lunedì 2 febbraio 2015

Kavzaz '79 - Elbrus e Svanezia


La Stampa del 24 settembre 2013 rende noto il fallito tentativo di salita sull’Elbrus da parte del catalano Kilian Jornet, uomo indubbiamente di grandi capacità tecniche, un professionista dello skyrunning impegnato nella realizzazione del Summit of My Life. Sottolineo professionista perché non è poca la differenza tra chi come lui sale di corsa - solitario, alimentato, energicizzato e debitamente allenato da una équipe di specialisti - e i comuni mortali amanti delle salite sui monti “fai da te”.
Kilian dichiara che dopo due ore e 45 minuti di corsa, arrivato a 5300 metri di quota, causa il maltempo ha desistito: la vita è un bene e l’Elbrus sarà ancora al suo posto nei prossimi anni.

Tutto questo mi ha riportato alla mia ascensione, agosto 1979, con un tozzo di pane, dell’acqua e forse della cioccolata nello zaino, abiti da alpinista, pesanti scarponi di cuoio ai piedi.
Ho riportato alla luce il mio cahier des doleances e ho riletto le mie note “sul campo”, che riepilogo:
1) la spedizione alpinistica internazionale Kavkaz ’79, organizzata dal Ministero dello Sport dell’URSS e ospitante alpinisti provenienti da Italia, Francia, Polonia, Germania Orientale e Cecoslovacchia si è svolta dal 29 luglio al 21 agosto 1979. Ovviamente, ognuna di queste nazioni aveva nominato un proprio responsabile (io per l’Italia), ma una volta a Camp Asau, 2350 m, le autorità russe hanno chiesto un solo interlocutore, responsabile di tutte e cinque le nazioni partecipanti. Con grazia mista a furbizia, all’unanimità sono stato eletto “imperatore” e con questa nuova responsabilità ho dovuto smazzarmi tutte le inutili quanto insistenti necessità burocratiche imposte dai padroni di casa.
2) Dopo un breve periodo di acclimatamento, sempre sotto tutela delle guide russe, il 3 agosto da Camp Asau salgo al rifugio Priut Adinist (Undici Alpinisti), struttura metallica cilindriforme costruita a quota 4163 metri. Mi accompagnano alcuni alpinisti del mio gruppo.
3) Il giorno dopo, 4 agosto, il cielo è blu cobalto, le due vette dell’Elbrus - l’Orientale (5621 m) e l’Occidentale (5642 m) - pare ci vengano incontro. Ma la rigida disciplina imposta dai sovietici impone l’obbligo di una gita di acclimatazione alle Roccette Pastuhoff. Ci viene proibito di calzare i ramponi e di portare le piccozze: non capiamo, ma ci adeguiamo. A fare il passo è Vladimir Piestov, professore d’ingegneria meccanica all’Università di Leningrado (nel 1979 si chiamava ancora così) nonché Maestro dello Sport. Partiti alle 8:20, con passo cadenzato ci alziamo e alle 9:35 siamo alle Roccette Pastuhoff, 4800 m circa. Vladimir è contento e annuncia che si può iniziare la discesa. Io non ci sto: il cielo rimane blu - cosa che mi dicono sia molto, ma molto, ma molto rara: l’Elbrus è celebre per le violente bufere che avvolgono la sua parte sommitale - e la vetta “facile”, l’Occidentale, è lì che pare toccarla col dito. Disubbidisco - sono o non sono stato eletto “imperatore”? - e invito il brianzolo Faustino a tentare con me l’ascensione a quella vetta. Vladimir protesta (si vede già a insegnare in un gulag). Alle 9:50 io e Faustino partiamo, a ritmo più elevato: il nostro. A quota 5000 m (le quote le rilevo dal mio altimetro Thommen 8000) troviamo delle cordate russe che rientrano sconfitte: troppo ghiaccio ricopre la parete terminale della vetta Orientale, la più bassa ma decisamente la più “cattiva” delle due. Scatto delle foto a quota 5110 m, mi faccio riprendere a quota 5250 metri, riscatto altre foto. Alle 12:30 siamo ad un bivacco fisso, un canile metallico inutilizzabile perché sommerso dalla neve, a quota 5415 metri. Alle 12:50 siamo alla forcella tra le due vette: a destra si drizza la parete sommitale della Est, rocciosa e ricoperta da