Anno
domini 1911. La fine del legame sentimentale tra Picasso e
la belle Fernande è nell’aria - e il
colpo finale lo sferra lei, quando lascia il pittore spagnolo per seguire un
pittore italiano, Ubaldo Oppi, di cui si è momentaneamente innamorata. Dirà lei:
l’ho fatto per ingelosire Pablo e ravvivare
il nostro rapporto. Dirà lui: non avrei
mai avuto il coraggio di lasciare la compagna dei giorni di povertà, ma
andandosene con Oppi lei mi ha liberato. La fuitina dura pochi mesi, poi -
come se niente fosse accaduto - Fernande sale su di un treno e raggiunge
Picasso a Céret, certa di riprendere il suo posto accanto a lui. Le cose non
vanno come lei vorrebbe, anzi ben presto prendono una brutta piega: Pablo - che
è in compagnia di Eva, la sua nuova compagna - viene aggredito sia verbalmente che
fisicamente da alcuni amici che hanno
preso le parti di Fernande.
Il
21 giugno Picasso ed Eva lasciano i Pirenei cercando lidi più tranquilli. Dopo
una breve sosta ad Avignone, il 26 ripartono con destinazione
Sorgues-sur-l’Ouvèze (Vaucluse), dove Picasso affitta la Villa des Clochettes - due camere ed un atelier - per 80 franchi al
mese. A luglio arriva l’amico Braque, da poco sposato con Marcelle Lapré, che s’installa
poco lontano, nella Villa Bel Air e
qui restano fino al 23 settembre, il giorno del loro ritorno a Parigi.
Da
Sorgues Picasso, che vuole lasciare Montmartre, scrive una lettera al suo
mercante chiedendogli di trovargli un nuovo appartamento con atelier. Alla fine
di agosto Kahnweiler gli annuncia di aver trovato un bell’atelier-appartamento
al 242 di Boulevard Raspail. Il pittore fa un salto a Parigi, vede
l’appartamento e dichiara la sua insoddisfazione. Ciononostante, Kahnweiler si
occupa del trasloco, cosa che permette a Pablo e ad Eva di occupare i locali
sul Boulevard Raspail lo stesso giorno del loro rientro da Sorgues.
Com’era
prevedibile, in Boulevard Raspail Picasso non mette radici. Un anno dopo occupa
il 2° e il 3° piano di una casa da poco costruita nella vicina rue Victor
Schoelcher, numero 5 bis. L’appartamento è comodo e lo studio è luminoso - seppur
con finestre che danno sul cimitero di Montparnasse.
Anno
domini 2017. Rieccomi per l’ennesima volta di fronte al 242 di Boulevard
Raspail. Oggi tutto è nuovo, ricostruito. All’arrivo di Pablo ed Eva - che
occupano il piano terra - qui vi era una casa a graticcio nota come cité Nicolas-Poussin, sede di una
comunità d’artisti. Le ragioni che hanno spinto Picasso a lasciare Montmartre
per Montparnasse è semplice: vuole abbandonare i luoghi che gli ricordano
Fernande - una costante di Pablo, questa: una donna, una casa - e vivere
una nuova vita con Marcelle Humbert, la donna che ama e che lui simbolicamente
chiama Eva. Il Dôme e La Rotonde -
i locali frequentati dai suoi amici scrittori - sono a due passi. Modigliani,
altro amico di Picasso, ha il suo atelier sullo stesso boulevard, al numero
216. La baronessa d’Œttingen, grande
ammiratrice (e collezionista) di Picasso, abita al 229. La redazione de Les Soirées de Paris, di cui Apollinaire
è il direttore, è al numero 278. A Montparnasse Picasso non è solo.
Inoltre,
in sintonia con Braque, il cubismo analitico caratterizzato da tinte marroni,
beige e bianche cede il passo al cubismo sintetico, più ludico. Picasso ritrova
i colori e le figure. Poi c’è lei, Eva, di cui Picasso è sinceramente
innamorato e questo sentimento lo esprime inserendo nei suoi quadri frasi
significative quali J’aime Eve
(settembre 1912).
