La Stampa
del 24 settembre 2013 rende noto il fallito tentativo di salita sull’Elbrus da parte del catalano
Kilian Jornet, uomo indubbiamente di grandi capacità tecniche, un
professionista dello skyrunning impegnato
nella realizzazione del Summit of My Life.
Sottolineo professionista perché non è poca la differenza tra chi come lui sale
di corsa - solitario, alimentato, energicizzato e debitamente allenato da una équipe di specialisti - e i comuni mortali
amanti delle salite sui monti “fai da te”.
Kilian dichiara che dopo due ore e 45 minuti di corsa, arrivato a 5300
metri di quota, causa il maltempo ha desistito: la vita è un bene e l’Elbrus sarà
ancora al suo posto nei prossimi anni.
Tutto questo mi ha riportato alla mia ascensione, agosto 1979, con un
tozzo di pane, dell’acqua e forse della cioccolata nello zaino, abiti da
alpinista, pesanti scarponi di cuoio ai piedi.
Ho riportato alla luce il mio cahier
des doleances e ho riletto le mie note “sul campo”, che riepilogo:
1) la spedizione alpinistica
internazionale Kavkaz ’79,
organizzata dal Ministero dello Sport dell’URSS e ospitante alpinisti provenienti da Italia, Francia, Polonia, Germania Orientale e Cecoslovacchia si è
svolta dal 29 luglio al 21 agosto 1979. Ovviamente, ognuna di queste nazioni aveva
nominato un proprio responsabile (io per l’Italia), ma una volta a Camp Asau,
2350 m, le autorità russe hanno chiesto un solo interlocutore, responsabile di
tutte e cinque le nazioni partecipanti. Con grazia mista a furbizia,
all’unanimità sono stato eletto “imperatore” e con questa nuova responsabilità
ho dovuto smazzarmi tutte le inutili quanto insistenti necessità burocratiche
imposte dai padroni di casa.
2) Dopo un breve periodo di
acclimatamento, sempre sotto tutela delle guide russe, il 3 agosto da Camp Asau
salgo al rifugio Priut Adinist (Undici Alpinisti), struttura metallica cilindriforme costruita a quota 4163 metri. Mi accompagnano alcuni alpinisti del mio gruppo.
3) Il giorno dopo, 4 agosto, il cielo
è blu cobalto, le due vette dell’Elbrus - l’Orientale (5621 m) e l’Occidentale
(5642 m) - pare ci vengano incontro. Ma la rigida disciplina imposta dai sovietici
impone l’obbligo di una gita di acclimatazione alle Roccette Pastuhoff. Ci viene
proibito di calzare i ramponi e di portare le piccozze: non capiamo, ma ci adeguiamo.
A fare il passo è Vladimir Piestov, professore d’ingegneria meccanica
all’Università di Leningrado (nel 1979 si chiamava ancora così) nonché Maestro
dello Sport. Partiti alle 8:20, con passo cadenzato ci alziamo e alle 9:35
siamo alle Roccette Pastuhoff, 4800 m circa. Vladimir è contento e annuncia che
si può iniziare la discesa. Io non ci sto: il cielo rimane blu - cosa che mi
dicono sia molto, ma molto, ma molto rara: l’Elbrus è celebre per le violente
bufere che avvolgono la sua parte sommitale - e la vetta “facile”,
l’Occidentale, è lì che pare toccarla col dito. Disubbidisco - sono o non sono
stato eletto “imperatore”? - e invito il brianzolo Faustino a tentare con me
l’ascensione a quella vetta. Vladimir protesta (si vede già a insegnare in un gulag). Alle 9:50 io e Faustino
partiamo, a ritmo più elevato: il nostro. A quota 5000 m (le quote le rilevo
dal mio altimetro Thommen 8000) troviamo delle cordate russe che rientrano
sconfitte: troppo ghiaccio ricopre la parete terminale della vetta Orientale,
la più bassa ma decisamente la più “cattiva” delle due. Scatto delle foto a
quota 5110 m, mi faccio riprendere a quota 5250 metri, riscatto altre foto.
