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mercoledì 25 ottobre 2017

Picasso, Fernande, Eva e Olga


Anno domini 1911. La fine del legame sentimentale tra Picasso e la belle Fernande è nell’aria - e il colpo finale lo sferra lei, quando lascia il pittore spagnolo per seguire un pittore italiano, Ubaldo Oppi, di cui si è momentaneamente innamorata. Dirà lei: l’ho fatto per ingelosire Pablo e ravvivare il nostro rapporto. Dirà lui: non avrei mai avuto il coraggio di lasciare la compagna dei giorni di povertà, ma andandosene con Oppi lei mi ha liberato. La fuitina dura pochi mesi, poi - come se niente fosse accaduto - Fernande sale su di un treno e raggiunge Picasso a Céret, certa di riprendere il suo posto accanto a lui. Le cose non vanno come lei vorrebbe, anzi ben presto prendono una brutta piega: Pablo - che è in compagnia di Eva, la sua nuova compagna - viene aggredito sia verbalmente che fisicamente da alcuni amici che hanno preso le parti di Fernande.
Il 21 giugno Picasso ed Eva lasciano i Pirenei cercando lidi più tranquilli. Dopo una breve sosta ad Avignone, il 26 ripartono con destinazione Sorgues-sur-l’Ouvèze (Vaucluse), dove Picasso affitta la Villa des Clochettes - due camere ed un atelier - per 80 franchi al mese. A luglio arriva l’amico Braque, da poco sposato con Marcelle Lapré, che s’installa poco lontano, nella Villa Bel Air e qui restano fino al 23 settembre, il giorno del loro ritorno a Parigi.
Da Sorgues Picasso, che vuole lasciare Montmartre, scrive una lettera al suo mercante chiedendogli di trovargli un nuovo appartamento con atelier. Alla fine di agosto Kahnweiler gli annuncia di aver trovato un bell’atelier-appartamento al 242 di Boulevard Raspail. Il pittore fa un salto a Parigi, vede l’appartamento e dichiara la sua insoddisfazione. Ciononostante, Kahnweiler si occupa del trasloco, cosa che permette a Pablo e ad Eva di occupare i locali sul Boulevard Raspail lo stesso giorno del loro rientro da Sorgues.
Com’era prevedibile, in Boulevard Raspail Picasso non mette radici. Un anno dopo occupa il 2° e il 3° piano di una casa da poco costruita nella vicina rue Victor Schoelcher, numero 5 bis. L’appartamento è comodo e lo studio è luminoso - seppur con finestre che danno sul cimitero di Montparnasse.


Anno domini 2017. Rieccomi per l’ennesima volta di fronte al 242 di Boulevard Raspail. Oggi tutto è nuovo, ricostruito. All’arrivo di Pablo ed Eva - che occupano il piano terra - qui vi era una casa a graticcio nota come cité Nicolas-Poussin, sede di una comunità d’artisti. Le ragioni che hanno spinto Picasso a lasciare Montmartre per Montparnasse è semplice: vuole abbandonare i luoghi che gli ricordano Fernande - una costante di Pablo, questa: una donna, una casa - e vivere una nuova vita con Marcelle Humbert, la donna che ama e che lui simbolicamente chiama Eva. Il Dôme e La Rotonde - i locali frequentati dai suoi amici scrittori - sono a due passi. Modigliani, altro amico di Picasso, ha il suo atelier sullo stesso boulevard, al numero 216. La baronessa d’Œttingen, grande ammiratrice (e collezionista) di Picasso, abita al 229. La redazione de Les Soirées de Paris, di cui Apollinaire è il direttore, è al numero 278. A Montparnasse Picasso non è solo.
Inoltre, in sintonia con Braque, il cubismo analitico caratterizzato da tinte marroni, beige e bianche cede il passo al cubismo sintetico, più ludico. Picasso ritrova i colori e le figure. Poi c’è lei, Eva, di cui Picasso è sinceramente innamorato e questo sentimento lo esprime inserendo nei suoi quadri frasi significative quali J’aime Eve (settembre 1912).
Marzo 1913: Pablo ed Eva tornano a Céret. La stagione è piovosa, Eva, già sofferente, s’aggrava. Continua a tossire. Anche Picasso s’ammala, colpito da una leggera forma di febbre tifoidea. Il 20 giugno i due rientrano a Parigi. Qui, il 22 luglio ricevono la storica visita di Matisse. Il 20 settembre Apollinaire cena per l’ultima volta in Boulevard Raspail. Subito dopo Picasso ed Eva traslocano in una casa vicina, di recentissima costruzione, in Rue Victor-Schœlcher. Ed è lì che mi sposto anch’io.