Marzo
1913: Pablo ed Eva tornano a Céret. La stagione è piovosa, Eva, già sofferente, s’aggrava.
Continua a tossire. Anche Picasso s’ammala, colpito da una leggera forma di
febbre tifoidea. Il 20 giugno i due rientrano a Parigi. Qui, il 22 luglio ricevono
la storica visita di Matisse. Il 20 settembre Apollinaire cena per l’ultima
volta in Boulevard Raspail. Subito dopo Picasso ed Eva traslocano in una casa vicina,
di recentissima costruzione, in Rue Victor-Schœlcher.
Ed è lì che mi sposto anch’io.
Per
sancire il raggiunto status symbol,
nel 1912 Paul Follot - uno dei più noti artisti decoratori del suo tempo
(ceramiche per Wedgwood, tessuti per Corneille et Cie, oggetti in argento per
Christofle) - si è fatto costruire un hôtel particulier al numero 5 di Rue Victor-Schœlcher. Ancor oggi questa casa si fa notare per
la sua forma a pigna e per le ceramiche che ne decorano l’atrio e il piano
terra.
Accanto,
numero 5bis, vi è l’accesso a quello che fu l’appartamento e l’atelier affittato
da Pablo Picasso nel 1913. Boulevard Raspail è dietro l’angolo, di fronte, ma
visibile dai piani superiori, vi è il cimitero di Montparnasse. Vista macabra
per i superstiziosi, non certo per Picasso: le ampie finestre del suo studio
sono rivolte a nord e la presenza dell’ampio cimitero lascia spazio alla
visuale, regalando tanta luminosità. In questo studio l’artista si dedica alle sperimentali
sculture-assemblaggio, quali la Guitare
in cartone e latta; con un giornale datato 23 dicembre, una scatola di cartone,
della carta, guazzo, cartone e gesso crea il Violon - e queste sculture “a forma aperta” scuotono il mondo
artistico parigino. Anche la sua pittura si evolve. Trasporta le sue sculture
su tela (Guitare sur une table) e
dipinge una stupefacente Femme en chemise
dans un fauteuil, un quadro che esercita un enorme fascino su Breton e su
Eluard: il cubismo getta i semi del surrealismo. Attirati dall’evolversi
dell’arte di Picasso - vera festa di colori - al 5bis di Rue Victor Schœlcher bussano i futuristi Boccioni e
Severini, ma anche De Chirico, Jacques Villon, Albert Gleizes, Fernand Léger e
Modigliani. Derain, Max Jacob e André Salmon lasciano Montmartre per
raggiungere Picasso a Montparnasse, il nuovo centro dell’arte.
Picasso
realizza anche una serie di piccole nature morte che chiama Ma jolie, un amoroso omaggio ad Eva, la
cui salute peggiora di giorno in giorno. Pablo si rattrista e con lei prende a
frequentare studi medici, inutilmente.
Nel
1914 arriva la guerra. I suoi amici francesi sono chiamati alle armi. Il suo
gallerista, Kahnweiler - tedesco ed ebreo - ripara in Svizzera. I colori sulle
tele cambiano, le composizioni adesso sono più fredde. Nella primavera del 1915
gli zeppelin bombardano Parigi. Braque è gravemente ferito alla testa e subisce
un trapanamento - e lo stesso sarà per Apollinaire.
In
autunno Eva si aggrava. A novembre Picasso la fa ricoverare alla Maison de Santé Golman, 57 bd de Montmorency (terzo piano, camera K).
Lei è cosciente della sua situazione e stando a quel che scrive Pierre Daix (Picasso, Hachette 2009, p. 228) un
giorno avrebbe detto: «Je désespère de guérir.
Pablo
me gronde quand je lui dis que me crois pas voir l’année 1916».
Ha ragione: non vedrà il
1916. Muore per tubercolosi (di cancro alla gola, scrive Olivier Widmaier Picasso, figlio di Maya) il 14 dicembre 1915, all’età di 30 anni.
