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sabato 19 novembre 2016

Sogno e menzogna di Franco, di Pablo Picasso (1937)


Vicino alla Statale di Milano numerosi bar offrono cibi e bevande a prezzo “da studente universitario”, ma uno di questi offre qualcosa in più: al piano sotterraneo si possono acquistare libri usati a buon prezzo, in gran parte testi dismessi, ma non solo. Qui, pochi giorni fa mi è venuta incontro una cartella contenente 4 disegni di Picasso e 5 di André Masson sul tema “Guerra di Spagna”.
Come sempre, amo condividere il mio con quante più persone possibili, quindi ho passato i disegni allo scanner, ho riaperto alcune biografie e da queste ho estrapolato le pagine da proporre sul tema Sogno e menzogna di FrancoHo poi inserito alcune pagine dei quotidiani che per la prima volta rendevano noto al mondo il crimine tutto cristiano di Guernica, confezionando un “pacchetto” storico, punto di partenza per altre, personali, esplorazioni, invitandovi - come sempre - a procurarvi i libri da me citati e leggerli per intero ...che è meglio.
PS: il tutto cristiano di cui sopra rinvia al poco o nulla reclamizzato fatto storico che vide la Santa Sede governata da Pio XII nominare il Cristianissimo Francisco Franco “Cavaliere dell’Ordine Supremo del Cristo”, la più alta onorificenza pontificia esistente.

Pablo Picasso
Sueño y mentira de Franco
pamphlet poetico scritto tra l'8 e il 9 gennaio del 1937

Fandango de lechuzas escabeche de espadas de pulpos de mal agüero estropajo de pelos de coronillas de pie en medio de la sartén en pelotas puesto sobre el cucurucho del sorbete de bacalao frito en la sarna de su corazón de cabestro - la boca llena de la jalea de chinches de sus palabras - cascabeles del plato de caracoles trenzando tripas - meñique en erección ni uva ni breva - comedia del arte de mal tejer y teñir nubes - productos de belleza del carro de la basura - rapto de la meninas en lágrimas y en lagrimones - al hombro el ataúd relleno de chorizos y de bocas la rabia retorciendo el dibujo de la sombra que le azota los dientes clavados en la arena y el caballo abierto de par en par al sol que lo lee a las moscas que hilvanan a los nudos de la red llena de boquerones el cohete de azucenas farol de piojos donde está en perro nudo de ratas y escondrijo del palacio de trapos viejos - las banderas que fríen en la sartén se retuercen en el negro de la salsa de la tinta derramada en las gotas de sangre que lo fusilan - la calle sube a las nubes atada por los pies al mar de cera que pudre sus entrañas y el velo que la cubre canta y baila loco de pena - el vuelo de cañas de pescar y alhigui alhigui del entierro de primera del carro de mudanza - las alas rotas rodando sobre la tela de araña del pan seco y agua clara de la paella de azúcar y terciopelo que pinta el latigazo en sus mejillas - la luz se tapa los ojos delante del espejo que hace el mono y el trozo de turrón de las llamas se muerde los labios de la herida - gritos de niños gritos de mujeres gritos de pájaros gritos de flores gritos de maderas y de piedras gritos de ladrillos gritos de muebles de camas de sillas de cortinas de cazuelas de gatos y de papeles gritos de olores que se arañan gritos de humo picando en el morrillo de los gritos que cuecen en el caldero y de la lluvia de pájaros que inunda el mar que roe el hueso y se rompe los dientes mordiendo el algodón que el sol rebaña en el plato que el bolsín y la bolsa esconden en la huella que el pie déjà en la roca.


Purtroppo la traduzione italiana non rende il tragico peso delle parole, così come cadenzate in lingua originale.

