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lunedì 15 giugno 2020

Alta Via delle Grigne - 4. Dal Rifugio Bietti ai Piani Resinelli


Estraggo dalle mie note personali:
15.6.1974. Forcella Guzzi - Grignone - Rif. Tedeschi - Traversata bassa (sentiero basso) - Resinelli - a casa.

Durante la notte il tempo è cambiato. Tira una brutta aria e dietro al Grignone il cielo è nero. Per questa terza tappa avevo previsto di aggirare la bastionata della Cresta di Piancaformia, valicare la Bocchetta di Prada e da qui, piegando a destra, risalire alla Monza, il vecchio nome rimasto appiccicato al Rifugio Arnaldo Bogani. La risalita dell’odioso gerone che caratterizza il versante settentrionale avrebbe chiuso la giornata, con pernottamento al Rifugio Luigi Brioschi, costruito poco sotto la vetta della Grigna Settentrionale.




Guardo il cielo, mi consulto con Guido e Maria, ma soprattutto mi preoccupo per Alessandro, bravo per la tenacia finora dimostrata ma palesemente stanco, non abituato a queste lunghe marce su ripidi sentieri.
Decido di accorciare i tempi. Sopra di noi, giusto alle spalle del Bietti, vi è l’erto pendio che scende dalla Cresta di Piancaformia e là in alto, un po’ a sinistra, vi è la larga apertura della Bocchetta del Guzzi. Più sotto passa il sentiero della Ganda (ghiaione) e per questo alla vetta.
Salutiamo i gestori e ci avviamo. Quello che la guida del Saglio (Le Grigne, TCI/CAI, 1937-XV) descrive come itinerario 203.g) per il versante O e la costa NO (Via Guzzi) […] La via è segnalata ed è molto frequentata all’epoca della fioritura delle stelle alpine a noi si presenta come un’aleatoria salita sull’erba, con radi e sbiaditi segni di minio sulle roccette, ma di questo non mi preoccupo. Conosco più che bene questi posti. So dove sono e in che direzione andare.
Aggiunge Saglio: La via prende il nome dalla bocchetta che attraversa, così chiamata in ricordo di un alpinista caduto in una profonda buca del versante NE. Non sarà l’unico. Non molto distante, più in alto, vi è anche il Buco Ferrari, dove una lapide ricorda il diciassettenne Emilio Ferrari qui precipitato il 17 agosto 1927.



* * *

E qui inserisco una pausa nel racconto alpestre.
Visitare i cimiteri è sempre cosa da fare per chi si occupa di storie locali. Le lapidi raccontano molte più verità che non la lettura di arraffate pubblicazioni.
Entrate con me nel cimitero di Mandello del Lario.
All’ingresso una lapide ricorda che

qui caddero per piombo venduto
Sergio Gallotti (31-xii-1943)
Giovanni Poletti (25-viii-1944)
sta questa lapide a infamia dei carnefici
a gloria dei martiri

Per chi vuole saperne di più, qui propongo due scritti tratti dal sito web dedicato alla 55a Rosselli:
- Diario di una resistenza, di Lamberto Caenazzo




Entriamo. Subito a sinistra, accostata al muro di cinta una piccozza e una lanterna attirano l’attenzione. La scritta rammenta che qui riposano i resti del Rag. Carlo Guzzi: è l’alpinista caduto in una profonda buca del versante NE ricordato da Saglio.


Più avanti, svoltando a destra, troviamo il monumento eretto per Palamede Guzzi ed Elisa Cressini, i genitori di Fanny Guzzi e di Maria Fanny Guzzi, due alpiniste che si legarono in cordata e nella vita a Gino Carugati, alpinista Accademico nonché primo presidente della locale Sezione del CAI. La loro triplice tomba, con la silhouette del Sasso dei Carbonari, si trova in un altro settore del cimitero.




Nell’area dei loculi ossari non faticheremo a trovare la lapide che ricorda Pietro Rompani, una delle prime guide alpine attive nel Gruppo delle Grigne, un nome legato all’epoca storica degli alpinisti “venuti su” da Milano.


Nell’area centrale altre due tombe riportano all’ambiente delle Grigne. La prima ricorda il Canela, al secolo Pier Lorenzo Acquistapace, Ragno della Grignetta.


Non molto lontano riposa Guido Zucchi, il Guido che per decenni ha gestito una rivendita di vino e bibite sulla vetta della Grignetta. Una persona stimata da tutti i grignaioli doc e dop, ucciso dall’idiozia dei nani.


Chiudo con un’ultima lapide, non alpinistica ma certamente storica: una croce, un vaso e due marmi ricordano Francesca Gatti e Carlo Guzzi, figlio di Palamede e di Elisa Cressini, fratello di Fanny e Maria Fanny, cognato di Gino Carugati ma, soprattutto, uno dei soci fondatori della Moto Guzzi, che da lui prese il nome.


