Per gli amanti “del bello”
Milano riserva sempre gradite sorprese.
Passo per la millesima volta
da via Puccini, la via che mette in comunicazione San Giovanni sul Muro con la
stazione Cadorna, ed ecco che un giorno quasi mi scontro con due ragazzi che
escono da un portone di vetro. L’occhio “cade” all’interno e che vedo? Una
serie di colonne, un soffitto decorato, una vera da pozzo… e subito il mio
cervello (oddio, quel che rimane) m’invia un messaggio: guarda che questo è un
cortile quattrocentesco. Blocco i due giovani e chiedo lumi. Uno non sa niente,
l’altro pure, però sa “che è opera del Bramante, che qui fece le prove per Le
Grazie”. “Fece le prove per Santa Maria delle Grazie?” dico io. “Sì” mi
risponde lui, con indiscutibile sicurezza. Vabbè… La vetrata si è chiusa, noi
ci salutiamo.
Ieri, 22 agosto, volutamente
ripasso da via Puccini. La porta a vetri, ovviamente chiusa, mostra l’interno e
per riflesso anche il cielo azzurro e le mura alle mie spalle. Scatto due
fotogrammi e subito mi sposto per far spazio ad una signora munita di chiavi che
vorrebbe entrare. Flash: stessa scena capitatami all’androne del 27 di rue de Fleurus a Parigi, il “cortile degli Stein”.
Con gentilezza chiedo alla
signora se mi può raccontare qualcosa di quel cortile (oramai davanti ai miei
occhi, essendo la porta aperta). Lei, con malcelato orgoglio mi risponde: “è
opera del Bramante”. Chiedo se posso entrare e godere di quella
bellezza. “Chiuda bene la porta quando esce” è il suo tacito assenso.
Ringrazio… ed eccomi nel
quadrato inatteso. Il sole è forte, il contrasto tra luci ed ombre generoso. Mi
prendo tutto il tempo, girando in senso orario e strabuzzando gli occhi per
cercare i dettagli. Esco felice: questa giornata non è andata sprecata.
A casa mi tuffo nelle
ricerche. Apro il pesante volume Milano
nell’arte e nella storia di Paolo Mezzanotte, Giacomo C. Bascapè - a cura
di Gianni Mezzanotte, Carlo Bestetti - Edizioni d’Arte - Milano-Roma, 1968, e
alle pp. 380-382 leggo:
Palazzo Dal
Verme
Eretto sulla fine del XV secolo
appartenne alla celebre famiglia Dal Verme, che ebbe notevole parte nella
storia della vita milanese nelle età viscontea e sforzesca. Fu forse costruita
da Federico, che nelle guerre tra la Francia e gli Sforza fu a questi fedele. La facciata non aveva interesse: tre piani e tredici
aperture, a intonaco colorato simulante un paramento di mattoni a vista.
Per un portale arcuato, attraverso un
androne con lunette di volta, poggianti su capitelli pensili arieggianti l’ordine
corinzio, si scendeva nel cortile, il cui piano è lievemente più basso del
suolo stradale. Il cortile è quadrato, con portico di quattro arcate per lato;
appartiene al miglior gusto rinascimentale ed è l’unico residuo antico scampato
alla recentissima ricostruzione dell’edificio. Le colonne sono a fusto di
serizzo, con basi dello stesso materiale, con foglie di protezione fra il
plinto e il toro. I capitelli di pietra di Angera di forma corinzia, hanno
targhe a testa di cavallo, che furono spogliate a colpi di scalpelli dei segni
araldici durante la Cisalpina. Le ghiere d’arco sono di cotto; nei pennacchi
tondi di marmo incorniciati di cotto, recanti i profili in bassorilievo di
personaggi sforzeschi, alternati con targhe araldiche; su alcune di queste è la
figura del cane col laccio al collo, altra delle imprese assunte dai Dal Verme.
L’archivolto è di cotto a tre fasce; nel sommo serraglie di terracotta di
uniforme disegno a foglie d’acanto.
Sopra il portico, cornicione, sempre di
laterizio, con fascia finemente modellata di delfini affacciati tra baccelli
ornamentali; altra fascia superiore dipinta e modanatura a dentelli.
