Non sappiamo niente di questa via: né chi l’ha aperta, né quale
difficoltà presenti, ma in tasca abbiamo le certezze dei vent’anni, quindi
niente ci può preoccupare. Trovo lo strapiombo terminale chiodato a pressione.
Dopo quattro o cinque, uno di questi chiodi decide di uscire dal suo buco e per
la prima volta in vita mia esperimento la goduria del volo. La buona sicurezza
del Beppe mi blocca; le mie mani, che automaticamente si sono strette alle
corde per frenare la discesa, sanguinano. Buttiamo giù le doppie. Non male come
esordio. I Corni ci hanno sfidato. Ritorneremo.[1]
Stupidamente considerate di “rango minore” rispetto alle Grigne,
in quegli anni i Corni offrivano un ambiente silenzioso. Nessun picnic ai piedi
delle pareti, nessun cicaleccio sovrapposto al gracchiare delle radioline
sintonizzate su “tutto il calcio minuto per minuto”. Troppo bello!
Tutto questo per dire che il 20 luglio siamo di nuovo qui. Tre mesi prima, cercando l’attacco della Dell’Oro-Maggi avevamo “scoperto” uno spigolo evidentemente già salito. Sulla guida del Saglio (stampata nel 1948) non ne esisteva traccia, quindi ancora una volta seguiamo l’istinto. Sarà la prima di una serie di salite (anche in solitaria, per me) del divertente Spigolo Tessari-Riva al Pilastro.[3]
Tutto questo per dire che il 20 luglio siamo di nuovo qui. Tre mesi prima, cercando l’attacco della Dell’Oro-Maggi avevamo “scoperto” uno spigolo evidentemente già salito. Sulla guida del Saglio (stampata nel 1948) non ne esisteva traccia, quindi ancora una volta seguiamo l’istinto. Sarà la prima di una serie di salite (anche in solitaria, per me) del divertente Spigolo Tessari-Riva al Pilastro.[3]
Ma il vero motivo di questa gita è un altro: vogliamo conoscere il
Corno che precipita sotto i nostri piedi, l’Orientale. Visto dalla SEV
mostra soltanto la sua parte terminale, con un grosso strapiombo a botte,
chiuso all’orizzonte dal profilo di un “naso”. Dalla Bocchetta di Luera
scendiamo alla sua base e ne cominciamo l’esplorazione. Una larga fessura che
sale verso sinistra attira la nostra attenzione: domani la saliremo. Per la
notte, il sacco a pelo steso sull’erba e le stelle come soffitto.
L’inizio della via [4]
non è male: la fessura è formata dalla parete strapiombante e da una scheggia
arrotondata che butta in fuori. Dopo una trentina di metri, in parte fatti col
piede destro nella fessura e l’altro nel vuoto, arrivo a un terrazzino dove
trovo un chiodo. Sopra vi è uno strapiombino e più in alto il chiodo di sosta.
Il Beppe mi raggiunge e mi preparo a ripartire. Nelle manovre tipiche del
momento (passaggio dei moschettoni ricuperati, corde da sbrogliare) la mia
Pentax Spotmatic trova il tempo per volare (e dai che l’è un vizio su ’sti Corni
…). Atterra una quarantina di metri sotto, esplodendo. Giù la doppia. Ricupero
l’obiettivo intatto e il rotolino delle diapositive. Torno a casa mesto, il
portafogli alleggerito (allora il corpo macchina costava 80 mila lire in
Svizzera, 105 mila a Milano …e per me 80 mila lire valevano un mese di lavoro).
[1] Schizzo
della parete alla mano (cfr: L’isola senza nome, pp 408-409), oggi posso
affermare che fino allo strapiombo terminale abbiamo seguito la Via Elvezio -
aperta nel maggio 1965 da Pierlorenzo Acquistapace,
Piero Ravà e Angelo Canali; difficoltà d’insieme: TD sostenuto, difficoltà max
V, A2 - e di essere volato sui chiodi della Via Direttissima Città di Cantù.
[2] Nota anche come Via dei Tre Tetti, è opera di
Darvino Dell’Oro e Dante Maggi (11 agosto 1947). Oggi è data per TD superiore,
con difficoltà max di VI, A2.
[3] Nota
tecnica: Pilastro Maggiore o Gian Maria, spigolo SE, prima ascensione Giorgio
Tessari, Alfonso Riva, 1965; difficoltà max A1, IV.
[4] È il primo tiro della Don
Arturo Pozzi - salita nel luglio 1964 da Giorgio Tessari e Antonio Rusconi; V+, V, A1.
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