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giovedì 28 aprile 2022

27-28 aprile 1945. La cattura e la fucilazione di Roberto Farinacci


La «resistenza» nel vimercatese, una raccolta di scritti edita nel 1975 dal Comitato Unitario Antifascista - Città di Vimercate, propone una doppia lettura politica dei fatti storici (e già scrivere «resistenza» tra virgolette porta a più di una riflessione, allora come oggi): le pagine da 5 a 34 (testo redazionale) e da 37 a 49 (Testimonianze) sono compilate da persone “di sinistra”, così come le pagine da 53 a 77 riportano ad una mano clericale. Comunque sia, ecco le due versioni della cattura e la fucilazione del gerarca Farinacci:

[p. 30]
Dal rapporto della 104a Brigata S.A.P. «Citterio», stralciamo:
«…Verso le ore 7 di venerdì 27 aprile una colonna composta da una sessantina di automezzi fra automobili, autocarri e motocarrozzette, transitava sulla strada provinciale al posto di blocco di Calco, proveniente dalla direzione di Bergamo. Arrivata l’autocolonna all’altezza di Rovagnate, dove era appostato il distaccamento forte di una cinquantina di uomini con mitragliatrici bene appostate, avveniva l’attacco.
Data la forza dell’autocolonna, se ne lasciava sfilare circa i 2/3, e si attaccava la coda con fuoco ben aggiustato, che colpiva l’obiettivo in pieno, provocando perdite notevoli e scompiglio nelle file nemiche.
Alcuni automezzi venivano catturati, altri fuggivano verso Como, mentre le due ultime macchine giravano e ritornavano velocemente nella direzione di Brivio. Al posto di blocco di Calco interveniva la sezione di distaccamento che riusciva a colpire e ad arrestare una grossa vettura Bianchi coi passeggeri, mentre l’altra vettura, una Aprilia, riusciva a proseguire inseguita da una nostra macchina montata da 5 uomini. L’Aprilia, crivellata di colpi, veniva costretta ad arrestarsi all’altezza di Beverate. Su di essa era il gerarca Roberto Farinacci, incolume, la sua accompagnatrice marchesa Medici del Vascello gravemente ferita alla testa, e un maresciallo della G.N.R. già morto. La mattina seguente Farinacci veniva trasferito al comando di Divisione di Vimercate».

