A Milano l’11 luglio 1979 veniva ucciso Giorgio Ambrosoli, avvocato, liquidatore per conto dello Stato italiano della Banca Privata di Michele Sindona.
Su di lui si è scritto tanto ma, soprattutto oggi, sono dell’avviso che uno solo è il libro che merita di essere letto o riletto: Un
eroe borghese, di Corrado Stajano.
Volendo andare
oltre, esiste anche un pluri-premiato film diretto da Michele Placido ed uscito
nelle sale nel 1995 con l’identico titolo.
Oggi il Corriere della Sera web ricorda il
delitto Ambrosoli con un breve filmato, reperibile a questo indirizzo:
Il popolo ama
dimenticare i “non eroi” che giorno dopo giorno ci
ricordano che siamo esseri umani, non pecore.
Per età rammento gli umori del tempo, dove i sinistri denigravano l’avvocato Ambrosoli
definendolo “un uomo di destra” e i giornali tanto amati dai benpensanti esentasse
dire, neppure tanto velatamente: “beh, però se l’è andata a cercare…”.
Già, se l’è andata a
cercare: capito mi hai?
Oggi, 11 luglio, voglio ricordare Giorgio Ambrosoli proponendo un mio scatto della lapide
murata al numero 1 di via Morozzo della Rocca, a cui aggiungo le prime pagine del citato libro
di Stajano, invitandovi a rileggerlo per intero, così, giusto per non
dimenticare Giorgio Ambrosoli, un avvocato milanese.
Corrado Stajano
Un
eroe borghese
Einaudi, Gli struzzi
411, 1991
pp. 3-8
Sembra
una qualsiasi sera d’estate in una città semivuota. Fa un caldo piatto e umido,
a Milano, l’11 luglio 1979, quando sei uomini soli decidono di andare a mangiare
in una trattoria di via Terraggio, «Ai 3 fratelli», tra il bar Magenta, il
cinema Orchidea e la basilica di Sant’Ambrogio. È un ristorante toscano, coi
lampadari di ferro battuto, le travi di legno allo scoperto, un archetto di
cotto sopra le porte a ripetere un improbabile rustico. E appese alle pareti,
collane di salsicce, pentole, campanacci.
L’appuntamento
risulta dall’agendina tascabile dell’avvocato Giorgio Ambrosoli: 8,25 Zileri;
8,30 Rosica. Come ragazzi passano sotto casa a chiamarsi l’un l’altro. Sono
amici dai primi anni ’70, i tempi dei Decreti delegati. I figli frequentavano l’asilo
e la scuola elementare di via Ruffini, i genitori si conobbero durante le
discussioni serali nella palestra. Vicini di casa, dello stesso ceto sociale,
professionisti, industriali, dirigenti di azienda, le idee consonanti della
Milano moderata, cominciarono a vedersi anche fuori della scuola.
La
moglie di Ambrosoli è a Monte Marcello con i bambini, la famiglia Rosica è in Irlanda,
gli Zileri sono a Forte dei Marmi. Sarebbe davvero una cena senza storia,
quella di Giorgio Ambrosoli, Francesco Rosica, Stefano Gavazzi, Franco Mugnai,
Paolo Zileri, Giampaolo Lazzati.
Ambrosoli
è stanco, ma allegro, cordiale, sembra sollevato da un peso, un esame temuto
che ha avuto buon esito. Per tre giorni è stato interrogato come testimone, al
Palazzo di Giustizia, dal giudice istruttore Giovanni Galati e dai giudici e
dagli avvocati arrivati dagli Stati Uniti per una rogatoria ordinata dalla
Corte federale di New York che ha per argomento la bancarotta della Franklin
National Bank di Michele Sindona. Le risposte di Giorgio Ambrosoli, commissario
liquidatore della sindoniana Banca Privata Italiana di Milano hanno grande
importanza per l’istruzione del processo della banca americana.
Ambrosoli
non parla mai, non ha parlato mai della ragnatela in cui è calato dal 27
settembre di cinque anni prima quando il governatore della Banca d’Italia Guido
Carli lo nominò commissario liquidatore della banca. Solo qualche volta, se le
notizie diventano pubbliche, si sgela un po’ e incrina la sua riservata natura.
