venerdì 10 luglio 2015

Picasso a Céret, 1913


1913. Al 242 di boulevard Raspail Picasso non resiste molto, tanto che nei primi mesi dell’anno è costretto a nuovo trasloco, questa volta in una casa moderna nella vicina rue Schoelcher, al numero 5 bis. L’appartamento è comodo, lo studio è luminoso.
Nel frattempo, il prezioso lavoro di Kahnweiler produce i suoi frutti: il 17 febbraio a New York s’inaugura una mostra destinata a far conoscere l’arte europea e Picasso è presente con sei tele, un disegno e un bronzo. In seguito questa mostra si trasferisce a Chicago e a Boston. In contemporanea Kahnweiler organizza altri due avvenimenti: una retrospettiva di Picasso da Thannhauser a Monaco, con 76 pitture, 38 acquarelli disegni e incisioni, mentre all’Armory Show di New York sono esposte 8 opere di Picasso. Il mondo gli si apre davanti, la firma Picasso è nota dovunque.

Eva è sempre più ammalata - tossisce in continuazione – ed è questa la ragione che spinge Picasso a lasciare precocemente Parigi, l’11 di marzo, per affrontare il suo terzo viaggio a Céret, villaggio che gode della brezza vivificante dei Pirenei. Inoltre, l’aver firmato il 18 dicembre 1912 un contratto formale con Kahnweiler per la vendita dei suoi quadri lo libera dagli impegni commerciali, permettendogli di allontanarsi da quel campo di battaglia che è diventato Parigi – e non solo in ambito artistico: i suoi vicini di casa, che hanno bambini, gli hanno fatto sapere di non gradire la presenza di Eva, chiaramente ammalata di tubercolosi. E poi a Céret quest’anno non vi è l’incubo Fernande – di cui Picasso non ha più avuto notizia - quindi i due innamorati possono vivere in pace. Il giorno 22 Eva scrive a Gertrude Stein che «c’è un tempo superbo e ci siamo sistemati».
L’11 aprile Picasso scrive a Kahnweiler: «Max deve venire a Céret. Puoi avere la cortesia di dargli dei soldi per il viaggio e per le sue spese personali? Metti tutto a mio carico.» Max Jacob è l’amico che tra il 1902 e il 1903, l’apice del momento di estrema povertà di Pablo, l’aveva accolto nella sua stanzetta all’87 di boulevard Voltaire ...e seppur crescendo in notorietà e ricchezza, Picasso mai dimentica gli amici che hanno condiviso la fame e il freddo con lui. Inoltre, da un po’ di tempo Max, ebreo per nascita, ha cominciato ad avere visioni mistiche - vede il Cristo ovunque -  e questo sconvolge il suo equilibrio psico-fisico: una buona ragione in più per averlo vicino, regalandogli una vacanza a Céret.
La presenza di Eva e dell’amico influiscono sullo sviluppo artistico di Picasso e il tono festivo e allegro del papier-collé che ha per tema Céret ne è la prova: «Un bambino non arriva mai a quell’ingenuità primordiale che qui raggiunge Picasso e che riesce a contagiarci. Queste Case di Céret danzano» scrive Palau I Fabre nel secondo volume della sua biografia artistica di Picasso.

Case di Céret, estate 1913

Il 5 maggio Picasso, che ha lasciato il villaggio per un breve viaggio a Barcellona, scrive a Kahnweiler: «Le comunico la morte di mio padre, mancato la mattina di sabato scorso. Può immaginare in che stato mi trovo.» Nove giorni dopo Eva scrive a Gertrude Stein: «Spero che Pablo riprenda il lavoro, poiché soltanto questo può fargli dimenticare un po’ la sua tristezza.»
Il 2 giugno Max Jacob informa Apollinaire che «Eva è molto malata; angine continue la costringono a letto da otto giorni.» La stessa lettera contiene anche questa bizzarra descrizione: «Céret è una piccola città ai piedi dei Carpazi o Karpazi. La popolazione va dai cinquecento ai diecimila mila abitanti approssimativamente. Il numero ridotto degli abitanti è senza dubbio dovuto all’abbondanza di pederasti e di erotomani che si limitano a riempire i caffè.»
In un’altra lettera diretta ad Apollinaire, Max scrive di aver fatto un’escursione di pochi giorni (dall’11 al 15 giugno) a Figueras e a Girona con Pablo ed Eva e di essere andato a vedere una corrida, aggiungendo: «la Spagna è un paese quadrato e fatto di angoli.» Come a dire: è un Paese per sua natura cubista.
Dopo questo viaggio di distrazione, Picasso riprende a lavorare, reinterpretando i suoi Arlecchini, vecchi compagni d’angoscia, ma subito s’interrompe, Il 19 giugno Eva informa Gertrude Stein che il giorno dopo sarebbero tornati a Parigi.