[pp. 69-73]
Fra i numerosi atti che si potrebbero ricordare, il fatto più saliente fu la cattura e l’esecuzione sulla piazza Unità d’Italia di Vimercate, di uno dei maggiori responsabili della dittatura fascista: Roberto Farinacci.
Qui l’unica versione documentata sull’arresto del gerarca cremonese, dopo quanto si è scritto e pubblicato in quei giorni e successivamente sull’argomento, rimane quella di chi compì l’arresto della piccola colonna Farinacci a Beverate e ne lasciò una dichiarazione che qui si trascrive:
«Per il grosso comando tedesco di Merate avevamo precedentemente agganciato il comandante delle truppe mongole aggregate ai tedeschi ottenendo l’assicurazione che in caso di combattimento esse si sarebbero senz’altro schierate con noi. Fortunatamente non fu necessario perchè con i tedeschi venne concordato che non sarebbero intervenuti, purché non molestati sino al sopraggiungere delle truppe alleate. Anzi ci furono molto utili perchè furono loro a convincere le colonne dei loro camerati in transito nella nostra zona e arrendersi anziché proseguire per la Germania.
Era curioso assistere allo spettacolo di armatissimi reparti, arrendersi al nostro primo cenno mentre sarebbe bastato poco tempo per loro, grazie alla loro superiorità per annientarci.
Fu invece contro i reparti fascisti in fuga verso Como e provenienti da altre zone, che ci scontrammo più volte subendo, purtroppo, notevoli perdite al bivio di Rovagnate, Brivio, Bulciago ed altrove.
È stato appunto durante l’attacco contro una di queste colonne provenienti dalla provinciale di Bergamo e diretta a Como che venne catturato Roberto Farinacci. La colonna riuscì a forzare a Brivio ed a Calco, trovando notevole resistenza a Rovagnate, Farinacci seguito da una vettura dei più fedeli tentò la fuga in direzione di Lecco abbandonando la colonna.
Mi trovavo in quel momento al bivio di Calco e con vari compagni mi accingevo a dare battaglia alle retroguardie quando, notando le due macchine in fuga, decidemmo di inseguire con una vettura la prima macchina mentre per la seconda sarebbe stato compito di altri miei compagni.
Sparammo alcuni colpi in aria per costringere la macchina, che a forte andatura ci precedeva, a fermarsi; questi aumentarono la velocità e cominciarono a sparare contro di noi. Fu allora che con alcune raffiche costringemmo la vettura con le gomme sfaciate a fermarsi davanti allo stabilimetno Rivetti di Beverate. Sulla vettura oltre che Farinacci alla guida e illeso, trovammo la Marchesa Carla Medici del Vascello, segretaria dei fasci femminili gravemente ferita ed un milite morto. Su una macchina di nostri compagni, sopraggiunta in quel momento, inviammo la Marchesa Medici all’Ospedale di Merate dove, senza riprendere conoscenza, spirò alcuni giorni dopo.
Farinacci fu caricato sulla nostra macchina; arrivati al posto di blocco di Cicognola in Merate si riuscì a telefonare al comando di divisione di Vimercate dove fu ordinato di consegnare il prigioniero.
Non fu possibile consegnare il Farinacci al comando perchè su quelle strade eravamo impegnati con altre formazioni nemiche ed il prigioniero fu trattenuto tutta la notte presso la villa Prinetti di Merate, guardato a vista da me e dal mio Commissario Politico.
Il mattino dopo, sotto buona scorta, venne inviato con un autocarro, al Comando di Vimercate».
La testimonianza di Angelo Gerosa, già Comandante del distaccamento di Merate (104a Brigata Garibaldi-Citterio) permette di chiarire definitivamente le illazioni comparse sui giornali e pubblicate in alcuni libri sulla cattura e le ultime ore di Farinacci.
Nelle prime ore del 27 aprile venne portato dal Comando Partigiano in Comune, con una grande folla che si accalcava nel cortile del Municipio e nell’anticamera del Sindaco.
Qui immediatamente, Sindaco, C.L.N. e Comandanti Partigiani discussero sulla modalità del processo al gerarca fascista. Il Sindaco, appoggiato dal rappresentante della D.C. nel C.L.N., insistette affinchè Farinacci fosse portato a Milano per essere giudicato dal Tribunale Speciale secondo le direttive delle autorità politiche e militari colà costituite, e le norme da tempo emanate dal C.L.N.A.I. (Comitato Liberazione Nazionale Alta Italia).
A tali direttive si oppose il rappresentante P.C. nel C.L.N. Achille Frigerio, appoggiato dal rappresentante del P.S.I., sostenendo che il popolo esigeva giustizia sommaria con un tribunale composto dalle famiglie dei sei caduti Vimercatesi ad Arcore, dai membri del C.L.N. e presieduto dal Sindaco. Il capo dell’amministrazione comunale, che si rifiutò, considerava suo dovere inviare il Farinacci al Tribunale Speciale non per eludere la responsabilità politica e morale di tale presidenza, ma per il rispetto democratico e militare che si dovevano agli ordini ricevuti tassativamente dalle autorità del Comitato Liberazione Nazionale Alta Italia.
Qui avvenne uno scontro verbale violento fra il Sindaco Sirtori ed un Comandante della Divisione «Fiume-Adda», il quale non conoscendo la provenienza del Sindaco dalle file partigiane, credette di poterlo accusare di pusillanimità. Ma avvertito delle attività di Sirtori quale Comandante delle Brigate del Popolo, chiese allora un breve colloquio privato con il Sindaco stesso.
Il Comandante giustificava il processo sommario con il timore che altre colonne nazi-fasciste, ancora attorno a Vimercate, riuscissero a liberare Farinacci, ed il Sindaco allora si offrì, di fronte ai Membri del C.L.N. di portare sotto la sua personale responsabilità, il gerarca fino a Milano o vivo o morto purché mettessero a sua disposizione un automezzo ed un autista.
Prevalse la tesi del giudizio sommario e si istituì un tribunale nella Sala Consigliare, composto dai membri del C.L.N., alcuni rappresentanti delle famiglie dei giovani Vimercatesi caduti, e presieduto da Frigerio Achille.
Parlò il Comandante partigiano accusando il Farinacci di vari reati e di tradimento della Patria.
Rispose Farinacci ricordando i suoi atti eroici compiuti in guerra e la sua fede non mai spenta per l’Italia; dopo di che seguì la sentenza di morte emessa dal Tribunale del Popolo.
Il Sindaco, intervenendo in quel momento nella sala, chiese al Farinacci se, come cattolico, desiderava l’assistenza spirituale di un prete prima dell’esecuzione della sentenza. Ebbe risposta affermativa; non tutti però erano d’accordo di concedere tale assistenza al condannato. Una voce tra la folla gridò: «mandate quell’assassino immediatamente alla fucilazione perchè ai nostri partigiani i fascisti non concedevano il sollievo della presenza del prete».
Don Attilio Bassi, già imprigionato dai fascisti appoggiò vivacemente la richiesta del Sirtori e fendendo con lui la folla nella sala, prese Farinacci e lo spinse nello studio del Sindaco, mentre sulla porta, il Sindaco stesso garantiva ai partigiani che Farinacci sarebbe stato riconsegnato appena terminato il colloquio con il sacerdote.
Farinacci uscì con Don Bassi, al quale si affiancò Don Anselmo Radaelli del Collegio Tommaseo e lo accompagnarono fino alla piazza, scortati dai partigiani che proteggevano Farinacci dalla folla. Qui avvenne la fucilazione.
Questo fatto ebbe vasta risonanza non solo in Vimercate, ma in tutta Italia; giornalisti e cronisti si sbizzarrirono in seguito offrendo diverse versioni che poi qualche scrittore fece proprie. Per queste ragioni ci corre l’obbligo di narrare l’accaduto come testimoni oculari.