Ma gli amici non sospettano in quale mondo oscuro viva e sia vissuto in quegli
anni.
Quella
sera accenna alla rogatoria, ai giudici e agli avvocati americani, ma solo per
dire che tutto è filato liscio. Si era preparato con cura e i difensori di
Sindona che contavano molto sulla rogatoria milanese per alleggerire la
posizione processuale del loro cliente sperando nella smagliatura delle
risposte dell’avvocato, tornano a casa incattiviti.
L’ultima
udienza è finita nel primo pomeriggio, William E. Jackson, Special Master del
Distretto Sud di New York, è già partito per gli Stati Uniti; giudici, avvocati
e testimone devono tornare in tribunale la mattina dopo, ma solo per rileggere
il verbale di testimonianza e per firmarlo.
Al
tavolo dei «3 fratelli», gli amici chiacchierano. L’estate, il terrorismo che
seguita a mostrarsi truculento, la politica, le difficoltà di formare il
governo dopo le elezioni anticipate del 3 giugno. Andreotti ha rinunciato all’incarico
pochi giorni prima per il veto dei socialisti e il presidente Pertini ha appena
convocato Craxi al Quirinale. Ce la farà? Sul « Corriere della sera » di quell’11
luglio, spicca in terza pagina un lungo articolo di Walter Tobagi dedicato a
Craxi: «Non sono un padre padrone».
Alle
dieci e mezzo i sei hanno finito di cenare. Due di loro, Gavazzi e Zileri, sono
appassionati di boxe e gli piacerebbe vedere alla Tv qualche ripresa dell’incontro
tra Lorenzo Zanon e Alfio Righetti: in palio, al Palasport di Rimini, c’è il
titolo europeo dei pesi massimi. La casa più vicina è quella di Ambrosoli.
Comincia il conto alla rovescia, con le dodici riprese dell’incontro di boxe che
scandiscono l’ora e mezzo o poco più che manca a chiudere anche la vita di
Giorgio Ambrosoli.
Una
casa rassicurante, quella dell’avvocato, in via Morozzo della Rocca numero 1.
Un corridoio divide le camere da letto, i bagni, il guardaroba e la cucina, dal
soggiorno ampio e lungo che sembra lo scafo di una nave, con un divano color
rosa antico, un altro divano beige, un trumeau, una piccola scrivania, quadri,
stampe, oggetti amorosamente raccolti, poltrone vecchiotte. È arduo pensare che
la mafia e la criminalità politica sono arrivate fin qui a sconvolgere l’ordine
di una casa che sembra così al riparo. In un angolo c’è un tavolo rotondo
Impero, dove l’avvocato Giorgio Ambrosoli lavora la notte fino alle 3, alle 4.
Si
sfilaccia senza pietà anche l’ultimo brandello della vita di Giorgio Ambrosoli.
Mentre Gavazzi e Zileri guardano la Tv e gli altri fanno da controcanto al
telecronista, Ambrosoli parla con Rosica, avvocato anche lui. Ha deciso, è la
prima volta dopo anni, di fare una vera vacanza e di passare l’agosto tra il
mare e la campagna di Ortona, la città abruzzese dell’amico. Sul divano color
rosa antico firma l’assegno per la caparra. La firma gli viene un po’ storta.
Che
cosa fa l’assassino mentre Ambrosoli pensa alle vacanze, mentre Zanon e Righetti
si caricano di pugni e le grida del Palasport di Rimini rimbombano nella
scatola della Tv? Ha trovato rifugio in un bar, è immobile nella 127 rossa
davanti alla casa, sta cercando la sua vittima nei posti frequentati dall’avvocato
che conosce bene dopo i pedinamenti fatti in quei giorni, gira senza stancarsi
per le strade deserte del quartiere in cui Ambrosoli ha abitato quasi tutta la
vita?