Arlecchino, 1915

Il blocco creativo che ha colpito Picasso a Céret continua a Parigi. Inoltre, la tosse non dà tregua ad Eva. Da qui la decisione di tornare alla brezza dei Pirenei. Arrivano a Céret tra il 6 o il 7 di agosto per sbrigativamente ripartire pochi giorni dopo. Non torneranno mai più.


Il periodo buio di Picasso continua: la Grande Guerra è iniziata, i suoi migliori amici sono al fronte, la salute di Eva peggiora giorno dopo giorno, fino a richiedere l'ospedalizzazione alla Maison de la Santé Goldman al 57 di boulevard de Montmorency. L’artista realizza una serie di quadri sul tema Donna seduta, il ritratto della donna amata costretta su di una sedia, serie concluda da alcuni tragici disegni: Eva agonizzanteEva sul letto di morte, La salma di Eva, morta il 14 dicembre 1915 all’età di trent’anni. L’8 gennaio 1916 Picasso scrive a Gertrude Stein: «La mia povera Eva è morta. […] È stato per me un grande dolore e so che lei ne sentirà la mancanza. È sempre stata così buona.»

Un ciclo è finito. Scrive Apollinaire: «Ora è il sud ad attirare gli artisti. Invece di trascorrere le vacanze in Bretagna o nei dintorni di Parigi come facevano gli artisti della generazione precedente, i pittori vanno verso la Provenza. Persino i Pirenei sono stati abbandonati. Céret non è più la mecca del cubismo.»

 Donna seduta che legge un libro, 1914-1915

Eva agonizzante, dicembre 1915

Eva sul letto di morte, dicembre 1915

Gli anni passano, non tutti dimenticano. Nel 1950 Pierre Brune e Frank Burty Haviland creano a Céret il Museo d’Arte moderna, una struttura che nel tempo ha acquisito una dimensione internazionale grazie anche alla donazione da parte di Picasso (nel 1953) di 29 ceramiche avente per soggetto la tauromachia.

Personalmente, di Céret ho ricordi bellissimi: le ore passate al Museo d’arte moderna, lo struscio per le strade seguendo i pannelli che riproducono le tele dei tanti pittori che qui hanno lavorato, il tempo passato a fotografare la fontana in place Picasso, opera dei ceramisti Jacques e Juliette Damville e la scoperta della cucina di madame Minerva, una donna approdata a Céret dalla vicina Spagna e titolare del minuscolo Restaurant Al Duende. Buonultima, la cappella di Saint-Martin de Fenollar dista solo una decina di chilometri.


ADDENDA. Nell’estate del 1954, Picasso riprende la strada di Perpignan in compagnia di due suoi amici, il pittore Édouard Pignon e sua moglie Hélèn Parmelin, giornalista e scrittrice. In agosto raggiungono Céret, dove Picasso mostra loro la Casa dei Cubisti, il museo, il torrente, il vecchio cafè Justafré, ricordando i tempi di Fernande e di Eva, di Manolo, di Pichot, di Braque, di Max Jacob e di Juan Gris, i giorni della pittura e della sardana.
Proseguendo oltre Céret, con l’auto risalgono la foresta di Fontfréde fino al suo culmine, il confine con la Spagna, luogo dove Picasso, davanti ad un’assemblea organizzata a Céret dal PCF, propone di erigere un laico Tempio della Pace. Non verrà mai costruito.
[fine della trilogia]


LE FOTOGRAFIE DI
GIANCARLO MAURI
11 maggio 2015


















































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