Per sancire il raggiunto status symbol, nel 1912 Paul Follot - uno dei più noti artisti decoratori del suo tempo (ceramiche per Wedgwood, tessuti per Corneille et Cie, oggetti in argento per Christofle) - si è fatto costruire un hôtel particulier al numero 5 di Rue Victor-Schœlcher. Ancor oggi questa casa si fa notare per la sua forma a pigna e per le ceramiche che ne decorano l’atrio e il piano terra.
Accanto, numero 5bis, vi è l’accesso a quello che fu l’appartamento e l’atelier affittato da Pablo Picasso nel 1913. Boulevard Raspail è dietro l’angolo, di fronte, ma visibile dai piani superiori, vi è il cimitero di Montparnasse. Vista macabra per i superstiziosi, non certo per Picasso: le ampie finestre del suo studio sono rivolte a nord e la presenza dell’ampio cimitero lascia spazio alla visuale, regalando tanta luminosità. In questo studio l’artista si dedica alle sperimentali sculture-assemblaggio, quali la Guitare in cartone e latta; con un giornale datato 23 dicembre, una scatola di cartone, della carta, guazzo, cartone e gesso crea il Violon - e queste sculture “a forma aperta” scuotono il mondo artistico parigino. Anche la sua pittura si evolve. Trasporta le sue sculture su tela (Guitare sur une table) e dipinge una stupefacente Femme en chemise dans un fauteuil, un quadro che esercita un enorme fascino su Breton e su Eluard: il cubismo getta i semi del surrealismo. Attirati dall’evolversi dell’arte di Picasso - vera festa di colori - al 5bis di Rue Victor Schœlcher bussano i futuristi Boccioni e Severini, ma anche De Chirico, Jacques Villon, Albert Gleizes, Fernand Léger e Modigliani. Derain, Max Jacob e André Salmon lasciano Montmartre per raggiungere Picasso a Montparnasse, il nuovo centro dell’arte.
Picasso realizza anche una serie di piccole nature morte che chiama Ma jolie, un amoroso omaggio ad Eva, la cui salute peggiora di giorno in giorno. Pablo si rattrista e con lei prende a frequentare studi medici, inutilmente.
Nel 1914 arriva la guerra. I suoi amici francesi sono chiamati alle armi. Il suo gallerista, Kahnweiler - tedesco ed ebreo - ripara in Svizzera. I colori sulle tele cambiano, le composizioni adesso sono più fredde. Nella primavera del 1915 gli zeppelin bombardano Parigi. Braque è gravemente ferito alla testa e subisce un trapanamento - e lo stesso sarà per Apollinaire.
In autunno Eva si aggrava. A novembre Picasso la fa ricoverare alla Maison de Santé Golman, 57 bd de Montmorency (terzo piano, camera K). Lei è cosciente della sua situazione e stando a quel che scrive Pierre Daix (Picasso, Hachette 2009, p. 228) un giorno avrebbe detto: «Je désespère de guérir. Pablo me gronde quand je lui dis que me crois pas voir l’année 1916».
Ha ragione: non vedrà il 1916. Muore per tubercolosi (di cancro alla gola, scrive Olivier Widmaier Picasso, figlio di Maya) il 14 dicembre 1915, all’età di 30 anni.
Scrive O’Brian, p. 249: A quel tempo la tubercolosi mieteva ancora molte vittime, in particolare quando mancavano combustibile e cibo: durante l’inverno Eva morì. Qualche amico accompagnò Picasso fino al cimitero, un numero tristemente esiguo se si pensa alla grande quantità delle sue conoscenze; fra questi c’erano Jacob e Gris. Gris scrisse a Maurice Raynal, che combatteva in trincea, per raccontargli del fatto: «C’erano solo sette o otto amici al funerale, il che ha reso la cerimonia molto più triste, a parte, naturalmente, le battute di Max, che ne hanno se mai sottolineato l’orrore… Picasso è molto abbattuto».
Picasso fa seppellire il corpo di Eva nel cimitero di Montparnasse, visibile dalle finestre del suo studio. Poi, senza avvisare Pablo, un bel giorno arrivano i parenti di lei e la bara viene trasferita altrove. Dal nulla è apparsa nel nulla è scomparsa.