Fandango di civette salamoia di spade di polpi di malaugurio strofinaccio di peli di tonsure ritto nel centro di un tegame a coglioni nudi - posto sul cono del gelato di merluzzo fritto della rogna del suo cuore di bue - la bocca piena della gelatina di cimici delle sue parole - sonagli del piatto di lumache che intrecciano budelle mignolo in erezione né carne né pesce - commedia dell’arte di mal tessere e tingere le nuvole prodotti di bellezza del carretto delle immondizie - ratto di fanciulle in lacrime e singhiozzi sulla spalla la bara colma di salsicce e di bocche - la rabbia torcendo il disegno dell’ombra che lo frusta i denti inchiodati nella sabbia e il cavallo aperto da parte a parte al sole che lo legge alle mosche che imbastiscono ai nodi della rete piena di acciughe un razzo di gigli - torcia di pidocchi dove si trova il cane nodo di topi e nascondiglio del palazzo di vecchi stracci - le bandiere che friggono nel tegame si contorcono nel nero della salsa d’inchiostro sparsa nelle gocce di sangue che lo fucilano - la strada sale sino alle nuvole attaccata per i piedi al mare di cera che imputridisce le sue viscere e il velo che la copre canta e danza folle di dolore - il volo di canne da pesca e alhiguí ahliguí del funerale di prima classe del furgone di sgombero - le ali spezzate rotolano sulla tela di ragno del pane secco e dell’acqua chiara della zuppa di zucchero e velluto che dipinge il colpo di frusta sulle sue guance - la luce si nasconde gli occhi davanti allo specchio che le fa il verso e il pezzo di torrone delle fiamme si morde le labbra - gridi di bambini gridi di donne gridi di uccelli di fiori di travature e di pietre gridi di mattoni gridi di mobili di letti di seggiole di tendine di pentole di gatti e di carte gridi di odori che si graffiano gridi di fumo che pongono alla gola i gridi che cuociono nella caldaia i gridi della pioggia d’uccelli che inondano il mare che rode l’osso e si rompe i denti mordendo il cotone che il sole intinge nel piatto che il borsellino e la borsa nascondono nell’impronta che il piede lascia sulla roccia.

Gravures de Pablo Picasso 





Patrick O’Brian. Pablo Ruiz Picasso. A Biography
Harper Collins Publishers Limited 1976
Edizione italiana: Picasso. Traduzione di Paola Merla
Longanesi & C. 1989, pp. 367-370