* * *

Dal 2012 è in rete un ricordo di don Enrico Assi, vescovo di Cremona dal 1983 al 1992, dove sotto il titolo La cattura e la fucilazione di Farinacci. Testimonianza del vescovo E. Assi, vengono riportate tutte le parole, con integrazioni postume, pubblicate a Vimercate nel 1955 e poi inserite nel libro Cattolici e Resistenza. Testimonianza inedita di un episodio della Brianza (emblematico per l’Alta Italia), scritto dallo stesso Assi e pubblicato da Piemme nel 1985.


Seguendo l’ordine cronologico di edizione, al secondo posto vi è Vimercate nella storia contemporanea 1918-1945, un volume di 212 pagine fatto stampare nel 1985 dal Comune di Vimercate. Anche qui tante le firme redazionali e le collaborazioni, come le firme in calce dimostrano. Restando sul tema della cattura e la fucilazione di Roberto Farinacci, queste le testimonianze riportate:

[198-200]
“(...) il 27 aprile del 1945 è stata una giornata particolarmente dura per i partigiani della provincia di Como, ma anche degna di essere ricordata. Erano circa le ore 15 quando al ponte di Brivio sull’Adda (passaggio obbligato per le colonne dei fascisti provenienti da Cremona, Bergamo e Brescia diretti a Como) il presidio disarmò una colonna fascista facendo un enorme bottino di armi. Poco dopo, un’altra colonna giunse allo stesso punto: era formata da circa 60 automezzi. Il comandante scese da una macchina del seguito e chiese di parlamentare con il comandante partigiano del presidio per ottenere il permesso di transito, esprimendo il suo desiderio di arrendersi ai partigiani di Como qualora tale città fosse caduta sotto il dominio di quest’ultimi. Il comandante partigiano con i suoi diretti collaboratori non avevano nulla di contrario, però la situazione si presentava alquanto difficile in quanto sarebbe stato necessario avvisare i distaccamenti lungo la zona, per non spargere dell’ulteriore sangue. Ottenute le necessarie garanzie, la colonna si avviò. Vi erano automobili di ogni specie, torpedoni carichi di ausiliarie e di militi fascisti, diverse specialità militari del regime, tutti con l’arma in mano e inoltre camion che trainavano cannoncini anticarro. Fra tutto questo materiale rotabile si notavano pure delle lussuose macchine con a bordo alti “papaveri” della repubblichetta, quasi tutti accompagnati da donne non in divisa fascista. In coda l’auto di Farinacci. Ma nessuno di noi, in quel momento se ne accorse, anche perchè non lo conoscevamo.
La colonna fascista giunta a Calco aveva abbandonato la strada statale 36 ed aveva preso la provinciale che porta direttamente a Como. Ma a 5 km Farinacci, a causa di una foratura ad una gomma della sua auto, scendeva e immediatamente requisiva per sè e per i suoi due compagni di viaggio un’altra automobile del seguito. Durante il trasbordo dei passeggeri e delle voluminose valigie, Farinacci fu visto recarsi in un vicino prato ed appiccare fuoco a dei documenti. Proprio in quel momento le auto di coda venivano fatti segno a colpi d’arma, per cui Farinacci, rimontato in auto per l’intuito pericolo, si staccava dalla colonna e ritornava indietro. Nel frattempo fu inviato un gruppo di partigiani, dal comando di Merate al distaccamento di Calco per arrestare quattro fascisti, essi pure fuggiti da una colonna precedente. Proprio nel momento in cui si stava eseguendo l’arresto, notammo una Aprilia mimetizzata che ci sembrò alquanto sospetta. Intimammo l’alt, ma questa, anziché arrestarsi, aumentò la velocità. Ci mettemmo all’inseguimento sparando qualche colpo in aria a scopo intimidatorio, ma l’auto continuò la sua pazza corsa. Visto l’impossibilità di fermarla indirizzammo qualche scarica di mitra alle gomme e poi anche all’interno. L’auto sbandò e si arrestò a pochi metri dalla portineria dello Stabilimento di tessitura Rivetti nella frazione di Beverate. Frazione di secondi ci separò dal suo arresto al nostro arrivo. In quel momento si aprì la porta della portineria dello Stabilimento ma si richiuse subito, forse spaventati dalla presenza di uomini armati.