verglass; a sinistra vi è il ripido pendio nevoso della Ovest. Siamo senza piccozze e senza ramponi, quindi scegliamo la via più facile. A quota 5540 m, di fronte ad una placca di ghiaccio verdastro, desistiamo e iniziamo la discesa. Il nostro arrivo al Priut Adinist viene salutato con gioia da Vladimir (siamo vivi, quindi il gulag si è allontanato) e dagli alpinisti russi presenti, che mostrano meraviglia per la rapidità con cui siamo saliti, senza adeguata attrezzatura, dalle Pastuhoff in poi. Dopo il briefing serale, dove imposto il programma per il giorno seguente, vengo avvicinato da Vladimir e da due giovani russe, Irina e Tania. Vladimir m’informa che le due ragazze stanno cercando di ottenere il diploma di Maestro dello Sport e che la salita dell’Elbrus Orientale fornirà loro il punteggio utile a chiudere il corso e ottenere l’ambito diploma. Mi chiede: accetti di assumerti la responsabilità di unirle a noi, portandole in vetta? Cambio le carte, ricompongo le cordate italiane e ricreo la mia: domani salirò in compagnia di Tania, di Irina e di Wladimir. Partenza alle ore 4:00.
4) La sveglia del mio orologio suona alle 3; i miei compagni di camerata, italiani, dichiarano che non sono disponibili, rifiutando di seguirmi. Chiedo loro di restare al Priut Adinist, per completare l’acclimatazione. Alle 4, fuori del Priut, ci siamo io, i tre russi, Faustino e Francesco. La temperatura è barbara. Accendiamo le frontali e partiamo, lasciando a Vladimir il compito di fare il passo. Neve dura, pendenza sui 60 gradi, ramponi calzati. Alle 5:30 siamo alle Pastuhoff, dove sostiamo per 15 minuti (tradizione russa, acc...); alle 7:45 siamo al bivacco; ripartiamo alle 7:50 puntando alla forcella. Nel frattempo il tempo si è rapidamente volto al brutto: la forcella è avvolta dalle nebbie, tira un vento siberiano, le placche rocciose sono verdi di ghiaccio. Mi consulto coi russi e con i due italiani, poi decido: autorizzo Faustino e Francesco a tentare di salire l’Elbrus Ovest, io e i tre russi attacchiamo la vetta orientale. Dal colle in poi passo in testa e guido la cordata. Alle 9:00 siamo tutti in vetta, 5621 metri. Il vento è terribile e tutti ci sdraiamo al suolo per non essere “strappati”. Scatto delle foto “orizzontali” alle amiche russe, poi preparo la macchina e chiedo ad Irina di essere rapida nel farmi la foto ricordo: veloce balzo in piedi vicino alla bandiera rossa e Irina - sdraiata sul dorso - esegue lo scatto. Adesso si tratta di scendere. Non ci sono corde fisse, né è possibile fare delle doppie. Assicuro i tre, poi è la mia volta di calarmi arrampicando sugli specchi per quasi 200 metri di dislivello. Alla forcella troviamo un uomo aggrappato alla roccia, in evidente stato di ipotermia. Lo prendiamo con noi e sempre ostacolati dalla bufera scendiamo a tentoni in direzione delle Pastuhoff e da lì al Priut Adinist, splendente sotto il caldo sole d’agosto! I russi prendono in consegna l’assiderato compagno, Irina, Tania e Vladimir raccontano la nostra salita e discesa nella bufera. Più tardi rientrano anche Francesco e Faustino, che mi dicono d’essere arrivati sulla vetta Ovest, 5642 m. Ma non è tempo di regali: per la fitta nebbia e per il vento gelido 8 alpinisti russi mancano all’appello e i loro superstiti compagni raccontano di cadute nei crepacci.
5) La mattina del 5 agosto una forte nevicata ci impedisce di organizzare la ricerca degli alpinisti morti o dispersi. Dispongo di lasciare il Priut ai russi e di scendere a valle.
6) Ripreso dall’oblio il mio taccuino di quei giorni, scarno in verità, ho passato allo scanner le due pagine - una scritta in loco, l’altra a casa - dove ho riepilogato i tempi di salita, soste escluse: 4h e 25 minuti il giorno 4 (tentativo alla Ovest), 4h e 40 min per la salita all’Elbrus Est, in piena bufera.

