato detto Clivate, ed ora
comunemente Civate. Giunto dopo due miglia, ora discendendo, ora ascendendo,
alla terra di questo nome, due altre miglia seguentemente a piedi ho fatto
salendo sempre per l’erto Monte, chiamato anticamente Pedale, sino colà dove in un piano declive trovai la Chiesa
dedicata a SS. Pietro e Paolo, detta comunemente S. Pietro, la quale è oblunga
e finisce in semicircolo ossia coll’Abside. In questa, ch’era il Presbiterio,
evvi l’altare, il quale ha d’intorno in quadratura quattro rozze colonne,
simile appunto a quello che conservasi in cotesta basilica di S. Ambrogio. Nei
quattro capitelli delle Colonne veggonsi a rilievo i simboli degli Evangelisti,
e in mezzo al campo delle quattro pietre, agli architravi imposte, vi è a
Ponente il Salvatore col nimbo gemmato, che seduto sopra uno sgabello con
cuscino, ed avendo sulle spalle rivolto a sinistra il pallio, porge colla
destra un libro a S. Paolo, e colla manca due chiavi a S. Pietro, i quali
amendue col nimbo, ma non gemmato, piegano con riverenza il capo ed il
ginocchio, l’uno il sinistro e l’altro il destro in atto di ricevere le dette
cose divotamente. A Levante è scolpito Cristo in Croce con i quattro chiodi, e
col soppedaneo. Nel suo nimbo a destra si vede un L, sopra il capo V, a
sinistra X, cioè Lux, e nel cartello superiore IHS NAZAR dintorno alla sua
testa il sole e la luna a corruccio, e sotto a destra Maria Vergine che sta, e
S. Giovanni a sinistra che piange, e nell’apice del sasso triangolare la Colomba,
o altro animale cui manca la testa ed il collo. In questo lato dell’Altare
detto Tribuna, che guarda il popolo e la Porta, l’altare mostra la sua schiena,
avendo un armadio con due grate di ferro chiuse, dentro il quale serbansi due
chiavi che si dicon quelle della prigione di S. Pietro, ed hanno molta
venerazione, usandosi in ispecie a benedire coloro che morsicati dai cani
fiducialmente vi concorrono. A Mezzogiorno stanno due Angioli in atto di
sostenere uno scudo, in cui siede, come sopra, il Salvatore tenente colla
sinistra un volume sulle ginocchia, ed in atto colla destra di benedire colle
tre prime dita. A Tramontana ci ha l’angiolo al sepolcro che annuncia alle
donne esser Cristo risorto, la prima delle quali tiene nella destra il vaso
degli unguenti. Dormono presso l’oblungo aperto Cenotafio due soldati con lo
scudo al petto e coll’usbergo in testa allacciato sotto il mento, ed il laccio
è fatto a guisa di maglia. Dentro il sepolcro appare la Sindone ossia lenzuolo
che involgeva il corpo di Cristo.
Da questa parte
sta una porticella, donde si va fuori in giro dietro il Presbiterio a quattro o
cinque stanze disabitate, e quindi alla Torre delle Campane, due anni sono dirocata. Presso questa
Portina si discende dentro la Chiesa per una scaletta alla Confessione, di tre
archi per ogni diametro formata, e sostenuta in mezzo da quattro colonne simili
a quelle della Tribuna. Sopra l’altare vi è a basso rilevo Cristo in Croce, S.
Giovanni, e M. V., come sopra e sotto stanno due figurine secolari mezzo nude e
guaste: superiormente quasi in altra tavola, è scolpita a destra una porta, e
su d’essa Gerosolima, e sotto sei Apostoli piangenti; a sinistra tre Angioli
col Salvadore, il quale sta in atto di benedire col secondo e terzo diti
spiegati, la SS. Vergine moribonda, o morta, giacente in una cuna o picciola
lettiera, l’anima di lei in figura umana portano involta coi panni due Angioli al
Cielo. Nell’Emiciclo a destra avvi la Presentazione, e nel sinistro una
finestra con sopra alcuni versi, de’ quali se ne ha per tutto ove sia scoltura
o pittura, in molti luoghi e qui e sopra imbiancata.
Corrisponde a
quest’inferiore la fabbrica superiore. Vi sono tre archi per il mezzo dei quali
si esce, come diremo, di Chiesa. Sopra di essi è dipinta in un grande semicircolo
la profetica visione di S. Giovanni nell’Apocalisse capo 12, cioè la donna che
ha partorito il Serpente settiforme, cui vorrebbe il Figlio divorare, S.