La guerra in Spagna volgeva al peggio; sebbene l’attacco a Madrid fosse stato respinto dopo un terribile corpo a corpo per le strade e nell’università, era ormai chiaro che la neutralità delle grandi potenze era una crudele farsa; la Francia e l’Inghilterra agirono probabilmente in buona fede, pur con idee molto confuse, ma si perdettero in un mare di parole mentre Hitler e Mussolini facevano affluire rinforzi in aiuto di Franco. C’erano ormai circa diecimila tedeschi e quarantamila italiani schierati a fianco delle truppe nazionaliste, per non parlare dei nordafricani, mentre Hugh Thomas calcola che il numero totale dei russi fosse di circa cinquecento, anche se naturalmente l’Unione Sovietica inviò anche aeroplani, armi e carri armati, in parte usati dai volontari delle Brigate internazionali. Le truppe tedesche e italiane erano forze regolari e addestrate e tra i tedeschi si contavano molti comandanti e piloti della Luftwaffe, ansiosi di migliorare il proprio rendimento e di sperimentare tecniche e armi su bersagli veri, in vista della più grande guerra che si andava preparando.
Con slancio appassionato Picasso scrisse una poesia, Sogno e menzogna di Franco, un poema surrealista in cui parole rabbiose si affastellano l’una sull’altra raggiungendo quasi quel delirio ritenuto un tempo da Eluard come l’espressione della ragione all’apice della sua purezza: «fandango de lechuzas escabeche de espadas de pulpos de mal aguero estropajo de pelos de coronillas de pie en medio de la sartén en pelotas - puesto sobre el cucurucho del sorbete de bacalao frito en la sarna de su corazon de cabe-stro - la boca llena de la jalea de chinches de sus palabras». Una traduzione letterale di questo frammento «Fandango di civette salamoia di spade di polpi di malaugurio strofinaccio di peli di tonsure ritto nel centro di un tegame a coglioni nudi posto sul cono del gelato di merluzzo fritto nella rogna del suo cuore di bue la bocca piena della gelatina di cimici delle sue parole» non rende la sonorità violenta e gli echi dell’originale spagnolo: la poesia era però rivolta a un pubblico di spagnoli ed era accompagnata da illustrazioni secondo la tradizione spagnola e catalana, come fosse un’aleluya o un’auca, ossia da una serie di piccoli quadri, ognuno in sé conchiuso ma tutti collegati fra loro. Sono acqueforti, qualcuna con scene ispirate agli orrori della guerra - donne uccise, case incendiate, l’innocenza violata - altre relative a Franco, rappresentato di volta in volta come un essere amorfo e ributtante, una sorta di ascidia piena di protuberanze setolute, ma umana quel tanto che basta a farla riconoscere come tale, in procinto di distruggere con un piccone un busto di marmo; o come un fallo con gli stivali che cammina sulla fune sventolando un vessillo sacro; o ancora, circondato da filo spinato, in preghiera davanti a un ostensorio sul quale è scritto «1 duro» (cinque pesetas: simbolo del denaro); nell’atto di uccidere Pegaso o come una specie di meschino centauro sventrato da un toro. La figura del toro com­pare tre volte, due volte mentre attacca il Caudillo e un’altra nell’atto di spaventarlo. Inizialmente le scene erano quattordici, ma in giugno Picasso ne aggiunse altre quattro: donne urlanti, bambini massacrati, una ragazza uccisa.
La sequenza non è chiara, ma non è necessario che lo sia: il complesso di incisioni accompagnate dalla poesia esprime il caos mostruoso, la follia, l’assurda crudeltà della guerra e il rifiuto assoluto da parte di Picasso non soltanto della guerra ma anche dei valori della destra. È forse significativo che non vi compaia la croce.
Il Sogno e menzogna di Franco fu l’enunciazione più chiara dell’atteggiamento di Picasso in un momento in cui correvano voci sul suo scarso appoggio alla causa repubblicana, a favore della quale ora si schierava senza incertezze e senza possibilità di ripensamenti; e dal momento che il 1937 avrebbe dovuto essere l’anno di un’altra grande esposizione internazionale a Parigi, il governo iberico gli chiese di contribuire dipingendo un’intera parete del padiglione spagnolo.
