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sabato 9 novembre 2019

Arrampicare ai Corni, 1969-2019 (5/7)


Estraggo dal mio archivio di note personali:

1969.11.08 - Notte al Rifugio SEV. Con Diego
1969.11.09 - Corno Orientale di Canzo. Nevica e c’è nebbia. Diego mi fa sicurezza a spalla e io dalla vetta mi calo fin sul bordo del grande strapiombo. Da qui, assicurato da Diego, salgo in vetta.

La Via Giuseppe Verderio è terminata.


Ai coniugi Roberto Assi e Maria Elena Fiori, allora residenti a Valmadrera, verrebbe accreditata la prima ripetizione della Via Giuseppe Verderio e questo attorno alla metà degli anni Ottanta - 1988 e peraltro parziale si legge su Vertice, n. 15, anno 2000 (vedi sotto)Cosa significhi quel peraltro parziale non mi è noto, ma una cosa è certa: essendo stato l’unico a superare l’Onda tutto il materiale da me utilizzato era rimasto in parete, staffe penzolanti incluse, attrezzi rimasti ben visibili per oltre 15 anni, poi scomparsi.


Come è giusto fare, ho subito provveduto ad informare i redattori della Rivista Mensile del CAI dell’avvenuta apertura della via, aggiungendo la relazione tecnica.

Rivista Mensile del Club Alpino Italiano, anno 91, n. 3, marzo 1970, pag. 122
NUOVE ASCENSIONI
PREALPI LOMBARDE - GRUPPO SAN PRIMO
CORNO ORIENTALE DI CANZO (1215 m) - Parete NE
Prima salita via diretta: Giancarlo Mauri (CAI Vimercate) e Diego Pellacini (CAI Sesto San Giovanni);
2, 3 e 9 novembre 1969.
Altezza 200 m, difficoltà ED, A2, Ae3, 48 ch. (24 a espansione), nessuno tolto; 14 ore.
I salitori hanno proposto di dedicare la nuova via a Giuseppe Verderio.

RELAZIONE TECNICA. Dal rifugio S.E.V. alla Bocchetta di Luera, 1221 metri. Qui scendere per il ripido canale erboso che termina in un  ghiaione e per questo al piede della parete (20 minuti). Aggirato lo spigolo di un torrione, puntare al primo diedro della parete. Si è all’attacco.
1° tiro. Salire il diedro (10 m, IV) e al suo termine uscire a sinistra. Proseguire lungo un saltino erboso fino a roccette che si aggirano a destra, poi verso l’alto fino al termine della corda (40 metri).
2° e 3° tiro) Salire per rocce friabili ed erbose per 60 metri, mirando alla fessura sotto alla striscia nera di destra.  Variante: questa prima parte si può evitare entrando in parete direttamente dal ghiaione che scende dalla Bocchetta di Luera; giunti all’altezza del torrione, traversare verso il masso incastrato. Salire ora per erba 15 metri, poi traversare a sinistra fino a degli alberi. Da essi, con traversata orizzontale (in piena parete) di 40 metri si è alla fessura.
4° tiro) Traversare 5 metri a destra, salendone 3 o 4. Ritornare a sinistra (V, 2 chiodi) e si è di nuovo alla fessura. Salirla per 15 metri, poi traversare 4 metri a sinistra. Si è in centro alle due strisce nere. Puntare direttamente verso l’alto. Superare un piccolo strapiombo e con breve passaggio in libera si è ad un’aerea nicchia. Sosta. (30 metri, V, A1 e A2, 18 chiodi).
5° tiro) Dalla nicchia uscire verso sinistra, poi puntare verso lo strapiombo, che si raggiunge dopo 20 metri. Superarlo direttamente. Verso il suo termine, obliquare un poco a destra fin sotto ad un diedro-camino. Salirlo per 3 metri. Sosta più che precaria. Negli ultimi 17 metri si è usciti almeno 10 metri dalla verticale. (40 metri, A2 e A3, 27 chiodi).
6° tiro) Salire il diedro per 5 metri, fin sotto ad uno strapiombino. Superarlo direttamente. Al suo termine, traversare in lieve discesa a sinistra per 3 o 4 metri. Per rocce più facili, si è brevemente alla cresta terminale. (25 metri, IV e IV+).
Per facile sentiero, dopo 50 metri, si è alla vetta.

BIBLIOGRAFIA.
Città di Vimercate, n. 13, dicembre 1969, pagina 52.
Lo Scarpone, n. 5, 1° marzo 1970.
Rivista Mensile del C.A.I., 1970, n. 3, pagina 122.


Lo Scarpone, n. 5, 1° marzo 1970


Negli anni a seguire escono le prime guide stampate sui Corni di Canzo. Sebbene (come visto sopra) la Via Giuseppe Verderio fosse stata ufficialmente segnalata, a pagina 72 di Valmadrera. Montagne e itinerari alpinistici - di Giorgio Tessari e Gian Maria Mandelli, 1979 - si legge Via CAI Melzo - Primi salitori: Soci del CAI Melzo.