Michele e gli Angioli seguaci suoi tutti nimbati, i quali colle aste il
combattono, e in cima all’arco l’Agnello di rilievo col suo nimbo. Infinite
sono le cose che il basso popolo ha dette, e dice del Re Desiderio e di suo
Figlio, ignorantemente fondate sopra questa pittura.[1] Sotto le piccole volte di
questi archi molte cose si osservano da altra posterior mano dipinte. E
cominciando dalle laterali, stanno alla destra uscendo quattro Angioli suonanti
la tromba e sotto ad uno Ecclesie varios
conflictus atque labores; sotto a un altro Hostes antiquos sceleris cunctique ministros, sotto a un altro Moderamina regis, sotto al quarto Spiritus ecce… A sinistra i quattro
simboli degli Evangelisti, e sotto a ciascuno Marcus Evg, e così gli altri. Nella volta di mezzo quattro giovani,
ognuno de’ quali versa una fiala d’acqua, e sotto i quattro noti fiumi Tigris, Eufrates, etc. In mezzo di
questa volta il monogramma di Cristo secondo il costume della Chiesa Milanese,
che altrove spiegai, cioè con otto raggi, l’Alfa e l’Omega. Nella volta
seguente, che rappresenta un Monte, siede in mezzo al Salvadore col nimbo gemmato,
ed ha un bastone o canna nella destra e libro aperto nella sinistra, in cui si
legge: Qui sitit veniat, sopra i
piedi un Agnello; sotto acqua che scorre intorno due piante; in giro quadrato
dodici porte con i noti nomi delle loro pietre, e in ogni porta una testa con
sotto due lettere appuntate, e nei quattro angoli una come torre, fortitudo, prudentia, etc. Tutte le
quali cose Ella sa essere state tolte dal Cap. 21 e 22 dell’Apocalisse di S.
Giovanni. Qui s’esce di Chiesa, e sopra la porta mirasi di nuovo il Salvadore
dipinto in atto di consegnar le chiavi a S. Pietro e il libro a S. Paolo, e
fralle altre cose vi si leggono sotto due versi dai quali appare essere questa
Chiesa all’uno e all’altro dedicata.
Dalla porta rettamente
si scende per XXXVI gradi all’Oratorio ossia Chiesa di S. Benedetto, la quale
forma un quadrato avente in tre lati un emiciclo. Ha due porte, l’una a
mezzogiorno, l’altra a ponente ch’è di fronte alla detta scalinata, ed in
faccia a questa porta un Altare, dipinto sotto la mensa coll’imagine del Salvadore
in mezzo, di S. Benedetto in fianco etc. Questa Chiesa (ch’era serrata a
chiave, nè veder dentro la potei che da una finestra) è stata, come l’altra,
tutta imbiancata. Ma le sue ora dette pitture, ed i caratteri ad esse intorno
sono simili a tutto ciò ch’osservai in S. Pietro cui eravi da questa chiesa un
accesso sotto la mentovata scala (come appare dalla fabbrica esteriore, che in
parte vi rimane d’intorno) al piano della detta Confessione e quindi alle sopra
riferite stanze. Perocchè io argomento, I. che pochissimi monaci da antico vi
risedessero, essendo il monte da quella parte di Tramontana scosceso, e non
apparendo altrove intorno alcun vestigio di fabbriche; e questi monaci soggetti
fossero all’Abbate di S. Calocero in Clivate. II. che pel detto sotterraneo
passassero ad uffiziare nella Confessione. III. che tutte le pitture e bassi
rilevi da me fin’ora descritti siano stati fatti in un sol tempo, nè siano
anteriori al IX secolo, solo eziandio a ciò provare bastando la detta
Assunzione di M. V. in Cielo. IV. che i Monaci ristorassero (se più antica) la
fabbrica di S. Pietro, come si potrebbe ricavare da alcuni pezzi di marmo
pulito e bianco, sparsi qua e colà nel pavimento della Chiesa, e dalla
Iscrizione già dentro essa sul muro dipinta, in cui leggevasi, come n’è ivi
registrata, averla fabbricata il Re Desiderio alli 10 Maggio l’anno 706, (che
vorrà dire 756 anno primo del suo regno) la qual cosa però sembrami da se sola
molto insussistente.
Al certo è per
alcune Memorie tratte dall’Archivio del suo Monastero in Civate dal P.
