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mercoledì 11 giugno 2014

La “grotta di Stenone” in Val di Gresta


Pra da Lac, lo dice il nome, è il fondo di un antico lago. Qui inizia il sentiero per la cosiddetta Ghiacciaia di Stenone. Le rocce su cui si cammina sono i resti della frana del più imponente vulcano del Trentino, che ammontonandosi l’una sull’altra hanno prodotto numerose caverne che d’estate si trasformano in ghiacciaie. Al primo impatto, la forte umidità calda rimanda ai Paesi monsonici, qui attraversata da soffi d’aria gelida.

La cosiddetta “grotta” è stato un importante gradino per la comprensione dei fenomeni fisici studiati e compresi da Steen Neelsen, in arte Niccolò Stenone, ritenuto un padre della geologia, della paleontologia e ...dell’anatomia, la sua vera professione. Un uomo importante per il progresso della Scienza, subito dimenticato “anche” per la grave colpa di aver abbandonato la religione nativa (luteranesimo) per diventare un “papista”. Due anni dopo aver indossato la tonaca il papa lo nomina vescovo titolare della dimenticata sede di Titopoli.

Prendendo fin troppo sul serio (per i tempi in cui viveva) gli obblighi derivati dal nuovo ruolo sociale, il Danese abbandona definitivamente gli studi scientifici (e la Corte dei Medici di Firenze) per dedicarsi anima e corpo al nuovo incarico, professando nelle difficili terre germaniche. I suoi successi - ma soprattutto le sue lettere inviate al Papa, dove inutilmente racconta l’immorale stile di vita del clero cattolico - gli attirano l’invidia dei nani, prelati che con la scusa delle opinioni religiose lo attaccano sul piano personale, gettando l’ombra del dubbio sui suoi meriti scientifici.

In Val di Gresta Stenone getta le basi per lo studio della “scienza alpina”, comprendendo il processo chimico che forma il ghiaccio d’estate, trovando una successiva conferma scendendo nella ghiacciaia del Moncodeno, in Grigna.

Morto all’età di 48 anni a Schwerin, Stenone trova una prima sepoltura in una chiesa luterana. In seguito, Cosimo III di Toscana brigherà (pagando non pochi soldi) per il furtivo trasferimento della spoglia a Firenze, tumulata nella basilica di San Lorenzo, a non molta distanza da un altro vescovo, Paolo Giovio comasco, l’esatto opposto dello Stenone; ma questa è tutta un’altra storia.
In tempi a noi più recenti, Giovanni Paolo II “su invito dei medici e degli scienziati cattolici” lo innalza agli onori di “beato” di Santa Romana Chiesa.

Tutto questo a me pare un buon motivo per tornare di tanto in tanto nella trentina Val di Gresta per rendere omaggio ad uno dei più grandi cervelli dell’umanità, uomo che sebbene animato da una profonda fede mai si lasciò trarre in inganno dai dogmi. Per lui il cuore era soltanto un muscolo e mai la sede del “calore”; il cervello mai avrebbe contenuto l’anima, come altri volevano far credere. E tutto questo Stenone lo ha pure messo nero su bianco, in tempi in cui i roghi erano sempre accesi.

LE FOTOGRAFIE DI
GIANCARLO MAURI






martedì 10 giugno 2014

Dei de Spech, di Giovanni Gavazzi e di Lorentino


Leggere che un cardinale “molto probabilmente trascorrerà qualche giorno di vacanza a Lorentino” (la solita notizia falsa ad hoc: infatti non ci è andato…) e pensare ai nobili de Spech è stato un tutt’uno.