Picasso accettò, certo; ma in Spagna ciò significa molto spesso il contrario ed è probabile che i funzionari che gli avevano trasmesso la richiesta, anche se ignari della riluttanza di Picasso ad accettare ordini e commissioni che inevitabilmente lo avrebbero condizionato, se ne ripartissero in preda a un certo sconforto.
In effetti Picasso si dedicò ad altre opere: un ritratto di Marie-Thérèse, con una ghirlanda di fiori sul grazioso capo, altre nature morte, una Marie-Thérèse seduta sul pavimento con le gambe ripiegate sotto di sé, la schiena rivolta a una finestra che si apre su un balcone, uno specchio semiaperto a lato e un vaso da fiori di fronte. L’incisivo ritratto di Dora Maar risale anch’esso all’incirca allo stesso periodo, anche se il mese non è noto con sicurezza: il colore è assai più carico e l’atmosfera emotiva completamente diversa, ma anche qui ritroviamo gli occhi (uno azzurro chiaro, uno arancione) sullo stesso lato del viso, visto di fronte e di profilo, e anche qui la figura è seduta in una piccola poltrona, all’interno di uno spazio compresso e indicato con precisione da linee verticali e orizzontali.
Dopo l’innaturale e prolungato periodo di riposo Picasso stava lavorando a ritmo accelerato; ancora nature morte e un gruppo di dipinti molto curiosi. Dei quattro o cinque della serie quello riprodotto più frequentemente è la Baignade, che a prima vista sembra dipinto nello stesso periodo della terribile bagnante dalla testa di mantide del 1929. Il vasto spazio di mare e di cielo è lo stesso e le grandi forme di legno levigato dall’apparenza quasi ossea presentano un ovvio richiamo a quel mostro, ma lo spirito è del tutto diverso e le figure - in questo caso due fanciulle dalla struttura architettonica con facce appena accennate, ventre a forma di uovo, seni ovali e appuntiti, intente a giocare con una barchetta sulla riva, sono miti, innocue; e persino la prodigiosa testa che si fa loro incontro all’orizzonte e le guarda ha soltanto un’espressione di benevola curiosità. La calma non cela la minaccia, l’incubo si è allontanato.
Eppure, proprio in quei giorni Málaga si trovava sotto l’incubo più terribile della sua lunga storia di assedi, assalti, incendi, massacri. Fin dai primi giorni della guerra, Málaga e il territorio circostante erano stati un’isola repubblicana in zona nazionalista, unita al resto della Spagna quasi solo dalla strada costiera. A metà gennaio del 1937 l’attacco ebbe inizio: ai primi di febbraio i fascisti, inclusi nove battaglioni di italiani con automezzi blindati e carri armati, entrarono nella città, semidistrutta dai cannoni e dai bombardamenti. Immediatamente ebbe luogo un’epurazione feroce e la morte avanzò lungo la strada di Almeria, dove mezzi corazzati e aerei inseguirono e raggiunsero gli innumerevoli fuggitivi.
La caduta di Málaga coincise quasi esattamente con una delle più serene fra le nuove tele «ossee», una donna seduta sulla spiaggia che si toglie una spina di riccio dal piede, e con il quadro di Marie-Thérèse accanto allo specchio. Non c’è dubbio che le notizie raggiungevano Parigi in ritardo, incomplete e poco sicure, ma comunque arrivavano. In un primo momento mi era sembrato che l’assenza di una reazione immediata da parte di Picasso stesse a indicare il suo distacco dalla città natale e il suo identificarsi con la Catalogna; ma, riflettendoci, credo di aver capito che il furore covava già, si gonfiava man mano che giungevano le notizie, incapace però, per alcune settimane, di trovare espressione, finché un’altra tragedia agì da catalizzatore, liberando le emozioni in un’esplosione che abbracciò non soltanto quell’avvenimento, ma la guerra civile spagnola intera.