Scrive
O’Brian, p. 249: A quel tempo la
tubercolosi mieteva ancora molte vittime, in particolare quando mancavano
combustibile e cibo: durante l’inverno Eva morì. Qualche amico accompagnò
Picasso fino al cimitero, un numero tristemente esiguo se si pensa alla grande
quantità delle sue conoscenze; fra questi c’erano Jacob e Gris. Gris scrisse a
Maurice Raynal, che combatteva in trincea, per raccontargli del fatto: «C’erano solo sette o otto
amici al funerale, il che ha reso la cerimonia molto più triste, a parte,
naturalmente, le battute di Max, che ne hanno se mai sottolineato l’orrore…
Picasso è molto abbattuto».
Picasso fa seppellire il corpo di Eva nel cimitero di Montparnasse, visibile dalle finestre del suo studio. Poi, senza avvisare Pablo, un bel giorno arrivano i parenti di lei e la bara viene trasferita altrove. Dal nulla è apparsa nel nulla è scomparsa.
Su Picasso piomba una cappa di tristezza ...finché un giorno d’aprile del 1916 un giovane poeta e scrittore viene a bussare alla sua porta. È Jean Cocteau, che vestito da Arlecchino - un omaggio ai quadri di Picasso - gli propone di realizzare i costumi di scena per Parade, un’opera scritta dallo stesso Cocteau e musicata da Satie. Dopo qualche titubanza Picasso accetta. Nel 1917 il gruppo si trasferisce a Roma per unirsi alla compagnia di Diaghilev, l’inventore dei Balletti russi. Nell’atelier di via Margutta Picasso crea gli abiti di scena e dipinge il grande sipario. La sera passeggia con gli amici, accompagnati da alcune delle ballerine di Diaghilev. Una di queste, Olga Khokhlova, attira l’attenzione di Pablo. Rammenta P. Daix in Picasso créateur, Seuil, 1987, p. 163: «Attention, lui aurait dit Diaghilev, une Russe, on l’épouse» (fai attenzione, gli avrebbe detto Diaghilev, una Russa, la sposi).
Su Picasso piomba una cappa di tristezza ...finché un giorno d’aprile del 1916 un giovane poeta e scrittore viene a bussare alla sua porta. È Jean Cocteau, che vestito da Arlecchino - un omaggio ai quadri di Picasso - gli propone di realizzare i costumi di scena per Parade, un’opera scritta dallo stesso Cocteau e musicata da Satie. Dopo qualche titubanza Picasso accetta. Nel 1917 il gruppo si trasferisce a Roma per unirsi alla compagnia di Diaghilev, l’inventore dei Balletti russi. Nell’atelier di via Margutta Picasso crea gli abiti di scena e dipinge il grande sipario. La sera passeggia con gli amici, accompagnati da alcune delle ballerine di Diaghilev. Una di queste, Olga Khokhlova, attira l’attenzione di Pablo. Rammenta P. Daix in Picasso créateur, Seuil, 1987, p. 163: «Attention, lui aurait dit Diaghilev, une Russe, on l’épouse» (fai attenzione, gli avrebbe detto Diaghilev, una Russa, la sposi).
Così
è. Il 12 luglio 1918 viene registrato all’ufficio di stato civile del VI
arrondissement, place Saint-Sulpice, il matrimonio civile di Pablo Picasso con
Olga Khokhlova - testimoni Jean Cocteau, Guillaume Apollinaire e Max Jacob -
poi seguito da una celebrazione nella cattedrale ortodossa di
Saint-Alexandre-Nevsky, 12 rue Daru, con tanto di corone di fiori sopra il capo
degli sposi e nuvole d’incenso, come rito ortodosso prevede.
Nuova
donna, nuova casa. In verità già da metà ottobre 1916 Picasso ha lasciato rue Schœlcher per trasferirsi a Montrouge - 22 rue Victor Hugo - in una villa
tetra, una sorta di cubo amorfo con piccolo giardino. Ed è in questa casa che
un giorno entrano i ladri: rubano tutta la biancheria ma lasciano al loro posto
tutte le tele. A loro un Picasso non
interessa. Meglio le sue mutande.
GIANCARLO MAURI