All’uscita, una scultura ricorda che anche nel lago si può perdere la vita.



* * *

Il versante settentrionale del Grignone si presenta saturo di neve. Il cielo è ancora scuro ma per il momento pioggia o neve ci viene risparmiata.






Quando lasciamo alle nostre spalle il Rifugio Brioschi un pallido sole ci ricorda che siamo sul versante meridionale e per questo divalliamo fino al Rifugio Tedeschi, la solida struttura che anni dopo una valanga raderà al suolo.


La facile traccia della Traversata Bassa ci riporta ai Piani Resinelli, punto di chiusura dell’anello e punto d’incontro con la mia bianca R4 Export 850 cc. Con questa si torna a casa.












domenica 14 giugno 2020

Alta Via delle Grigne - 3. Dall'Elisa al Bietti


Estraggo dalle mie note personali:
14.6.1974. Canalone di Val Cassina - scesi per troppa neve - Gardata - Alpe Cetra - Rif. Bietti.


La notte alla bella stella e la colazione è già il passato. Il presente è la traversata dei canali che precedono i Prati di Val Méria, puntando all’imbocco del Canalone di Val Cassina (o Canalone dei Carbonari), il largo solco che separa il Sasso Cavallo dal Sasso dei Carbonari, due toponimi intriganti.
Scrive Dante Olivieri nel suo fantasioso Dizionario di toponomastica lombarda:
- Cavallo (Santella del-), Lumezzane, BS, presso un valico; Piazza cavallo, monte, V. Saggia «in forma di sella»: qui cavallo serve come denominazione di un passo di montagna. Sarà così probabilmente anche per Monte cavallo, Ballabio, CO, presso un Sasso cavallo… [sic!]
Le mie passate ricerche sul campo - si legga: quando negli anni Settanta giravo per le Grigne interpellando vecchi e già allora rari alpigiani e vaccari -, mi avevano portato a queste conclusioni: nella parlata locale il primo sperone roccioso, quello più a valle, era detto Sass de Cavàl perché sovrastante i prati a cavallo tra due vallate.
Per il Sasso dei Carbonari, invece, tutto è già più facile: per secoli ai suoi piedi i carbonai hanno acceso i fuochi utili a trasformare il legname in carbone, ma siccome parte del legname proveniva dal versante settentrionale, quello a monte della bastionata rocciosa, per evitare il lungo e difficoltoso aggiramento ai tagliaboschi non restava che servirsi del ripido canalone, servendosi di corde e di arpioni per calare i tronchi.
E qui mi è sempre venuto da ridere nel leggere le relazioni pubblicate sulla Rivista Mensile del CAI, dove alcuni alpinisti vantavano chi la prima ascensione del canalone, chi la sua discesa, chi addirittura la prima solitaria con nuova variante d’uscita ...mentre la mia fantasia vedeva tagliaboschi che salivano e scendevano, districando tra porchi e madonne i tronchi incagliati.
E sì, è proprio vero che (almeno in questo caso) la storia l’ha scritta chi aveva la penna in mano, non certo i boscaioli e i carbonai, che suppongo analfabeti.

Come amo ripetere, per essere compreso ogni fatto deve sempre essere inquadrato nel periodo storico e culturale in cui è avvenuto - e questo vale per tutto …viaggi pedestri inclusi.


A noi quella mattina di giugno il canalone si è presentato carico di neve, con alcuni pendii ricoperti da una sottile patina di ghiaccio. Niente di difficile per chi ha lunga pratica di alpinismo, un problema, invece, per chi intende pubblicare una guida escursionistica che, come dice il nome, si rivolge ad un pubblico non necessariamente acrobatico.
Dovevo trovare una soluzione, al fine di consigliare un itinerario agibile tutto l’anno, o quasi, e la soluzione da me trovata era alquanto penosa: scendere alla Gardata (450 metri più in basso) per poi attraversare i boschi del Quadro fino all’Alpe Cetra, vecchia osteria di montagna ormai in disuso. Qui arrivati non restava che riprendere a salire, recuperando il dislivello perduto.
Alla fine della salita il roccioso e stretto passaggio delle Porte (detto anche Le Termopili) s’incarica di introdurci al pianoro del Releccio e al vicino Rifugio Luigi Bietti.
Il tricolore sventola, le finestre sono spalancate e i suoi gestori, Guido e Maria Macchiavelli, sono sulla porta per darci il benvenuto.

LE FOTOGRAFIE DI
GIANCARLO MAURI
14 giugno 1974, venerdì