Spiego. I de Spech entrano nella mia vita alcuni anni fa, ai tempi in cui giravo per archivi italiani e stranieri alla ricerca di ogni possibile manoscritto utile a realizzare una vecchia idea: scrivere le “Vite” degli scienziati e letterati esploratori del Gruppo delle Grigne, da Leonardo fino a Giovanni Gavazzi, l’autore del primo scritto a carattere prettamente sportivo. “Vite” non scritte alla maniera del Vasari, il cui miglior commento critico [mio] resta: “quel che non conosceva, lui lo inventava. E tanto inventò”.
I copiatori dai libri altrui - a loro volta copiati da altri che copiaron da altri - hanno sempre deriso Giovanni Gavazzi solo perché ...lo aveva fatto l’onorevole Mario Cermenati in un suo scritto del 1899. Ovviamente, nessuna di queste penne “d’oro o di ferro” - per dirla alla Paolo Giovio - ha mai speso tempo e denaro per indagare sul Gavazzi: chi era, qual’era la sua professione, perché decise di salire sul Grignone per aprire una via “mai percorsa da altri” in compagnia di una celebrata guida di Courmayeur. Ma anche: cosa si celava dietro quel suo stile di scrittura, ostico ai letterati del suo tempo e per questo sbeffeggiato dal botanico Vincenzo Cesati, barone di Vigadore con residenza a Napoli?
Io l’ho fatto, aiutato in questo da due archivisti - Barbara Gariboldi e Roberto Gollo - e da due bibliotecari: Alberto Benini e Anna Pezzolo. A Canzo ho sempre potuto contare sulla gentilezza di Milena Longa, mentre Emilia, Giulia e Paolo Balossi Restelli mi hanno aperto le case “Gavazzi” di Milano e Canzo. Infine, ma non ultimo, Gerolamo Gavazzi mi ha fatto dono di un suo libro prezioso.

In seguito, per garantire una sequenza temporale, la monografia su Giovanni Gavazzi - la prima da me scritta - ha ceduto il passo ad altri due pezzi da novanta: Leonardo da Vinci e il beato Niccolò Stenone, di cui ho pubblicato nel 2012 le monografie sui loro viaggi (o presunti tali per LdV) in Grigna. Non solo: per dare un senso compiuto alle ricerche di Stenone sui nostri monti ho voluto raccontarne la vita, realizzando (forse) la più completa biografia mai scritta su di lui, arricchita dalla riproduzione fotografica dell’intera lettera inviata a Cosimo III di Toscana per metterlo al corrente degli esiti del viaggio alle grotte di Gresta e del Moncodine, manoscritto rimasto sconosciuto anche a Mario Cermenati, che prese le sue informazioni - così lui stesso dichiara - dalle monche Lettere inedite pubblicate dal Fabroni nel 1775 (lo stesso che aveva fatto Angelo Bellani per un suo libro pubblicato nel 1816).

Per i lettori di questo blog anticipo alcune righe sul rapporto che univa gli Spech a Giovanni Gavazzi e all’abitato di Lorentino, estrapolate dal mio tuttora inedito libro.

I NOBILI DE SPECH. D’origine tedesca, dal 5 luglio 1754 i fratelli Giorgio e Carlo Andrea Spech si ritrovano ascritti alla nobiltà magiara. Firmando il diploma, l’imperatrice Maria Teresa ricompensa i servigi resi da Carlo Andrea alla Corona d’Ungheria in qualità di commissario imperiale di guerra in Lombardia e, in data incerta, questi viene inviato a Milano per mettersi a disposizione del ministro plenipotenziario, il trentino Carlo Gottardo (detto Giuseppe) conte di Firmian, con l’incarico di Capo commissario di guerra in Italia. Nel 1768 Carlo Andrea è pure insignito del titolo di Reale imperiale consigliere.
È a lui che Carlo Porta dedica il sonetto che Raffaello Barbiera, curatore del volume Poesie edite, inedite e rare di Carlo Porta, così introduce: «Questo epitaffio-epigramma colpisce un consigliere Spech, e fu scritto, a quanto sembra, in un momento di malumore quando quel magistrato era vivo. Finora non fu mai pubblicato, forse per un riguardo all’egregia famiglia di quel nome; ma ogni titubanza di editori cessa quando vogliasi ripetere l’avvertenza che si legge in un manoscritto conservato all’Ambrosiana: “L’epigramma esagera. Era uomo (lo Spech) un po’ debole e di vedute poco larghe, ma non era cuore di Giuda come qui si dice.”»