Procuratore di Lemene Monaco Olivetano, e da lui stesso gentilmente
comunicatemi, che l’ultimo Abbate Benedettino di S. Pietro fu un certo P. del
Maino, cui sottentrò il Cardinale Ascanio Sforza primo Commendatario, indi il
Cardinale Antonio Trivulzio, e poi suo nipote Filippo. A questi succedette l’Eminentissimo
Nicolò Sfondrati vescovo di Cremona, che fatto papa nel 1590, sotto nome di
Gregorio XIV, ne trasferì la Commenda in Camillo suo nipote Cardinale di S.
Cecilia; dopo il quale ebbela il Cardinale Scipione Borghese, quindi Monsig.
Pirovano, che la fece passare all’Abbate Francesco suo Nipote, e finalmente il
Cardinale Flavio Ghigi, il Cardinale Odescalchi, il Cardinale Milini, il
Cardinale Archinti, e codesto Mons. Borromeo. Li PP. Olivetani, che nell’ultimo
anno di Pio IV ottennero il Monastero di Civate e in conseguenza la superior
Chiesa detta di S. Pietro in Monte, rilasciarono alla Commenda nel 1594 alcuni beni
di essa Chiesa, cessando così dalla Officiatura e riparazioni della medesima,
come da istromento rogato li 27 Agosto. Gio. Battista Tessera e il Cardinale
allora commendatario Camillo Sfondrati vi mandò alcuni frati detti Romiti
aventi una veste scura, ai quali dopo quattro anni vennero sostituiti quattro
Preti secolari. Ma dopo alcun tempo pregati i PP. Olivetani a riassumerne il
peso, questi sotto varie condizioni lo ripresero con Istromento 1 luglio 1633
rogato Cristoforo Daverio, e continuane anche in oggi a salirvi da Civate per
celebrare in quel luogo la S. Messa.
Mi dimenticavo
di dire che i capitelli e bassi rilevi della Confessione sono tutti di certo
stucco fatti, e si assomigliano così nelle foglie come negli altri ornamenti ai
bassi e rozzi lavori della Tribuna superiore, i quali però in essa sono, da i
capitelli, anzi da i simboli Evangelici in su, di pietra tenera. Le colonna poi
e i capitelli ho scoperto essere rozze pietre sì di sopra nella Chiese, come
abbasso nella Confessione, di stucco vestite. Di stucco pure sono certe figure
grottesche di animali, vasi e rami esistenti nel parapetto in Chiesa della
scala che va alla ridetta Confessione, e così di stucco un altro Grifone a
destra ed un Leone a sinistra colla coda di Serpente avente un Capro che a metà
gli sorge dalla schiena, i quali due mostri sotto l’arco di mezzo guardano l’ingresso
della Porta. Fra la della scaletta, e l’arco laterale, a destra entrando, vi è
dipinta sul muro l’immagine di S. Pietro sedente in abito Pontificale colle
chiavi in mano, e col triregno in testa. Ma questa pittura che non può esser
prima del 1362, è certamente alle altre posteriore. Ho osservato pure che il
nimbo, fra quanti ne hanno ed Angioli e Santi, nissuno è gemmato fuorché quello
del Salvadore.
Delle Reliquie
e Indulgenze della Chiesa di S. Pietro io non farò parola, non avendo di ciò
fatta alcuna ricerca, che può farsi quando si voglia senza andare colà tant’alto.
Ho ben inteso che alcune, trovate ultimamente nella Torre caduta, furon poi
nella nuova riposte. Ma io non voglio accrescere il tedio a lei e la fatica a me
con dilungarmi in quelle considerazioni, che sopra molte cose qui notate, mi
riservo a seco conferire nella settimana ventura. Sono etc.
[1] «Non negherò assolutamente che il
Re Desiderio abbia eretta e dotata la Chiesa di S. Pietro. Forse l’avrà fatto,
ma non appaiono finora monumenti per crederlo. Potrebbe chiunque altro avere
ciò seguito; come appunto in questa Diocesi ad onore di S. Zenone lo eseguirono
alle sponde del Lago di Lugano, anche prima di Desiderio i Maggiori di
Magnerada sulla terra di Campiglione. Si vedano le due carte Longobarde, che vi
appartengono, presso il Marchese Maffei nella I. Parte della sua Verona Illustrata, che anche il
Biancolini ricopiandole nelle Chiese di
Verona Lib. II. pag. 473-74, s’immaginò convenire alla Chiesa de’ SS.
Stefano e Zenone di Malsesine sul Lago di Garda, il che poi ha corretto nel Lib. 4 pag. 803» (Nota del P. Allegranza).
LE FOTOGRAFIE DI
GIANCARLO MAURI
La salita
San Pietro al monte