Via
posta elettronica, Michel Paoli (o chi per lui) m’informa che martedì 26
gennaio 2016, alle ore 18, all’Università di Liegi terrà una conferenza sul tema
“Possiamo conservare il concetto di
Medioevo se sopprimiamo il concetto di Rinascenza?”. Un’argomentazione debole,
a mio avviso, e vado a raccontare il perché partendo da una puntata dell’ormai
defunto programma Le storie - targato
RAI3 e condotto da Corrado Augias - dove Philippe Daverio, l’ospite del giorno,
così discetta sul tema rinascenza e rinascimento:
Domanda:
“Io volevo chiedere - sono Claudia -
volevo chiedere qual è la differenza fondamentale tra il Rinascimento e
l’Ottocento …l’arte dell’Ottocento?”
Precisa Augias: “Perché
lei dice: anche il Rinascimento a suo modo fu una rivoluzione. È così?”
Daverio:
“No. Il Risorgimento esiste, il
Rinascimento non esiste. Il Rinascimento è una categoria che abbiamo inventato
nell’Ottocento per giudicare il Quattrocento e il Cinquecento, ma la gente del
Rinascimento non sapeva che faceva rinascimento. Faceva un’altra cosa. Leon
Battista Alberti quando ripristinava gli acquedotti di Roma parlava di
risorgenza delle acque. Chi si occupava di letteratura andava a riscoprire il
valore di Cicerone. Chi si occupava di pittura non capiva nulla perché non
c’erano i quadri dell’antichità da guardare, quindi leggeva Plinio e si
reinventava Plinio. Poi nell’Ottocento noi abbiamo inventato questa parola
bizzarra che non era affatto Rinascimento ma che è Renaissance, che appare per
la prima volta in un libro di Balzac del ’29. Sempre in quel periodo lì, e che
riprende dopo - l’ho ritrovato recentemente - quella rompiscatole terribile che
è George Sand nella Mare au diable del ’31. Quindi in quei due anni la Francia
inventa la parola renaissance.”
Per
chi è interessato ad ascoltare l’intera puntata, questo è il link:
Ottimo
e abbondante. È ovvio che chi viveva nel Quattrocento o nel Cinquecento non
poteva essere a conoscenza di questa etichettatura postuma. La cosa è talmente
banale …che una precisazione è sempre necessaria, vista l’orrida scolastica mondiale
- e non me ne vogliano i docenti, che della disinformazione ad hoc sono le prime e non sempre
inconsapevoli vittime: si è stati formati da una scuola impostata sulla bugia
come verità assoluta e altro non si può fare che propagare a mo’ di catena di
sant’Antonio quello che ci è stato imposto dai padroni del vapore.
Veniamo
al dunque: perché l’argomentazione di Paoli è debole. Come racconta Daverio, fino al 1829 nessuno aveva mai utilizzato il termine rinascenza per definire un determinato
periodo storico. Certo, altri avevano usato questa parola, ma solo per definire
casi specifici, ristretti, fini a sé stessi. Il Vasari, giusto per fare un
esempio, usa il termine rinascita per
rimarcare uno stile artistico opposto alla “buona maniera greca antica”. In Francia, nel 1533, il naturalista Pierre Belon scrive dell’eureuse & desirable renaisance di toutes especes de bonnes disciplines. Niente a che vedere col
Rinascimento inteso come epoca storica, dunque.
Continuo.
La prima volta che il termine Rinascenza - e poi Rinascimento
- viene utilizzato per designare un concetto culturale indipendente, legato con
la modernità, è stato nel 1829, quando Balzac, ne Le Bal de Sceaux, per caratterizzare la conversazione della giovane
figlia del conte de Fontaine scrive: “Elle
raisonnait facilement sur la peinture italienne ou flamande, sur le Moyen Âge ou
la Renaissance, jugeait à tort et à travers les livres anciens ou nouveaux, et
faisait ressortir avec une cruelle grâce d’esprit les défauts d’un ouvrage.”
Due anni dopo, 1831, George Sand riprende da Balzac il
termine Rinascenza - mi ripeto: per
la prima volta inteso come periodo storico - inserendolo nella sua opera La Mare au diable (La Palude del diavolo): “Un enfant de six à sept ans, beau comme un ange, et les épaules
convertes, sur sa blouse, d’une peau d’agneau qui le faisait ressembler au
petit saint Jean-Baptiste des peintres de la Renaissance,» etc. etc. (con seconda, rafforzativa, citazione molte pagine dopo; vedi immagini) - e
tanto basta perché due secoli di storia italiana siano per sempre (?)
etichettati Rinascimento.
In verità, di
che e di che cosa siamo rinati è ancora tutto da spiegare, a meno
che non si accetti per buona la bestialità storica e intellettuale del Medioevo come periodo buio, nozione tanto cara alle
gerarchie indaffarate a nascondere sotto il tappeto gli orrori delle
torture e dei roghi da loro accesi. Per documentarsi i buoni libri non mancano,
soprattutto quelli scritti da buoni e bravi docenti embedded, con tanto di tabelline esplicanti il numero dei vivi bruciati sui roghi, coi giorni di prigionia e i giorni di tortura patiti, salvo poi concludere che erano loro stessi la causa della propria morte: rifiutando di abiurare
l’errore commesso inevitabilmente dimostravano una precisa volontà suicida... Tutto questo e altro ancora si legge nei preziosi Cahiers de Fanjeaux, saggi di cui facevo incetta ogni volta che passavo da Minerve, importante centro enologico della Francia, il cui nome rimanda al massacro degli eretici Catari.
La colomba di Minerve, Francia |
Trent’anni
dopo (1860) i libri di Balzac e George Sand a Basilea esce Die
Cultur der Renaissance in Italien; ein Versuch’von I. Burckhardt, un saggio subito recensito
sull’Archivio Storico Italiano da Giuseppe
Dalla Vedova: il concetto di Rinascimento
come periodo storico tra il Medioevo e l’Era dei Lumi - nato dalla fantasia di
Balzac e riproposto dalla Sand - ha avuto fortuna, imponendosi nel linguaggio
dei dotti e da questi imposto urbi et
orbi, acritiche scuole incluse.
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