EPITAFFIO
                 Chì sott gh’è el corp del sur Consejer Spech
che l’è staa in vitta sova on gran boricch,
bravo domà per fà salamelecch
col coeur de Giuda e el muso de Berlicch;
el mond cont la soa mort l’ha perduu pocch,
e ha quistaa un sant el paradis di occh.

Traduco per i non langobardi:

Qui sotto c’è il corpo del signor Consigliere Spech
che è stato in vita sua un gran burricco,
bravo solamente a far sala­melecchi
col cuore di Giuda e il muso di Berlicche;
il mondo con la sua morte ha perso poco,
mentre ha acquistato un santo il paradiso delle oche.

Prima di scendere «al paradis di occh» (l’inferno) l’imperiale consigliere trova il tempo di sposare Maria Anna Hurnegli e poi, in seconde nozze, la dama di corte Marianna de Hüting-Ongarere, che lo rende padre di Francesco Zaverio (1766-1828), futuro «Nobile ungherese, Consigliere della Comunità, Direttore delle Poste, Magistrato integerrimo, Uomo pio e virtuoso, Ottimo padre» (come recita il bugiardino tombale).
Moglie di Francesco Zaverio è Paolina Valsecchi, figlia di ricchi possidenti terrieri in Lorentino, amena località utilizzata dai de Spech dapprima per le vacanze e poi per l’eterno riposo. Dalla loro unione nasce il «Vir ille simplex et rectus» Andrea (1792-1870), Scudiero imperiale e Cavaliere dell’impero, marito della contessa Francesca Nugent e poi di Costanza Canziani. Tra i figli di primo letto troviamo Francesco, Scudiero di corte per diritto ereditario e Guardia nobile dal 1842, uno dei principali proprietari terrieri di San Pietro all’Olmo, località dove Giovanni Maria Gavazzi ha impiantato una filanda, con la residenza padronale sulla piazza del paese e frequentata dai coniugi-cugini Giovanni Battista Gavazzi ed Emilia Gavazzi in Gavazzi.

Tutto cambia dopo il 15 marzo 1864, quando a Milano muore Gio.Batta, lasciando la vedova finalmente libera di frequentare l’amato Francesco de Spech, ma è solo dopo la morte di Andrea de Spech (1870) che i due colombi possono regolarizzare la loro posizione di fronte agli ipocriti convolando a nozze.
Qualche anno più tardi - il 6 luglio 1876, due giorni prima di festeggiare i suoi sessant’anni di vita - Francesco adotta l’ormai sposato (e con prole) figlio della moglie, Giovanni Gavazzi, trasmettendogli con decreto regio il proprio titolo nobiliare. Accettando, Giovanni Gavazzi de Spech diventa il primo ed unico nobile che abbia mai avuto la ramificata dinastia dei Gavazzi, noti tra il popolo come "quelli delle filande" e delle banche (e non solo).
Nella ristretta società di Milano il gesto non passa inosservato e i pettegoli hanno di che riempirsi d’aria la bocca: loro ‘già sapevano’ che Giovanni Gavazzi non era figlio di GioBatta, bensì il frutto nato dalla relazione extraconiugale tra Emilia e il de Spech. E adesso, sposando la vedova e adottandone il figlio, il nobiluomo ‘conferma’ la vox populi. Si aggiunga: il nuovo marito è più giovane di quattro anni della sposa ed ha vent’anni di meno del de cujus

Come detto sopra, alcuni dei sopracitati de Spech godono il meritato riposo nel cimitero di Lorentino, disturbati di tanto in tanto dalla mia visita: dopo aver tanto frugato tra i loro panni li “sento di casa”, quindi andarli a trovare è per me un piacevole dovere.