Epilogo: due giorni dopo, mandando a quel paese il direttore di Camp Asau, che mi proibisce di lasciare il rifugio per raggiungere il territorio dei “pericolosi Suani, ladri e assassini”, metto lo zaino in spalla e seguito da pochi fidati valico la catena del Caucaso, passando dal suo versante europeo a quello asiatico. Seguendo vecchie piste, scivolando tra seracchi e crepacci e camminando sul pericolosissimo letto ghiacciato di un fiume, il 9 agosto arrivo al villaggio di Mèstia, capoluogo della popolazione Suana. Ma questa è tutta un’altra storia, da me raccontata in numerose conferenze illustrate da slides.
Terminata la campagna alpinistica - con importanti “prime” su pareti inviolate - una volta rientrati a Mosca, su pressione degli alpinisti polacchi, cekz e tedeschi DDR, il Ministro dello Sport mi ha fatto dono del distintivo di Alpinist URSS ad honorem. Ho ringraziato, ho risposto alle domande dell’intervistatore di Radio Mosca, poi …sono sfuggito a tutte le preventivate visite “ufficiali” - con guida e interprete - vagando per la città in compagnia delle forti alpiniste polacche Anna Okopinska e Halina Kruger-Syrokomska, la prima cordata femminile ad aver salito un Ottomila in stile alpino (“siamo diventate un’icona del movimento lesbico della California” mi ha detto un giorno Anka, scherzandoci sopra ma non troppo: lei viveva in un Paese socialista, non negli USA…). Gli anni sono passati e Anka mi è sempre rimasta amica, con numerosi soggiorni a casa mia. Halina è morta nel 1982 a causa di un edema polmonare mentre con Anka tentava la prima femminile al K2. La rivedo alla stazione ferroviaria di Mosca, dove l’avevo accompagnata al treno per Varsavia: uno zaino pesante e gli scarponi (tedeschi DDR) ai piedi con le suole staccate, tenute unite alla tomaia da lacci per scarpe… Conservo la sua ultima cartolina “non ufficiale” inviatami da Skardu, che ritrae Anka sulla vetta del G2, 8032 metri. È in allegato: guardate l’abbigliamento …e dovrebbe bastare per capire di che tempra erano fatti i “poveri” alpinisti polacchi.

Il Priut Adinist, distrutto da un incendio nell’estate del 1998, è stato sostituito da una nuova e più moderna struttura nota come Capanna Diesel o Maria.

© Testo e fotografie di Giancarlo Mauri
(da slides Kodakhrome)

Valle di Adyl-Su
Bjedù, 4272 m (NE)

Donguzorum (4452) e Nakra (3805)

Germoghianov (3993), Ullù-Karà (4302),
Passo Kashkatask (3770), versanti NO

Giantugam (4277) e Germoghianov (3993)

Volnaia Espagna (4200), Bjedù (4272) da NE

Elbrus
Priut Adinist, 4163 m

Elbrus Ovest (5642 m), Est (5621 m)

Tania, Vladimir e Irina sulla vetta dell'Elbrus Orientale

Gcm, Irina e Vladimir sulla vetta dell'Elbrus Orientale

sulla vetta dell'Elbrus Orientale, 5621 m

Anna Okopińska

Anna Okopińska sul G2 (sullo sfondo il K2)