L’8 settembre 1944 è soprattutto la data di nascita di Giuseppe Verderio, mio compagno di cordata
a partire da una primaverile domenica del 1965 - e qui non rammento il giorno
perché all’epoca non tenevo il conto delle ascensioni. Entrambi lavoravamo a
Monza, stessa ditta, reparti differenti: lui era tornitore, io fotografo
industriale. Una mattina lui mi abborda: ho
saputo che vai ad arrampicare. Io non l’ho mai fatto ma vorrei tanto provare.
Non è che una domenica mi porti con te?
Io non avevo un compagno di cordata fisso. Talvolta
arrampicavo con degli amici di Sesto San Giovanni - Luigi Dendi e Giuseppe
Camanini -, due ragazzi conosciuti in Grigna, ma il più delle volte me ne
andavo solitario, cercando sassi sperduti su cui imparare a non cadere.
La proposta del Beppe era quindi musica per le mie orecchie e subito
trovammo un accordo: io avevo una vecchia Gilera 150 e una corda da 40 metri;
lui una Lambretta 125 …e basta.
Una visita ad un negozio di Monza che teneva chiodi,
moschettoni e corde in rotolo da tagliare su misura e il gioco era fatto:
domenica si va in Grignetta. Insieme.
Ovviamente, il banco di prova non poteva che essere il
Campaniletto. All’attacco insegnai al Beppe le regole basilari su come legarsi
in cordata e su come fare sicurezza (spalla a
monte, ascella a valle e al compagno). In vetta ci si strinse la mano. La
nuova cordata era nata, ma si fece poco: il 29 aprile il Beppe m’inviava la
prima cartolina da Torino, dove era in servizio militare nell’arma dei carabinieri.
Gli risposi con una lettera in cui lo informavo che in cordata con gli amici di
Sesto SG ero salito in vetta al Nibbio, una parete che il Beppe aveva tanto desiderato.
Luglio 1966: Beppe ha il congedo in mano e insieme si torna
sui monti. A lui manca l’allenamento ma non certo la volontà. Per le vacanze
estive (due settimane in tutto) gli propongo di salire a Demonte, cittadina in provincia di Cuneo dove mio padre aveva
conservato delle amicizie risalenti al tempo della guerra contro la Francia - e
dove io avevo stretto amicizia con alcuni giovani della mia età (avevo 19 anni,
20 a novembre).
Gilera e Lambretta sotto il culo, zaino con corda, chiodi e
martello in spalla …e via, stavolta in compagnia di Luigi, il fratello più
giovane del Beppe.
Dei ragazzi di Marsiglia in vacanza alla frazione
Cornaletto di Demonte ci mostrarono una parete dall’aspetto strano: tondeggiante
e con una grotta in basso, ricoperta
da uno strato gessoso nella parte superiore. Decidiamo di metterci le mani sopra.
L’attacco è nel vuoto, sopra pare una saponetta, ma chiodo dopo chiodo m’innalzo. Abbiamo ripreso a fare cordata.
Una gelida giornata di fine dicembre del 1968 ci
vede attendati ai piedi della parete della Medale, sopra Lecco. Intendo esplorare se a
destra della via aperta da Cassin e Boga vi è una possibilità di salita. Salgo
alcuni tiri di corda - ricordo di aver messo un solo chiodo, non indispensabile
- fino ad arrivare ad un’erbosa cengia (si vede nella foto 31). Sopra di noi la parete prende a
strapiombare. Il freddo è cane - e il Beppe pagherà caro l’essersi dimenticato
di mettere l’antigelo nel radiatore della sua Seicento. Un chiodo di sicurezza,
che ci servirà per calarci in corda doppia, ed eccoci seduti a rimirare il
mondo da questo nido d’aquila. Tolgo il formaggio (francese) dallo zaino e facciamo
colazione. Torneremo quando farà più caldo per finire la nostra via, ci diciamo.
Non sarà così. Il Beppe muore il 2 marzo 1969, cadendo dalla
vetta della Medale mentre eravamo sul facile sentiero di discesa.