Dessins d'André Masson






Roland Penrose. Picasso. His Life and Work
Gollancz, London 1958
Edizione italiana: Picasso. L’uomo e l’artista
Pgreco Edizioni 2012, pp. 351-354

«Sogno e menzogna di Franco».
A Le Tremblay Picasso viveva felicemente staccato dalle inquietanti preoccupazioni di Parigi. Le sue brevi visite gli consentivano di gustare qualcosa di simile alla vita familiare; ma quando tornava nella capitale si lasciava di nuovo prendere dalle ansie crescenti dei suoi amici. Le notizie che giungevano dalla Spagna erano cattive, e, come in tutte le guerre civili, nelle quali persino i fratelli possono trovarsi l’uno contro l’altro, la situazione era dolorosamente aggravata dal doppio gioco, dal sospetto, dall’odio. Da Barcellona sua madre lo informava dell’incendio di un convento a pochi passi dalla casa ov’ella viveva, con la figlia vedova e i cinque nipoti. Per intere settimane le stanze erano state invase dal tanfo, e i suoi penetranti occhi neri, modello di quelli del figlio, lacrimavano per il fumo.
Per il gruppo di giovani poeti, pittori e architetti che avevano di recente organizzato le mostre dell’opera di Picasso, la difesa delle libertà democratiche era diventata una questione di vita o di morte. Molti di loro avevano precipitosamente impugnato le armi ed erano partiti per il fronte. Altri, per controbattere la propaganda fascista, la quale asseriva che i tesori d’arte della Spagna erano saccheggiati ed incendiati da turbolente folle di anarchici, si misero a studiare antichi monumenti trascurati e ad organizzare nuovi musei. Anche a Parigi si era costituita una notevole unità tra gli intellettuali a sostegno della Spagna repubblicana, unità che, come fa notare il Soby, non aveva avuto l’eguale dai giorni della guerra per l’indipendenza greca, cent’anni addietro.
Era proprio quello l’anno scelto dal governo francese per una grande mostra internazionale, e per i repubblicani di Spagna era di grande importanza che il loro governo fosse ben rappresentato. Un giovane architetto, già membro attivo del gruppo adlan, José Luis Sert, fu incaricato di organizzare la propaganda ed ebbe il compito, insieme a Luis Lacasa, di progettare il padiglione spagnolo. Picasso si era già impegnato a collaborare in qualche modo, così da render note a tutti le sue simpatie, e si faceva un gran parlare di quale forma ciò avrebbe assunto.
Fin da gennaio egli aveva incominciato a incidere due grandi lastre divise in nove scomparti, ciascuna delle dimensioni di una cartolina. Secondo l’intenzione originaria, le stampe avrebbero dovuto vendersi separatamente a beneficio degli spagnoli che si trovavano in difficoltà. Ma quando l’opera fu compiuta, il 7 giugno, i fogli delle incisioni ombreggiate con l’acquatinta erano di sì grande effetto nel loro insieme, che fu deciso di venderli interi con l’aggiunta di un altro foglio che era il facsimile del manoscritto di un lungo e violento componimento poetico di Picasso. A questi tre fogli furono aggiunte le traduzioni in francese e in inglese dei versi, e una copertina disegnata da Picasso, con su il titolo della cartella Sogno e menzogna di Franco.
La storia della violenza e della miseria provocate dall’arrogante capo della rivolta militare si legge di disegno in disegno, come in un racconto a fumetti o come nelle popolari «Alleluias» spagnole che Picasso aveva conosciuto da bambino. A personificare il dittatore egli inventò una figura grottesca e ripugnante, con un’acconciatura a mo’ di corona simboleggiante il suo atteggiarsi a eroe della cristianità, salvatore della tradizione spagnola e amico dei mori. Il grottesco personaggio impugna uno stendardo in cui la Beata Vergine assume la forma di un pidocchio. Assale con una scure il nobile profilo di un busto classico. Protetto da un filo spinato s’inginocchia di fronte a un ostensorio in cui è esposta una moneta. In groppa a un porco giostra con il sole. Il cavallo che egli monta pomposamente trascina al suolo le viscere, e poi, massacrato dalle sue stesse mani, giace contorcendosi ai suoi piedi. Donne giacciono senza vita nei campi, o fuggono con i bambini dalle case in preda alle fiamme, o alzano le braccia in gesti disperati. Una sola creatura riesce a tenere in scacco il male, il toro, che nella sua forza pura sbudella il mostro con le corna.
«... Grida di bimbi grida di donne grida d’uccelli grida di fiori grida di travi e di pietre grida di mattoni grida di mobili di letti di sedie di tende di pentole di gatti e di carte grida di odori che s’afferrano l’un l’altro grida di fumo che punge la spalla delle grida che cuociono nel calderone e della pioggia di uccelli che inonda il mare che rosicchia l’osso e si spezza i denti mordendo il cotone grezzo che il sole asciuga dal piatto che la borsa e la tasca nascondono nell’impronta che il piede lascia sulla roccia » - con questo torrente d’immagini verbali Picasso termina il suo componimento poetico, che è come la premessa del resoconto visivo sulle calamità di cui Franco fu autore.
La guerra di Spagna fu sentita da Picasso in modo così acuto, che egli non poté evitare di venire personalmente coinvolto. L’odiosa figura inventata per Franco derivava dall’immagine, così come egli se l’era immaginata, di un mostro che sentiva latente dentro di sé. Non molto tempo dopo che aveva finito la serie, gli chiesi di firmare la copia che avevo acquistata. Egli lo fece, ma dopo aver scritto il mio nome iniziando con una P minuscola, vidi con stupore che la lettera maiuscola con la quale incominciava la sua propria firma aveva fondamentalmente la stessa forma della testa contorta e grottesca da lui inventata per l’uomo che più odiava. La forza che egli impresse all’immagine, ripresa subcoscientemente da una fonte così intima, indicava fino a qual punto si sentisse coinvolto di persona. Il desiderio di compromettere se stesso per mezzo della sua iniziale non poteva essere più convincente. Proprio come un tempo aveva basato spesso su di un autoritratto idealizzato l’immagine dell’eroe, Arlecchino, così altrettanto personale era adesso, in una prospettiva rovesciata, l’origine subconscia della forma attribuita all’uo­mo che più odiava.