Alle 12:30 siamo ad un bivacco fisso, un canile metallico inutilizzabile perché
sommerso dalla neve, a quota 5415 metri. Alle 12:50 siamo alla forcella tra le
due vette: a destra si drizza la parete sommitale della Est, rocciosa e ricoperta
da verglass; a sinistra vi è il
ripido pendio nevoso della Ovest. Siamo senza piccozze e senza ramponi, quindi
scegliamo la via più facile. A quota 5540 m, di fronte ad una placca di
ghiaccio verdastro, desistiamo e iniziamo la discesa. Il nostro arrivo al Priut
Adinist viene salutato con gioia da Vladimir (siamo vivi, quindi il gulag si è allontanato) e dagli
alpinisti russi presenti, che mostrano meraviglia per la rapidità con cui siamo
saliti, senza adeguata attrezzatura, dalle Pastuhoff in poi. Dopo il briefing serale, dove imposto il
programma per il giorno seguente, vengo avvicinato da Vladimir e da due giovani
russe, Irina e Tania. Vladimir m’informa che le due ragazze stanno cercando di
ottenere il diploma di Maestro dello Sport e che la salita dell’Elbrus
Orientale fornirà loro il punteggio utile a chiudere il corso e ottenere
l’ambito diploma. Mi chiede: accetti di assumerti la responsabilità di unirle a
noi, portandole in vetta? Cambio le carte, ricompongo le cordate italiane e ricreo
la mia: domani salirò in compagnia di Tania, di Irina e di Wladimir. Partenza
alle ore 4:00.
4) La sveglia del mio orologio suona
alle 3; i miei compagni di camerata, italiani, dichiarano che non sono
disponibili, rifiutando di seguirmi. Chiedo loro di restare al Priut Adinist,
per completare l’acclimatazione. Alle 4, fuori del Priut, ci siamo io, i tre
russi, Faustino e Francesco. La temperatura è barbara. Accendiamo le frontali e
partiamo, lasciando a Vladimir il compito di fare il passo. Neve dura, pendenza
sui 60 gradi, ramponi calzati. Alle 5:30 siamo alle Pastuhoff, dove sostiamo
per 15 minuti (tradizione russa, acc...); alle 7:45 siamo al bivacco;
ripartiamo alle 7:50 puntando alla forcella. Nel frattempo il tempo si è rapidamente
volto al brutto: la forcella è avvolta dalle nebbie, tira un vento siberiano,
le placche rocciose sono verdi di ghiaccio. Mi consulto coi russi e con i due
italiani, poi decido: autorizzo Faustino e Francesco a tentare di salire l’Elbrus
Ovest, io e i tre russi attacchiamo la vetta orientale. Dal colle in poi passo in
testa e guido la cordata. Alle 9:00 siamo tutti in vetta, 5621 metri. Il vento
è terribile e tutti ci sdraiamo al suolo per non essere “strappati”. Scatto
delle foto “orizzontali” alle amiche russe, poi preparo la macchina e chiedo ad
Irina di essere rapida nel farmi la foto ricordo: veloce balzo in piedi vicino
alla bandiera rossa e Irina - sdraiata sul dorso - esegue lo scatto. Adesso si
tratta di scendere. Non ci sono corde fisse, né è possibile fare delle doppie.
Assicuro i tre, poi è la mia volta di calarmi arrampicando sugli specchi per
quasi 200 metri di dislivello. Alla forcella troviamo un uomo aggrappato alla
roccia, in evidente stato di ipotermia. Lo prendiamo con noi e sempre
ostacolati dalla bufera scendiamo a tentoni in direzione delle Pastuhoff e da
lì al Priut Adinist, splendente sotto il caldo sole d’agosto! I russi prendono
in consegna l’assiderato compagno, Irina, Tania e Vladimir raccontano la nostra
salita e discesa nella bufera. Più tardi rientrano anche Francesco e Faustino,
che mi dicono d’essere arrivati sulla vetta Ovest, 5642 m. Ma non è tempo di regali:
per la fitta nebbia e per il vento gelido 8 alpinisti russi mancano all’appello
e i loro superstiti compagni raccontano di cadute nei crepacci.