© testo e foto di Giancarlo Mauri


La Cappella Spech a Lorentino


ANDREA SPECH
Figlio di Francesco Zaverio
e di Paolina Valsecchi
Vir ille simplex et rectus (Job. 1)
Milano XXII luglio MDCCCXCII
Milano XXX magio MDCCCLXXX
Quì riposa
COSTANZA SPECH CANZIANI
morta in Milano
XV dicembre MDCCCLXI
Ma noi andremo a lei (Davide)
Sorgono i figli ed il marito
per dar lode alla donna forte (Prov.)


FRANCESCO ZAVERIO SPECH
Nobile ungherese
Consigliere della Comunità
Direttore delle Poste
Magistrato integerrimo
Uomo pio e virtuoso
Ottimo padre
Morto li 6 ottobre 1828
d'anni 62
I figli Andrea e Arianna Posero
Commemorando il ....LRN.....

MARIANNA SPECH
Del nobile Francesco Zaverio
Morta il 26 luglio 1862
Pia, modesta, benefica
Il fratello Andrea pose
per ricordanza delle sue virtù
Dormiam cum patribus meis (Genesi)

+ A Spech nobile Francesca
nata contessa Nugent
morta in Milano
il XXXI agosto MDCCCXVIII
nella giovenile età d'anni XXV
pia caritatevole amorosa
i figli
Matilde Giulia e Francesco
a perpetuo ricordo posero

mercoledì 21 maggio 2014

Ignoranza ben coltivata


Ho sfogliato il “Mundus subterraneus” di Athanasius Kircher, édito in anastatica da Forni, Bologna. Un’opera affascinante, questa, di cui ho una copia della editio princeps (1578). Non cartacea, purtroppo, ma in formato digitale, che mi è costata 107.526 kB di memoria, visto che la scannerizzazione e l’invio mi è stato offerto da una università statunitense. In Italia, invece, se non sei un docente e osi chiedere per ragioni di studio le fotocopie di un articolo a una biblioteca universitaria, questa ti obbliga all’intermediazione di una biblioteca scolastica o civica e al pagamento anticipato delle spese. Diversi modi di intendere la propagazione della cultura: per gli ignoranti è sempre “cosa nostra”. Il tutto avallato dal politicante di turno: “Con la cultura non si mangia” disse uno di loro. Basta chiarire cosa lui intendeva dire con quel “non si mangia”…

Kircher è entrato di prepotenza nella mia vita fin da quando ho preso a occuparmi di Steensen-Stenone: i due si scrivevano lettere su temi religiosi e scientifici - difficili questi ultimi da trattare, essendo il primo un Gesuita l’altro prossimo all’abito vescovile, dunque persone attente a non uscire dai limiti imposti dagli interessi curiali: tutto lo scibile era già scritto nei “libri sacri” del popolo ebraico, rivisitato e scorretto col nome di Vecchio Testamento. Secoli e secoli dopo Eratostene la Terra doveva restare quadrata e il Cielo non poteva essere esplorato col cannocchiale, demoniaco oggetto che avrebbe potuto svelare che lassù, sopra le nuvole, forse non albergavano divinità.
A tal proposito, si legge in Collection de Documents Inédits sur l’Histoire de France publiés par le soins du Ministre de l’Instruction Publique. Tome 2. Paris, Imprimerie Nationale, 1883, p. 395 : “Le 28 avril [1665], Chapelain entretient Huet de l’apparition d’une nouvelle comète: «Je ne l’ay point encore veűe à cause d’un rhume qui me travaille depuis douze jours. On vous aura sans doute envoyé une lettre de Mr Auzout accompagnée de remarques sur le discours italien du sieur Campani touchant les longues lunettes qu’il a faittes et touchant ses descouvertes nouvelles dans les disques de Saturne et de Jupiter. Elle me fust prestée avant hier par Mr de Salo et la lecture m’en a satisfait au delà de mon attente. Ce signor Campani tombe d’accord de l’anneau de Saturne trouvé par Mr Huggens et Mr Auzout défend du décret de l’Inquisition le mouvement de la terre et l’immobilité du Soleil, mais avec beaucoup de respect et de modestie chrestienne.»”