 Picasso illustratore. A cura di Elena Pontiggia
Skira editore 2007, pag. 72
Sueño y Mentira de Franco
Paris 1937, mm 572 x 385
2 acqueforti e acquetinte

Come già fece Mirò con il pochoir intitolato Aidez l’Espagne, nel quale si vede un contadino catalano che indossa il tradizionale berretto rosso e mostra il pugno chiuso, anche Picasso, nel 1937, decise di creare un’opera grafica che venisse venduta per finanziare la Repubblica spagnola, impegnata nella sanguinosa guerra civile contro le milizie fasciste di Franco. Ideò un’elegante cartella che chiamò Sueño y Mentira de Franco, ossia Sogno e menzogna di Franco. La cartella, curata in ogni dettaglio, compresa la copertina disegnata dall’artista, conteneva due incisioni e una poesia surrealista di visionaria verbosità, composta da Picasso. Il breve poema venne riprodotto in forma di manoscritto, ma anche con la trascrizione a stampa in spagnolo e le traduzioni in francese e in inglese. L’autore, pur senza trascurare l’aspetto estetico, era preoccupato di comunicare nel migliore dei modi il suo messaggio e perciò, in questo lavoro, ricerca stilistica e contenuti politici si intrecciano e si sovrappongono in maniera esemplare. Le due lastre vennero acciaiate per consentire un’alta tiratura, che raggiunse gli 890 esemplari, e una maggiore diffusione dell’opera. Le diciotto scene raffigurate in altrettanti riquadri, nove per ciascuna lastra, in un primo momento vennero pensate per divenire cartoline postali ed essere vendute singolarmente a prezzi popolari, ma fortunatamente solo pochi fogli vennero effettivamente tagliati.
Picasso eseguì le incisioni di getto, in soli due giorni, tra l’8 e il 9 gennaio 1937, portando però a termine unicamente la prima lastra, mentre realizzò solo cinque scene della seconda, lasciando il lavoro incompiuto. Alla tecnica dell’acquaforte, utilizzata per tratteggiare i contorni delle figure, si aggiungono le delicate lumeggiature all’acquatinta. La composizione si struttura come un racconto a fumetti, per il quale il pittore si ispirò alle stampe popolari spagnole. Scelse di adottare un registro linguistico che oscilla tra il caricaturale e il grottesco, dove Franco venne raffigurato come un essere mostruoso e ripugnante, impegnato in una serie di azioni laide e disdicevoli: lo si vede cavalcare un porco, reggere con il suo membro uno stendardo, pregare inginocchiato davanti a una moneta e distruggere una statua classica. In due riquadri il Caudillo viene atterrato da un toro bello e possente, che simboleggia il popolo spagnolo e la Spagna repubblicana. Picasso, in queste scene, attaccò violentemente il futuro dittatore con una satira incisiva e graffiante.
Per mesi Picasso abbandonò le due lastre, che furono portate a termine nel maggio del 1937; ma prima che l’artista riprendesse il suo lavoro accadde un drammatico episodio che diede una svolta radicale alla genesi dell’opera. Il 26 aprile, poco prima delle cinque del pomeriggio, la legione Condor dell’aviazione tedesca, che appoggiava l’esercito franchista, si levò in volo e bombardò il centro abitato di Guernica per più di tre ore. Nel corso della terribile aggressione gli aerei lanciarono bombe incendiarie da cinque quintali e, volando a bassa quota, spararono con le mitragliatrici sui civili che cercavano riparo scappando verso le campagne. Alla fine della rappresaglia rimasero al suolo 1654 vittime e 889 persone rimasero ferite; la cittadina, quasi completamente rasa al suolo, era in preda alle fiamme. Il paese, che oggi conta circa quindicimila abitanti ed è nominato “città della pace”, nel 1937 ne aveva solo settemila e non era certo un obiettivo di importanza strategica. Guernica fu la prima città nella storia a venire distrutta dall’aviazione e si può dire che i nazisti fecero le prove generali per la seconda guerra mondiale.
All’indomani del bombardamento, sebbene nazisti e franchisti tentassero di negare tutto, lo scandalo scoppiò a livello internazionale. I giornalisti del “Times”, del “Daily Telegraph”, di “Ce Soir” e della “Reuter” pubblicarono fotografie e reportage che impressionarono l’opinione pubblica. Anche Picasso rimase profondamente turbato e decise di dedicare allo sconvolgente evento il dipinto che intitolò semplicemente Guernica. Nel mese di maggio, mentre lavorava alla grande tela che avrebbe esposto all’Esposizione universale di Parigi, portò a termine anche la seconda lastra di Sueño y Mentira de Franco, utilizzando gli stessi disegni preparatori creati per il dipinto. Per questo motivo, alcune figure del secondo foglio sono molto simili a quelle che si vedono nel quadro. Le ultime quattro scene incise dall’artista sono molto diverse da quelle eseguite in gennaio: la caricatura e la parodia, per quanto feroci, sono ormai inadeguate alla drammaticità degli eventi e lasciano il posto a immagini tragiche che esprimono dolore e disperazione. Le morbidezze dell’acquatinta scompaiono completamente e vengono sostituite da intensi segni neri.
Mentre Guernica è un dipinto con una valenza simbolica e universale che lo slega dall’episodio da cui è nato e lo fa diventare un messaggio imperituro per la pace, la dignità e la libertà di tutti gli uomini del mondo, Sueño y Mentira de Franco, invece, è visceralmente e indissolubilmente legato alla storia ed è il fulgido manifesto antifranchista di Picasso.