5) La mattina del 5 agosto una forte
nevicata ci impedisce di organizzare la ricerca degli alpinisti morti o
dispersi. Dispongo di lasciare il Priut ai russi e di scendere a valle.
6) Ripreso dall’oblio il mio taccuino
di quei giorni, scarno in verità, ho passato allo scanner le due pagine - una
scritta in loco, l’altra a casa - dove ho riepilogato i tempi di salita, soste
escluse: 4h e 25 minuti il giorno 4 (tentativo alla Ovest), 4h e 40 min per la
salita all’Elbrus Est, in piena bufera.
Epilogo: due giorni dopo, mandando a quel paese il direttore di Camp
Asau, che mi proibisce di lasciare il rifugio per raggiungere il territorio dei
“pericolosi Suani, ladri e assassini”, metto lo zaino in spalla e seguito da
pochi fidati valico la catena del Caucaso, passando dal suo versante europeo a
quello asiatico. Seguendo vecchie piste, scivolando tra seracchi e crepacci e
camminando sul pericolosissimo letto ghiacciato di un fiume, il 9 agosto arrivo
al villaggio di Mèstia, capoluogo della popolazione Suana. Ma questa è tutta
un’altra storia, da me raccontata in numerose conferenze illustrate da slides.
Terminata la campagna alpinistica - con importanti “prime” su pareti
inviolate - una volta rientrati a Mosca, su pressione degli alpinisti polacchi,
cekz e tedeschi DDR, il Ministro dello Sport mi ha fatto dono del distintivo di
Alpinist URSS ad honorem. Ho ringraziato, ho risposto alle domande dell’intervistatore di
Radio Mosca, poi …sono sfuggito a tutte le preventivate visite “ufficiali” -
con guida e interprete - vagando per la città in compagnia delle forti
alpiniste polacche Anna Okopinska e Halina
Kruger-Syrokomska, la prima cordata femminile ad aver salito un Ottomila in
stile alpino (“siamo diventate un’icona del movimento lesbico della California”
mi ha detto un giorno Anka, scherzandoci sopra ma non troppo: lei viveva in un
Paese socialista, non negli USA…). Gli anni sono passati e Anka mi è sempre rimasta
amica, con numerosi soggiorni a casa mia. Halina è morta nel 1982 a causa di un
edema polmonare mentre con Anka tentava la prima femminile al K2. La rivedo alla
stazione ferroviaria di Mosca, dove l’avevo accompagnata al treno per Varsavia:
uno zaino pesante e gli scarponi (tedeschi DDR) ai piedi con le suole staccate,
tenute unite alla tomaia da lacci per scarpe… Conservo la sua ultima cartolina
“non ufficiale” inviatami da Skardu, che ritrae Anka sulla vetta del G2, 8032
metri. È in allegato: guardate l’abbigliamento …e dovrebbe bastare per capire
di che tempra erano fatti i “poveri” alpinisti polacchi.
Il Priut Adinist,
distrutto da un incendio nell’estate del 1998, è stato sostituito da una nuova
e più moderna struttura nota come Capanna Diesel o Maria.
© Testo e fotografie di Giancarlo Mauri
(da slides Kodakhrome)
(da slides Kodakhrome)
Valle di Adyl-Su
Bjedù, 4272 m (NE) |
Donguzorum (4452) e Nakra (3805) |
Germoghianov (3993), Ullù-Karà (4302), Passo Kashkatask (3770), versanti NO |
Giantugam (4277) e Germoghianov (3993) |
Volnaia Espagna (4200), Bjedù (4272) da NE |
Elbrus
Priut Adinist, 4163 m |
Elbrus Ovest (5642 m), Est (5621 m) |
Tania, Vladimir e Irina sulla vetta dell'Elbrus Orientale |
Gcm, Irina e Vladimir sulla vetta dell'Elbrus Orientale |
sulla vetta dell'Elbrus Orientale, 5621 m |
Anna Okopińska |