Alle colonne del portico fanno riscontro
sulle pareti di fondo altrettanti capitelli pensili, simili nelle forme a
quelli delle arcate: in parte autentici, in parte rinnovati nel restauro. Gli
interspazi fra le arcate, i tondi a bassorilievo e la cornice, il fregio della
cornice stessa, gli intradossi degli archi e le volte del portico, hanno una
vivace decorazione pittorica eseguita di recente sulle tracce della originale,
venuta in luce.
Sugli intradossi degli archi sono rosoni
in riquadri azzurro-cupo; nelle volte finte finestre circolari aperte sul
cielo, corone, rosoni, nastri svolazzanti. Sulle pareti di fondo del portico
graffiti con prospettive architettoniche di invenzione e di fattura moderna.
Di faccia all’ingresso, nel
sottoportico, era murata una lapide di marmo di Candoglia ricordante i restauri
del 1914, a cura di Jeannette Dal Verme. Esternamente, a destra dell’ingresso
un’altra lapide ricorda che nella casa visse e morì il generale Dezza.
Nessun riferimento al
Bramante, però una nota a margine rinvia al secondo tomo di un’opera
scritta da Carlo Fumagalli, Diego Sant’Ambrogio e Luca Beltrami: Reminescenze di Storia e d’Arte nella Città
di Milano, Milano 1892. Visto che l’ho in casa, lo apro, cerco e leggo:
Il cortile
con terrecotte decorative di
Casa Dal Verme
in via Foro Bonaparte
Fra i cortili in terracotta nello stile
delle civili abitazioni sul finire del XV secolo e sul principio del XVI, vanno
menzionati in Milano quello della casa Dal Verme e l’altro in via Passerella di
una casa già Litta. Il primo, di cui diamo l’imagine a Tav. XXIII appare certamente
di data più antica.
I capitelli sono di puro stile del
rinascimento lombardo, con targhe a testa di cavallo fra le volute laterali, i
cui scudi vennero guasti e pichiettati sul finire dello scorso secolo. Di
disegno uniforme anziché svariato, come nel portico della Canonica di Sant’Ambrogio
del Bramante ed in altri edificii, sono invece le protiridi o serraglie degli
archi, ma nei pennacchi delle volte appaiono ancora rosoni di terracotta con
inclusivi ritratti in bassorilievo di personaggi della famiglia Sforza, duchi
di Milano.
Le targhe araldiche che decorano alcuni
di quei medaglioni mettono in mostra il cane col laccio al collo e le fascie
alternantesi della famiglia Dal Verme, che si rese illustre nelle armi e sotto
i Visconti e sotto il dominio sforzesco.
Di vago effetto è il cornicione pure di
terracotta con fascia di delfini affrontati fra baccelli ornamentali, e al
disopra della fascia decorato di ovoli e listelli.
E il Bramante? Niente. Mi
turo il naso e mi metto a cercare su internet:
Per grandi intenditori della città, una
vera e propria chicca.
Sconosciutissimo, appartato e forse
anche un po’ spaesato ormai. Palazzo Dal Verme è una di quelle tracce lasciate
dallo splendore rinascimentale della corte sforzesca, di quei modelli
bramanteschi che in una città come Milano non ci si aspetterebbe di trovare.
L’abbiamo detto molte volte però, Milano è una città da scoprire, da esplorare
e gustare un poco alla volta. Stretto nella morsa della modernità, in mezzo a
due palazzoni che non meritano rispetto, rivela la sua identità conservando le
sue proporzioni. Due soli piani, piano terra, e piano nobile. Il portone ligneo
originale si apre sul quattrocento milanese. Qui costruisce Luigi Dal Verme
nella prima metà del ’400 lasciando ai figli il compito di completare l’opera.
La famiglia Dal Verme è tra le più importanti del panorama milanese, in stretto
rapporto con il Carmagnola con cui legano parentela sposandone la figlia.
Capitano di ventura sotto Filippo Maria Visconti e poi al servizio di Francesco
Sforza. Dei fasti originali oggi possiamo ammirare solo il portico quadrato che
cingeva il cortile principale. Le volte decorate ancora con gli affreschi
originali, i profili elegantissimi in cotto tipici del rinascimento lombardo
sottolineano i tondi, ancora presenti, con i ritratti d’epoca sforzesca. Qui
abitavano i Dal Verme ancora nella seconda metà dell’800 quando proprio di
fronte al palazzo si accampava il Politeama Ciniselli, una sorta di teatro di
strada, con spettacoli di vario genere ospitante anche compagnie itineranti.