Nel 1996 appare in libreria una nuova edizione, che porta il titolo Valmadrera. Escursioni e Itinerari Alpinistici. Ancora una volta alla Via Giuseppe Verderio viene appioppato il fantasioso nome di Via CAI Melzo.




Stavolta mi metto in contatto telefonico con l’allora Presidente della Sezione CAI di Valmadrera, rimarcando la svista. Dall’altro capo del filo mi si suggerisce di mettere il tutto nero su bianco e d’inviarlo in Sede. Alcuni mesi dopo le mie annotazioni trovano posto tra le pagine di Vertice, l’annuario della Sezione CAI di Valmadrera (n. 15, anno 2000).





In seguito sono uscite altre guide, dove le fotografie riportano malamente l’itinerario e sempre fatto iniziare a metà parete, dimenticando che esiste una parte inferiore, evitabile, ma da me salita.







A memoria futura, qui pubblico due fotografie. La prima mostra i miei “studi” per salire quella parete - e questi risalgono a quando il Beppe era ancora il mio compagno di cordata, dimostrazione che la Nord-Est del Corno Orientale era già nel nostro mirino e quindi era per me “naturale” che fosse quell’onda pietrificata a dover portare il suo nome, non altro.


La seconda indica l’esatto tracciato, parte superiore, della Via Giuseppe Verderio. Per l’intero tracciato della via rimando alla Polaroid messa in copertina.


Ai Corni di Canzo sono tornato più e più volte, ma qui voglio ricordare la prima volta che io e Daniella siamo saliti con Marco, nato sei mesi prima e al suo primo “bivacco” sul prato dell’Alpe Oneda (990 m circa), al riparo di un masso erratico. Era il 18 maggio 1975.






A valle, beneamato punto di riferimento era l’alpeggio Terz’Alpe - in Val Ravella, a quota 770 m - dove ho sempre trovato una calda accoglienza …soprattutto nei mesi invernali. Le fotografie sono del 9 marzo 1974.




mercoledì 11 giugno 2014

La “grotta di Stenone” in Val di Gresta


Pra da Lac, lo dice il nome, è il fondo di un antico lago. Qui inizia il sentiero per la cosiddetta Ghiacciaia di Stenone. Le rocce su cui si cammina sono i resti della frana del più imponente vulcano del Trentino, che ammontonandosi l’una sull’altra hanno prodotto numerose caverne che d’estate si trasformano in ghiacciaie. Al primo impatto, la forte umidità calda rimanda ai Paesi monsonici, qui attraversata da soffi d’aria gelida.

La cosiddetta “grotta” è stato un importante gradino per la comprensione dei fenomeni fisici studiati e compresi da Steen Neelsen, in arte Niccolò Stenone, ritenuto un padre della geologia, della paleontologia e ...dell’anatomia, la sua vera professione. Un uomo importante per il progresso della Scienza, subito dimenticato “anche” per la grave colpa di aver abbandonato la religione nativa (luteranesimo) per diventare un “papista”. Due anni dopo aver indossato la tonaca il papa lo nomina vescovo titolare della dimenticata sede di Titopoli.

Prendendo fin troppo sul serio (per i tempi in cui viveva) gli obblighi derivati dal nuovo ruolo sociale, il Danese abbandona definitivamente gli studi scientifici (e la Corte dei Medici di Firenze) per dedicarsi anima e corpo al nuovo incarico, professando nelle difficili terre germaniche. I suoi successi - ma soprattutto le sue lettere inviate al Papa, dove inutilmente racconta l’immorale stile di vita del clero cattolico - gli attirano l’invidia dei nani, prelati che con la scusa delle opinioni religiose lo attaccano sul piano personale, gettando l’ombra del dubbio sui suoi meriti scientifici.

In Val di Gresta Stenone getta le basi per lo studio della “scienza alpina”, comprendendo il processo chimico che forma il ghiaccio d’estate, trovando una successiva conferma scendendo nella ghiacciaia del Moncodeno, in Grigna.

Morto all’età di 48 anni a Schwerin, Stenone trova una prima sepoltura in una chiesa luterana. In seguito, Cosimo III di Toscana brigherà (pagando non pochi soldi) per il furtivo trasferimento della spoglia a Firenze, tumulata nella basilica di San Lorenzo, a non molta distanza da un altro vescovo, Paolo Giovio comasco, l’esatto opposto dello Stenone; ma questa è tutta un’altra storia.
In tempi a noi più recenti, Giovanni Paolo II “su invito dei medici e degli scienziati cattolici” lo innalza agli onori di “beato” di Santa Romana Chiesa.

Tutto questo a me pare un buon motivo per tornare di tanto in tanto nella trentina Val di Gresta per rendere omaggio ad uno dei più grandi cervelli dell’umanità, uomo che sebbene animato da una profonda fede mai si lasciò trarre in inganno dai dogmi. Per lui il cuore era soltanto un muscolo e mai la sede del “calore”; il cervello mai avrebbe contenuto l’anima, come altri volevano far credere. E tutto questo Stenone lo ha pure messo nero su bianco, in tempi in cui i roghi erano sempre accesi.

LE FOTOGRAFIE DI
GIANCARLO MAURI