Un
quartiere della borghesia tradizionale mescolata ai ceti che vivono sui beni
della proprietà ecclesiastica, i conventi, le confraternite, gli ospedali, gli
istituti religiosi, le chiese. Da quella meraviglia dell’arte e della cultura
che è Santa Maria delle Grazie e dagli orti dove lavorava Leonardo, al Pio
Istituto del Buon Pastore, all’ospedale San Giuseppe, alla residenza dell’Università
Cattolica alle case delle suore e dei preti rimesse a nuovo di continuo col
giallo ocra di Maria Teresa imperatrice d’Austria.
Se
si osserva il rettangolo del quartiere che ha per lati via Carducci e il viale
di Porta Vercellina, via San Vittore e corso Magenta e si entra nell’intrico di
strade spesso private, chiuse da muraglie, sbarre e cancelli vigilati da occhi
elettronici, via Giovannino de Grassi, via San Giovanni di Dio, via De Togni,
ci si rende subito conto di come è consolidata la ricchezza di chi ci vive e di
come resiste la forma delle cose, nonostante l’urto del tempo. Lo si vede nei
vecchi giardini con qualche putto di cemento rattristato, ravvivati d’autunno
dai roghi delle foglie rosse, nelle case illuminate la notte come in un
miraggio, coperte d’edera e di glicini, con le portinerie simili a palazzetti
vigilati da portinai inavvicinabili.
All’undicesima
ripresa, Zanon è investito da una gragnola di pugni. Resiste, contrattacca. L’incontro
finisce alla pari, il titolo europeo resta a Zanon.
Poco
dopo mezzanotte in casa Ambrosoli telefona qualcuno. L’assassino che vuol
sapere se l’avvocato è in casa?
Giorgio
Ambrosoli scende in strada a salutare gli amici. La sua Alfetta blu è
parcheggiata sul marciapiede e questo gli fa venire in mente di portare a casa
in macchina chi abita più lontano. La compagnia si scioglie, Gavazzi e Zileri
vanno a piedi, Ambrosoli accompagna Rosica e Mugnai e, ultimo, Lazzati, in via
De Togni 7, vicinissimo.
L’assassino
arrivato dall’America ha seguito Ambrosoli nella notte di Milano? Sta
aspettando nella via dove sa che abita un amico dell’avvocato?
Deposizione
di Charles E. Rose, sostituto procuratore degli Stati Uniti per il Distretto
Est di New York: «In data 11 luglio 1979 William Arico noleggiò una Fiat rossa,
con la quale si recò in vari posti che sapeva frequentati da Ambrosoli,
avendolo pedinato in precedenza. Trovò infine Ambrosoli in uno di quei posti,
ma non fu in grado di dirmi il nome della persona che abitava in quella casa o
il suo indirizzo. Mi disse solo che a quanto pareva era un amico di Ambrosoli e
che lo aveva visto là altre volte. Vide che il signor Ambrosoli stava
andandosene, entrando nella sua auto. Il signor Arico ritenne che stesse
tornando a casa e, facendo una strada diversa, partì rapidamente in macchina
diretto all’abitazione di Ambrosoli, dove giunse quasi contemporaneamente a
lui. Il signor Ambrosoli stava per scendere dalla macchina quando il signor
Arico, sceso dalla sua Fiat rossa, si diresse verso di lui e gli chiese in
italiano: “Il signor Ambrosoli?” Al che il signor Ambrosoli rispose “Sì”, e
allora Arico gli disse esattamente: “Mi scusi, signor Ambrosoli”, e con la sua
357 Magnum gli sparò al petto tre colpi. Dopodiché Arico tornò alla sua Fiat
rossa per fuggire... Arrivato vicino alla sua macchina, si voltò indietro, e
vide che Ambrosoli era caduto a terra e che intorno a lui si erano raccolte tre
persone...; disse che queste persone non avevano niente a che vedere con l’omicidio,
che aveva commesso da solo... Il giorno seguente Arico tornò negli Stati Uniti».
L’avvocato
Giorgio Ambrosoli è stato assassinato sul passo carraio della sua casa.
Esattamente quattro piani sotto l’angolo del soggiorno dove lavorava fino a
notte alta, sul tavolo Impero, a cercare di districare le carte dei neri
misteri di Michele Sindona.
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