Con discrezione ci avvicinammo all’auto occupata da ignoti, ma nessuno si fece vivo. Poi ad un tratto scese un uomo e venne verso di noi sempre tenendo una mano in tasca. Ciò ci insospettì: l’arrestato poteva da un momento all’altro estrarre un’arma e spararci addosso, dato che non aveva più scampo. Ad un certo momento l’uomo, visibilmente spaventato, si rassegnò a quella che sembrava essere ormai la sua sorte: estrasse la mano di tasca, era di legno, si presentò gravemente, come se quello che doveva rivelare gli pesasse enormemente sulla coscienza e disse: sono Farinacci. Nessuno di noi lo conosceva, ma da un documento preso dalla sua auto confermò quanto quell’uomo valeva per la nostra Brigata.
Nell’Aprilia del gerarca vi era uno sconosciuto privo di qualsiasi documento il quale era morto nello scontro a fuoco.
Nel sedile posteriore giaceva una donna gravemente ferita da due pallottole di mitra alla testa: era la Marchesa Carla Medici del Vascello, amante di Farinacci, segretaria dei fasci femminili. Essa morì dopo 18 giorni di agonia all’ospedale di Merate. Dopo un accordo preventivo con il conte Prinetti di Merate fu deciso di nascondere il prigioniero nella sua villa. Colà giunto, il conte lo ricevette come un ospite di riguardo, cosa che riempì noi partigiani di meraviglia ma più che altro di sdegno: ancor più ci stupimmo quando il conte ci raccomandò di usare il maggior riguardo per il gerarca fascista. Si ebbe la risposta che si meritava senza usare termini villaneschi ma duri. Lasciato il prigioniero in buone mani, con la presenza del commissario politico, il quale saputo dell’arresto giunse poco dopo, ci recammo presso il nostro comando per assumere altri impegni che ci attendevano.
Farinacci fu interrogato per tutta la notte dal Chiessi, commissario di Brigata.
Egli disse che era, da diverso tempo, in contrasto con la politica del Duce e per tanto si sarebbe commesso un grave errore uccidendo uno dei promotori della caduta del fascismo. La mattina del giorno seguente, 28 aprile 1945, Farinacci fu condotto al Comando di Divisione di Vimercate”. (Orfeo Gagliardini)

Il Comando Generale del C.L.N.A.I. aveva da tempo stabilito che i gerarchi fascisti, colpevoli di aver condotto l’Italia alla guerra e alla rovina, erano stati condannati, con voto unanime, alla pena capitale.
I criminali fascisti dovevano essere portati alla sede regionale del C.L.N.A.I., procedura da considerarsi nulla qualora sorgessero gravi problemi per il trasporto del colpevole. In tal caso si dava ampia facoltà decisionale ai Comandi divisionali partigiani. “(...) secondo quanto stabilito Farinacci andava condotto a Milano; mentre si esaminavano le modalità del trasporto, giunse notizia che le vie d’accesso al capoluogo erano percorse da colonne tedesche in ritirata. Per tale motivo il C.L.N. locale stabilì di procedere all’esecuzione del gerarca, in base alla condanna a morte già emessa, dopo averlo processato di fronte ad una giuria popolare”. (Orfeo Gagliardini)

Il processo durò circa un’ora; alle accuse delle atrocità da lui commesse e perpetrate in suo nome, dal 1925 in poi quando cioè ricopriva la carica di Segretario del P.N.F., Farinacci rispose sostenendo che da quel momento era uscito dai quadri dirigenti del regime ed esaltando i suoi presunti atti eroici compiuti nella guerra d’Africa. Terminato il dibattimento, venne data lettura della sentenza emessa dal tribunale del popolo:

Vimercate, 28 aprile 1945
Dopo aver consultato la Giuria, sentita l’accusa e la difesa del teste viene decretata la pena di morte mediante fucilazione alla schiena immediata del famigerato Roberto Farinacci.
IL PRESIDENTE DEL TRIBUNALE DEL POPOLO
Achille Frigerio

“(...) dopo aver ascoltato la sentenza emessa dal Tribunale, Farinacci chiese di poter scrivere una lettera alla figlia: facoltà che gli venne accordata. La sua paura era tanta da non riuscire a tenere la penna tra le dita. Ricevuti i conforti religiosi da Don Attilio Bassi, Farinacci uscì dal Municipio accompagnato dallo stesso sacerdote e da Don Anselmo Radaelli, del Collegio Tommaseo. Mentre i partigiani faticosamente mantenevano l’ordine nella piazza gremita di folla, Farinacci fu condotto di fronte al muro della attuale CARIPLO e alle 9,20 venne dato luogo alla sentenza. Un attimo prima gridò: - Viva l’Italia! -”. (Pasquale Mondonico)


Il terzo volume, Ribelli per Amore della Libertà, porta la firma di Carlo Levati, “il partigiano Tom del 1° distaccamento della 103a Brigata Garibaldi, unico sopravvissuto tra i condannati a morte dal regime per l’attacco al campo di aviazione di Arcore.” A lui cedo la parola:

[99-100]
Il 27 aprile la 104a Brigata catturava una colonna fascista in fuga verso la Svizzera, con al seguito nientemeno che il numero due del fascismo, il fascistissimo Roberto Farinacci. Il gerarca viaggiava assieme alla marchesa Carla Medici del Vascello (segretaria dei fasci femminili e sua intima), su una Aprilia mimetizzata: auto che venne fermata da una sventagliata di mitra, presso Beverate (Como).
Farinacci venne portato a Merate, dove trascorse la notte nella villa del Conte Prinetti; il mattino seguente, il 28 aprile, fu condotto al comando di divisione di Vimercate.
A questo punto va ricordato che il CLN Alta Italia aveva da tempo stabilito la pena di morte per i maggiori responsabili del fascismo. I criminali fascisti dovevano essere portati alla sede regionale del CLNAI, procedura da considerarsi nulla qualora sorgessero gravi problemi per il trasporto del colpevole; in tal caso si dava ampia facoltà decisionale ai Comandi Divisionali Partigiani.
Così, siccome le vie d’accesso a Milano erano percorse da numerose colonne tedesche in ritirata, si decise di procedere all’esecuzione del gerarca, dopo averlo processato di fronte a una giuria popolare.
Il processo avvenne nella sala del Consiglio Comunale. Il pubblico accusatore era Achille Frigerio, del CLN locale.
I giurati erano i familiari dei partigiani fucilati ad Arcore, presidente del Tribunale era l’avvocato Carlo Tolla di Vimercate. Il Farinacci tentò di difendersi dicendo che lui era dal 1926 che non aveva più niente a che fare col fascismo.
Il condannato venne condotto in piazza Unità d’Italia accompagnato da don Attilio Bassi e da don Anselmo Radaelli del Collegio Tommaseo; dopo il conforto religioso venne passato per le armi. Tale era l’esasperazione della popolazione, così duramente provata dalla guerra e dalle violenze dei nazifascisti, che inveì anche contro il cadavere e a stento la si poteva trattenere. Appena fu possibile, gli uomini del servizio d’ordine scortarono il corteo funebre al Cimitero, onde evitare inconvenienti.

* * *

Chiudo questa mia carrellata - volutamente basata su testi scritti da testimoni dei fatti narrati - con una puntualizzazione: sebbene la condanna a morte prevedesse la fucilazione alla schiera (un dettaglio che rinvia alla fucilazione dei giovani partigiani vimercatesi al campo d’aviazione di Arcore), una fotografia mostra l’esatto contrario. Voci non confermate dai testi qui sopra proposti vogliono che due volte Farinacci venne messo col volto rivolto al muro e due volte il gerarca si voltò mostrando il petto. La stessa narrazione vuole che, intuito il gesto, la prima volta il plotone sparò in aria, la seconda al condannato.

Alle immagini d’epoca aggiungo alcuni miei scatti, dove si può vedere la porta al piano terra di Palazzo Trotti da cui fu fatto uscire Farinacci diretto al luogo dell’esecuzione. Quel muro, ben presente nella mia memoria, fu poi abbattuto alla fine degli anni ’50 per far posto ad una filiale della CARIPLO, una banca a suo tempo considerata un ricco “feudo della Democrazia cristiana”.