Su Picasso piomba una cappa di tristezza ...finché un giorno d’aprile del 1916 un giovane poeta e scrittore viene a bussare alla sua porta. È Jean Cocteau, che vestito da Arlecchino - un omaggio ai quadri di Picasso - gli propone di realizzare i costumi di scena per Parade, un’opera scritta dallo stesso Cocteau e musicata da Satie. Dopo qualche titubanza Picasso accetta. Nel 1917 il gruppo si trasferisce a Roma per unirsi alla compagnia di Diaghilev, l’inventore dei Balletti russi. Nell’atelier di via Margutta Picasso crea gli abiti di scena e dipinge il grande sipario. La sera passeggia con gli amici, accompagnati da alcune delle ballerine di Diaghilev. Una di queste, Olga Khokhlova, attira l’attenzione di Pablo. Rammenta P. Daix in Picasso créateur, Seuil, 1987, p. 163: «Attention, lui aurait dit Diaghilev, une Russe, on l’épouse» (fai attenzione, gli avrebbe detto Diaghilev, una Russa, la sposi).
Così è. Il 12 luglio 1918 viene registrato all’ufficio di stato civile del VI arrondissement, place Saint-Sulpice, il matrimonio civile di Pablo Picasso con Olga Khokhlova - testimoni Jean Cocteau, Guillaume Apollinaire e Max Jacob - poi seguito da una celebrazione nella cattedrale ortodossa di Saint-Alexandre-Nevsky, 12 rue Daru, con tanto di corone di fiori sopra il capo degli sposi e nuvole d’incenso, come rito ortodosso prevede.

Nuova donna, nuova casa. In verità già da metà ottobre 1916 Picasso ha lasciato rue Schœlcher per trasferirsi a Montrouge - 22 rue Victor Hugo - in una villa tetra, una sorta di cubo amorfo con piccolo giardino. Ed è in questa casa che un giorno entrano i ladri: rubano tutta la biancheria ma lasciano al loro posto tutte le tele. A loro un Picasso non interessa. Meglio le sue mutande.

GIANCARLO MAURI



















venerdì 10 luglio 2015

Picasso a Céret, 1913


1913. Al 242 di boulevard Raspail Picasso non resiste molto, tanto che nei primi mesi dell’anno è costretto a nuovo trasloco, questa volta in una casa moderna nella vicina rue Schoelcher, al numero 5 bis. L’appartamento è comodo, lo studio è luminoso.
Nel frattempo, il prezioso lavoro di Kahnweiler produce i suoi frutti: il 17 febbraio a New York s’inaugura una mostra destinata a far conoscere l’arte europea e Picasso è presente con sei tele, un disegno e un bronzo. In seguito questa mostra si trasferisce a Chicago e a Boston. In contemporanea Kahnweiler organizza altri due avvenimenti: una retrospettiva di Picasso da Thannhauser a Monaco, con 76 pitture, 38 acquarelli disegni e incisioni, mentre all’Armory Show di New York sono esposte 8 opere di Picasso. Il mondo gli si apre davanti, la firma Picasso è nota dovunque.

Eva è sempre più ammalata - tossisce in continuazione – ed è questa la ragione che spinge Picasso a lasciare precocemente Parigi, l’11 di marzo, per affrontare il suo terzo viaggio a Céret, villaggio che gode della brezza vivificante dei Pirenei. Inoltre, l’aver firmato il 18 dicembre 1912 un contratto formale con Kahnweiler per la vendita dei suoi quadri lo libera dagli impegni commerciali, permettendogli di allontanarsi da quel campo di battaglia che è diventato Parigi – e non solo in ambito artistico: i suoi vicini di casa, che hanno bambini, gli hanno fatto sapere di non gradire la presenza di Eva, chiaramente ammalata di tubercolosi. E poi a Céret quest’anno non vi è l’incubo Fernande – di cui Picasso non ha più avuto notizia - quindi i due innamorati possono vivere in pace. Il giorno 22 Eva scrive a Gertrude Stein che «c’è un tempo superbo e ci siamo sistemati».
L’11 aprile Picasso scrive a Kahnweiler: «Max deve venire a Céret. Puoi avere la cortesia di dargli dei soldi per il viaggio e per le sue spese personali? Metti tutto a mio carico.» Max Jacob è l’amico che tra il 1902 e il 1903, l’apice del momento di estrema povertà di Pablo, l’aveva accolto nella sua stanzetta all’87 di boulevard Voltaire ...e seppur crescendo in notorietà e ricchezza, Picasso mai dimentica gli amici che hanno condiviso la fame e il freddo con lui. Inoltre, da un po’ di tempo Max, ebreo per nascita, ha cominciato ad avere visioni mistiche - vede il Cristo ovunque -  e questo sconvolge il suo equilibrio psico-fisico: una buona ragione in più per averlo vicino, regalandogli una vacanza a Céret.
La presenza di Eva e dell’amico influiscono sullo sviluppo artistico di Picasso e il tono festivo e allegro del papier-collé che ha per tema Céret ne è la prova: «Un bambino non arriva mai a quell’ingenuità primordiale che qui raggiunge Picasso e che riesce a contagiarci. Queste Case di Céret danzano» scrive Palau I Fabre nel secondo volume della sua biografia artistica di Picasso.