Insomma, una zona un tantino caotica e poco rassicurante. Francesco Dal Verme
risolve la questione comprando il terreno cacciando così i girovaghi. Vista
però la vocazione teatrale del terreno stesso, decide di costruirci un teatro
vero e proprio: spettacoli si, ma almeno di un certo spessore. È la nascita del
Teatro Dal Verme, proprio di fronte al palazzo rinascimentale dei suoi
finanziatori a cui è dedicata qui la nostra attenzione, uno scrigno di cui si è
avuto poco rispetto purtroppo. Sano fino al maledetto 1943, viene colpito in
pieno. Si salva solo il portico. La facciata viene ricostruita in forme
ottocentesche, mentre tutt’intorno si consuma la speculazione. Questo tesoro
viene inserito in una lottizzazione senza criterio, alzando palazzine a ridosso
dei colonnati e relegando questa perla a banale cortile di passaggio,
strozzato, sminuito. Il confronto con il passato fa troppa paura?
Il Palazzo Dal Verme fu la dimora
nobiliare di una delle famiglie più potenti della corte viscontea e sforzesca
del XV secolo. Resta oggi il cortile, fra le maggiori testimonianze di edilizia
civile di epoca rinascimentale a Milano.
Il palazzo fu edificato da Luigi Dal
Verme (1390-1449), conte di Sanguinetto, alla metà del XV secolo. Il Dal Verme
iniziò la sua carriera di condottiero al servizio del Conte di Carmagnola, di
cui sposò la figlia, Luchina Bussone. Fu poi capitano di ventura sotto le
insegne di Filippo Maria Visconti, dal quale ottenne i feudi di Bobbio e
Voghera, e in seguito alla morte di questi combatté al fianco di Francesco
Sforza. La costruzione fu poi proseguita dal figlio Pietro e dal nipote
Federico.
Il complesso, giunto in buone condizioni
fino al XX secolo, fu duramente colpito dalle bombe del 1943, che ne
distrussero la facciata. Sopravvive oggi la corte, inserita all’interno di un
moderno complesso condominiale del dopoguerra.
Si accede alla corte da un androne, che
presenta la decorazione rinascimentale originaria, costituita da affreschi che
ricoprono le volte a crociera, sorrette da peducci scolpiti. Il cortile
regolare è aperto da portici sui quattro lati di quattro arcate ciascuno.
Reggono le arcate colonne in pietra sormontate da capitelli compositi a foglie
d’acanto, che ospitano targhe a testa di cavallo con stemmi non più leggibili.
Sopra gli archi corre una decorazione di cornicioni e cordonature in cotto,
restaurate in base alle parti superstiti. Fra i pennacchi degli archi, una
serie di tondi in pietra alterna stemmi nobiliari a profili di personaggi della
corte sforzesca. Al centro, vera da pozzo scolpita, risalente al XV secolo.
Guardo altri siti,
istituzionali: del Bramante non v’è traccia.
Un dubbio mi assale. Riapro
il librone di Mezzanotte e Bascapè e a p. 147 leggo: Rimangono nel
primo cortile, a testimonianza del senso d’arte di Ludovico il Moro, le svelte
colonne di perfetta misura e i mirabili capitelli marmorei di squisita
esecuzione che strapparono accenti ammirazione incondizionata al Mongeri, non
alieno dallo scorgervi l’influsso del Bramante. Bene… se non fossi alle
pagine dedicate ad un secondo palazzo appartenuto ai conti Dal Verme, quello noto
come Palazzo Carmagnola (già Broletto Nuovissimo dal 1515 al
1861), nel Sestiere di Porta Comasina, oggi via Rovello 2. Adesso mi è chiara la totale
dimenticanza di un cortile “del Bramante” da parte dei succitati architetti,
grandi conoscitori della storia artistica milanese. Come uso dire: mai credere
a niente di quel che ti dicono e credi sempre a metà di quel che vedi… (e nel
frattempo apro L’arte in Milano del Mongeri,
giusto per vedere quel che scrive).
LE FOTOGRAFIE DI GIANCARLO MAURI