Ai limiti curiali si aggiunse la datazione formulata dall’arcivescovo irlandese James Ussher, uomo che tra il 1650 e il 1654 aveva dato alle stampe una mastodontica cronologia (The Whole Works) che arrivava a definire l’anno, il mese e il giorno in cui il Dio proprio delle tribù ebraiche aveva creato il Cosmo, la Terra, gli alberi, gli animali, Adamo (“a sua immagine e somiglianza”, dunque di fattezze arabo-palestinesi). Solo più tardi il Grande Architetto pensò alla controparte femminile (per i fiori e gli animali, invece, aveva già provveduto). Di quest’opera, stampata in latino ma col doppio titolo in inglese, utile è il volume VIII, quello che illustra attimo dopo attimo i giorni della Creazione, che Ussher stabilisce essere accaduti nell’anno 4004 avanti Cristo. Alle pp. 13 e 14 si legge: «In principio creavit Deus cœlum et terram, quod temporis principium, juxta nostra chronologiam, incidit in noctis illius initium, quæ vigesimum tertium diem Octobris præcessit, in anno periodi Julianæ 710», che una sua nota equipara all’anno 4004 a.C. Aggiunge: «Septimo die, Octobris vigesimo nono, feria septima, cum perfecisset Deus opus suum quod fecerat, quievit ab omni opera; et dici septimo benedicens, Sabbatum instituit et consecravit». Questa datazione, stampata su ogni copia della King James Bible dal 1701 in poi, ha ancora un suo seguito tra i creatoristi più intransigenti.

In seguito, per meglio divulgare quest’opera enciclopedica, lo stesso Ussher ridusse il testo ad un solo volume, pubblicato col titolo The Annals The World. London. Printed by E. Tyler, for F. Crook, and G. Bedell, 1658. Già dalle prime pagine, che qui riprendo dal libro senza aggiunte né omissioni, si impara quanto segue:

The Annals of the Old Testament from the Beginning of the World
The First Age of the World

1a AM, 710 JP, 4004 BC
1. In the beginning God created the heaven and the earth. Ge 1:1 This beginning of time, according to our chronology, happened at the start of the evening preceding the 23rd day of October in the year of the Julian calendar, 710.
2. On the first day Ge 1:1-5 of the world, on Sunday, October 23rd, God created the highest heaven and the angels. When he finished, as it were, the roof of this building, he started with the foundation of this wonderful fabric of the world. He fashioned this lower most globe, consisting of the deep and of the earth. Therefore all the choir of angels sang together and magnified his name. Job 38:7 When the earth was without form and void and darkness covered the face of the deep, God created light on the very middle of the first day. God divided this from the darkness and called the one “day” and the other “night”.
3. On the second day Ge 1:6-8 (Monday, October 24th) after the firmament or heaven was finished, the waters above were separated from the waters here below enclosing the earth.
4. On the third day Ge 1:9-13 (Tuesday, October 25th) when these waters below ran together into one place, the dry land appeared. From this collection of the waters God made a sea, sending out from here the rivers, which were to return there again. Ec 1:7 He caused the earth to bud and bring forth all kinds of herbs and plants with seeds and fruits. Most importantly, he enriched the garden of Eden with plants, for among them grew the tree of life and the tree of knowledge of good and evil. Ge 2:8,9
5. On the fourth day (Wednesday, October 26th) the sun, the moon and the rest of the stars were created.
6. On the fifth day (Thursday, October 27th) fish and flying birds were created and commanded to multiply and fill the sea and the earth.
7. On the sixth day (Friday, October 28th) the living crcatures of the earth were created as well as the creeping creatures. Last of all, man was created after the imagc of God, which consisted principally in the divine knowledge of the mind, Col 3:10 in the natural and proper sanctity of his will. Eph 4:24 When all living creatures by the divine power were brought before him, Adam gave them their names. Among all of these, he found no one to help him like himself. Lest he should be destitute of a suitable companion, God took a rib out of his side while he slept and fashioned it into a woman. He gave her to him for a wife, establishing by it the law of marriage between them. He blessed them and bade them to be fruitful and multiply. God gave them dominion over all living creatures. God provided a large portion of food and sustenance for them to live on. To conclude, because sin had not yet entered into the world, God saw every thing that he had made, and, behold, it was very good. And the evening and the morning were the sixth day. Ge 1:31
8. Now on the seventh day, (Saturday, October 29th) when God had fìnished his work which he intended, he then rested from all labour. He blessed the seventh day and ordained and consecrated the sabbath Ge 2:2,3 because he rested on it Ex 31:17 and refreshed himself. Nor as yet (for ought appears) had sin entered into the world. Nor was there any punishment given by God, either upon mankind, or upon angels. Hence is was, that this day was set forth for a sign, as well as for our sanctifìcation in this world Ex 31:13 of that eternal sabbath, to be enjoyed in the world to come. In it we expect a full deliverance from sin and its dregs and all its punishments. Heb 4:4,9,10