Case di Céret, estate 1913

Il 5 maggio Picasso, che ha lasciato il villaggio per un breve viaggio a Barcellona, scrive a Kahnweiler: «Le comunico la morte di mio padre, mancato la mattina di sabato scorso. Può immaginare in che stato mi trovo.» Nove giorni dopo Eva scrive a Gertrude Stein: «Spero che Pablo riprenda il lavoro, poiché soltanto questo può fargli dimenticare un po’ la sua tristezza.»
Il 2 giugno Max Jacob informa Apollinaire che «Eva è molto malata; angine continue la costringono a letto da otto giorni.» La stessa lettera contiene anche questa bizzarra descrizione: «Céret è una piccola città ai piedi dei Carpazi o Karpazi. La popolazione va dai cinquecento ai diecimila mila abitanti approssimativamente. Il numero ridotto degli abitanti è senza dubbio dovuto all’abbondanza di pederasti e di erotomani che si limitano a riempire i caffè.»
In un’altra lettera diretta ad Apollinaire, Max scrive di aver fatto un’escursione di pochi giorni (dall’11 al 15 giugno) a Figueras e a Girona con Pablo ed Eva e di essere andato a vedere una corrida, aggiungendo: «la Spagna è un paese quadrato e fatto di angoli.» Come a dire: è un Paese per sua natura cubista.
Dopo questo viaggio di distrazione, Picasso riprende a lavorare, reinterpretando i suoi Arlecchini, vecchi compagni d’angoscia, ma subito s’interrompe, Il 19 giugno Eva informa Gertrude Stein che il giorno dopo sarebbero tornati a Parigi.

Arlecchino, 1915

Il blocco creativo che ha colpito Picasso a Céret continua a Parigi. Inoltre, la tosse non dà tregua ad Eva. Da qui la decisione di tornare alla brezza dei Pirenei. Arrivano a Céret tra il 6 o il 7 di agosto per sbrigativamente ripartire pochi giorni dopo. Non torneranno mai più.


Il periodo buio di Picasso continua: la Grande Guerra è iniziata, i suoi migliori amici sono al fronte, la salute di Eva peggiora giorno dopo giorno, fino a richiedere l'ospedalizzazione alla Maison de la Santé Goldman al 57 di boulevard de Montmorency. L’artista realizza una serie di quadri sul tema Donna seduta, il ritratto della donna amata costretta su di una sedia, serie concluda da alcuni tragici disegni: Eva agonizzanteEva sul letto di morte, La salma di Eva, morta il 14 dicembre 1915 all’età di trent’anni. L’8 gennaio 1916 Picasso scrive a Gertrude Stein: «La mia povera Eva è morta. […] È stato per me un grande dolore e so che lei ne sentirà la mancanza. È sempre stata così buona.»

Un ciclo è finito. Scrive Apollinaire: «Ora è il sud ad attirare gli artisti. Invece di trascorrere le vacanze in Bretagna o nei dintorni di Parigi come facevano gli artisti della generazione precedente, i pittori vanno verso la Provenza. Persino i Pirenei sono stati abbandonati. Céret non è più la mecca del cubismo.»

 Donna seduta che legge un libro, 1914-1915

Eva agonizzante, dicembre 1915

Eva sul letto di morte, dicembre 1915

Gli anni passano, non tutti dimenticano. Nel 1950 Pierre Brune e Frank Burty Haviland creano a Céret il Museo d’Arte moderna, una struttura che nel tempo ha acquisito una dimensione internazionale grazie anche alla donazione da parte di Picasso (nel 1953) di 29 ceramiche avente per soggetto la tauromachia.

Personalmente, di Céret ho ricordi bellissimi: le ore passate al Museo d’arte moderna, lo struscio per le strade seguendo i pannelli che riproducono le tele dei tanti pittori che qui hanno lavorato, il tempo passato a fotografare la fontana in place Picasso, opera dei ceramisti Jacques e Juliette Damville e la scoperta della cucina di madame Minerva, una donna approdata a Céret dalla vicina Spagna e titolare del minuscolo Restaurant Al Duende. Buonultima, la cappella di Saint-Martin de Fenollar dista solo una decina di chilometri.


ADDENDA. Nell’estate del 1954, Picasso riprende la strada di Perpignan in compagnia di due suoi amici, il pittore Édouard Pignon e sua moglie Hélèn Parmelin, giornalista e scrittrice. In agosto raggiungono Céret, dove Picasso mostra loro la Casa dei Cubisti, il museo, il torrente, il vecchio cafè Justafré, ricordando i tempi di Fernande e di Eva, di Manolo, di Pichot, di Braque, di Max Jacob e di Juan Gris, i giorni della pittura e della sardana.
Proseguendo oltre Céret, con l’auto risalgono la foresta di Fontfréde fino al suo culmine, il confine con la Spagna, luogo dove Picasso, davanti ad un’assemblea organizzata a Céret dal PCF, propone di erigere un laico Tempio della Pace. Non verrà mai costruito.
[fine della trilogia]


LE FOTOGRAFIE DI
GIANCARLO MAURI
11 maggio 2015