Caterina Bon Valsassina
Guernica di Picasso
Mondadori Electa 2007, pp. 7-9

“La visione di Picasso, quella veramente sua, è una visione diretta” (Stein)
“... tutti gli altri vedevano con i loro occhi il Novecento, ma vedevano la realtà dell’Ottocento. Picasso era l’unico, nella pittura, a vedere il Novecento con i suoi occhi, a vedere la sua realtà.... perciò fu il solo pittore ad avere il problema di rappresentare non le verità che vedono tutti, ma le verità che può vedere lui solo; e quello non è il mondo che il mondo riconosce come il mondo”.
Le parole di Gertrude Stein, la grande amica, protettrice e biografa del pittore, sono a mio avviso l’introduzione più intelligente e utile, la bussola per orientarci (e non perderci) nel caos apparente della complessità di Picasso e di Guernica, il grande murale commissionato nel 1937 dal governo repubblicano di Spagna per il Padiglione Spagnolo all’“Exposition Internationale des Arts et des Techniques dans la Vie Moderne” di Parigi (olio su tela, cm 349,3 x 776,6; Madrid, Museo Nacional Centro de Arte Reina Sofia).
Il 26 aprile del 1937 il mondo aveva “visto” il primo esempio in Europa di un’azione militare di annientamento contro civili inermi, sperimentato nel corso della guerra civile spagnola (1936-1939) su Gernika, città simbolo dell’identità basca, distrutta dalle bombe dell’aviazione tedesca e italiana alleate delle forze antirepubblicane guidate dal generale Franco.
Le “verità che vedevano tutti”, in quei giorni, diffuse dai reportages fotografici e dagli articoli della stampa quotidiana internazionale, erano edifici in fiamme, sventrati, crollati, cumuli di macerie, l’esodo forzato di abitanti e animali. Ma la visione di Picasso del bombardamento di Gernika era “come lo vedeva lui”, non poteva corrispondere a quella dei suoi contemporanei, a qualunque parte politica appartenessero, ed era, come afferma giustamente la Stein, “una visione diretta”, che “andava oltre” l’apparenza di cose, persone, fatti, una visione capace di cogliere simultaneamente più punti di vista, addirittura di prefigurarne lo sviluppo nel tempo.
In Guernica, infatti, Picasso “vede” la realtà del bombardamento di civili inermi nella città basca e la trasforma, estraendone direttamente il “principio attivo”, la causa che lo ha provocato: lo “spaventoso bisogno del[lo] psichismo [umano]... strano fino alla mostruosità ... [di] annientare l’esistenza dei propri simili senza l’ombra di un motivo plausibile”.
Non risultano collegamenti diretti fra il testo allegorico di Gurdjieff sull’“orrore della situazione” dell’uomo (noto a una ristretta cerchia di adepti) e la celeberrima tela di Picasso, salvo il fatto che entrambi vivessero a Parigi negli stessi anni. Eppure, essi hanno in comune una visione della condizione umana antiretorica e spietatamente esatta, tanto che parole scritte e immagine dipinta sembrano potenziarsi a vicenda. A distanza di settant’anni dal fatto storico dal quale ha preso nome il dipinto, il messaggio che Picasso ha voluto trasmettere al mondo con Guernica sembra aver mantenuto intatta nel tempo la sua forza originaria proprio grazie all’esattezza brutale della verità, certamente sgradevole, raffigurata sulla tela.
“Le immagini sono più potenti dei discorsi” o, per usare le parole stesse di Picasso, “Io non faccio discorsi... Io parlo con la pittura” e la potenza “oltre il tempo” di Guernica lo dimostra senza equivoci. Le “parole” utilizzate dal pittore spagnolo per “penetrare nel cuore del popolo, per esprimerne i sentimenti, per incitarlo alla lotta”, dando sfogo così allo shock provocato da un atto di aggressione e brutalità proprio nella sua terra natale, sono segni, forme, colori (gli strumenti del linguaggio della pittura), “organizzati” sulla tela in modo da mettere in evidenza la sua “visione diretta” dell’episodio.
Guernica è la prima opera di Picasso realizzata su commissione. L’unica ragione per cui l’artista accettò l’incarico propostogli da una delegazione di politici e funzionari spagnoli, nel gennaio 1937, “non fu la natura degli eventi che stavano accadendo in Spagna ... ma il fatto che accadessero in Spagna”. Questa circostanza avrebbe giocato un ruolo fondamentale, condizionando fortemente l’“agenda” dell’artista in relazione alla futura “intenzione” del quadro. L’incarico di Picasso per il Padiglione Spagnolo si configura come una committenza anomala: all’inizio, prima del bombardamento di Gernika, il pittore sceglie un tema decisamente apolitico, Il pittore e la modella, per il quale produce solo pochi schizzi; dopo la catastrofe della città basca, decide, in accordo con la committenza, di modificare radicalmente il soggetto in una denuncia politica del crimine franchista; si mette al lavoro e in cinque settimane lo conclude, devolvendo successivamente il compenso di 150.000 franchi, pattuito come rimborso per le spese vive, a favore di un fondo per i repubblicani spagnoli in esilio.






domenica 10 gennaio 2016

Picasso. Presentazione di Fernanda Wittgens



Picasso
Presentazione di Fernanda Wittgens
Silvana Editoriale d’Arte
Milano 1954
pp. 5-12