Tradotto in parole povere, Ussher stabilisce “scientificamente” che l’intera Creazione è iniziata domenica (!!!) 23 ottobre per terminare sabato 28 ottobre dell'anno 4004 avanti Cristo. Dunque il compleanno di Adamo (e dell’umanità) cade il  27 ottobre, venerdì, lo stesso giorno della settimana in cui viene fatto morire il Messia - Xristòs in lingua greca - fatto scendere in Terra. Infatti, nella tradizione cristiana, Paolo (Lettera ai Romani) contrappone l’ebraico Adamo a Gesù: con il primo uomo sono entrati nel mondo il peccato e la morte, con il Redentore la grazia e la vita.

Anche, ma non solo, da questi limiti accettati e imposti dalla Chiesa nascono i numerosi abbagli attribuiti a uomini di fede e scienza quali erano Kircher e Stenone: se il Dio proprio del popolo ebraico aveva creato la Terra, affidandola in custodia alla “sua immagine e somiglianza” nel 4004 a.C., come potevano esistere reperti ossei, vegetali e minerali - ma anche graffiti, dipinti e manufatti - più vecchi di quella datazione? Di fronte a questi muri invalicabili, il terrore imponeva agli scienziati di chinare il capo. Perché Stenone aveva ben compreso - e Leonardo, vagamente, prima ancora - che i pesci fossili da lui trovati sui monti toscani non erano il risultato di un fantasioso “diluvio universale”, bensì la prova di sconvolgimenti terrestri molto più antichi dei limiti ussheriani... Ma le fiamme del rogo erano pronte a ricordare che certe cose era meglio non divulgarle alle masse. Al limite si potevano raccontare a poche ma altolocate persone, quelle che già sapevano. Il popolo era e doveva restare povero e ignorante: solo così si poteva farlo lavorare gratis e nel contempo tenerlo timorato.
L’affare Galilei era ben vivo nei ricordi del tempo. Meglio ancora, a ricordare i limiti imposti alla propagazione della conoscenza (e quindi alla pericolosissima arte della riflessione, bandita dalle scuole di ogni ordine e grado) vi era il rogo su cui era arso Giordano Bruno il 17 febbraio 1600, ma stavolta era di giovedì.

Conoscere i retroscena aiuta a comprendere i molti errori di questi grandi uomini di scienza, “bruciati” dai tempi in cui vivevano. Tempi che sembrano non finire mai: Forni ha pubblicato la prima anastatica dell’opera di Kircher nell’anno 2004. Sull’onda del successo di vendita, nell’anno 2011 lo stesso editore ha deciso di mettere sul mercato una seconda edizione. Una ristampa, questa, non più appesantita dai costi di riproduzione. E allora perché imporla a 230 euro? Forse per tener lontane le masse dal “sapere”, oggi come nel Seicento?

© testo di Giancarlo Mauri