Terra dell’Umanesimo, l’Italia, con la forza della sua tradizione, assolve tuttora la missione di vaglio d’ogni cultura nuova: una missione di cui pochi intellettuali nostri sono coscienti mentre è chiara, almeno dal tempo di Goethe, allo sguardo del mondo internazionale. Era tempo che il rivoluzionario movimento della pittura moderna, rifluito da Parigi in ogni centro culturale dell’America del Nord e dell’Europa ma non in Italia ove erano apparse soltanto le sporadiche documentazioni delle Biennali Veneziane, fosse illustrato, sulla scena italiana, dal caposcuola del Novecento europeo: Pablo Picasso.
La recente mostra dell’opera pittorica, grafica e plastica del Maestro in Palazzo Reale di Milano ha assolto questo compito per una duplice ventura: per avere potuto raccogliere l’opera giovanile di Picasso documentata da dipinti del Museo d’Arte Moderna di New York, di collezioni private americane, svizzere, francesi, italiane, e soprattutto dai nove fondamentali esemplari provenienti dal Museo d’Arte Moderna di Mosca; e per aver ricevuto, sia pure per un mese solo, il suggello di Guernica, la creazione assoluta del Maestro ed il «documento principe» del Novecento artistico europeo.
All’inizio della sua vita d’artista, è il mondo del sentimento che attrae Picasso; parallelamente, la sua esperienza pittorica si svolge nella cerchia dell’Impressionismo e del post-Impressionismo, se pur una segreta ansia umana ed un rigore che è manifesto segno di integrità spagnola, impediscono all’artista di cadere nei facili effetti decorativi degli epigoni. È la lezione offerta da due rarissimi capolavori del «periodo blu» e del «periodo rosa» di Picasso, conservati nel Museo di Mosca: il Vecchio ebreo e il Saltimbanco.
Comprendiamo che l’azzurro del Vecchio ebreo forzato sino all’austerità del monocromato (sicché il prodigio espressivo è affidato essenzialmente al disegno) ha, per Picasso, il valore di un simbolo di quella vaga socialità che segnava il nascente secolo XX: simbolismo ben altrimenti puro di quello di Puvis de Chavannes e dei neopreraffaelliti, al cui influsso pur non era sfuggita la sensibilissima natura picassiana. Ma ecco il Saltimbanco: la fantasia del Maestro comincia a dominare il sentimento nell’illusoria figurazione della vita del circo; e la pennellata delicatissima accende, sulle forme umane e sul deserto scenario di colline sabbiose, lumi rosa quasi fuochi fatui. Siamo ai margini della trasposizione della realtà sul piano intellettuale, ai margini della creazione dell’arte moderna.
L’autentica attività creatrice di Picasso s’inizia solo nel momento in cui l’artista acquista la consapevolezza che tutte queste esperienze appartengono al passato - un grande passato iniziato nel Barocco e concluso con la pittura impressionista - e che una nuova civiltà deve nascere da un nuovo arcaismo. La lezione di Cézanne, la suggestione dell’arte negra importata all’inizio del Novecento in Parigi, il potente, genuino temperamento spagnolo dell’uomo e dell’artista si sommano felicemente nell’impeto rivoluzionario della pittura «cubista» di Picasso, la prima autentica parola del Novecento artistico.
Ancora i dipinti dei Musei di Mosca hanno offerto gli elementi fondamentali per comprendere il complesso processo di formazione della nuova pittura. Un quadro ha colpito il pubblico italiano per la violenza della sua stilizzazione: Le tre Donne. Quadro eroico, realizza in un clima di passionalità quello che era stato, per Cézanne, un imperativo categorico dell’intelletto: rendere la natura per cubi e cilindri. Ma è una via senza uscita, e, d’altra parte, se Picasso ha potuto risolvere un simile tema con potenza come in questo quadro, lo ha fatto mercé un ritorno al passato, ispirandosi alla scultura romanica della sua terra spagnola, e ne ha emulata la plasticità per quel potere che Leonardo riconosceva alla pittura, di simulare con i suoi mezzi gli effetti dell’arte sorella.
Un altro quadro nella stessa sala di un anno anteriore appariva, ai sensibili, miracolo più sottile e maggiore: la Danza con i veli, tanto più che esso era esposto accanto ai Due nudi della Collezione Silbermann di New York, veri feticci negri in un’atmosfera fauve, che documentavano il primo e non controllato incontro, circa il 1906, con l’esotismo primordiale. L’intellettuale natura di Picasso riprende il dominio nella Danza con i veli, e soggioga l’emozione. Fosforescente di gialli, di azzurri, di verdi, il dipinto mirabile è solo al primo sguardo una simbologia dell’estasi fantastica, una visione orientale; contemplandolo, si discerne la meditata astrazione della forma, il nascere di un nuovo linguaggio figurativo che aderisce alle più sottili ricerche della cerebralità e della ipercultura del nuovo secolo, di quel Novecento che, al suo inizio, si è posto in antitesi assoluta col romantico Ottocento.
Da quest’opera e dai vari studi per le Démoiselles d’Avignon esposti nelle sale milanesi e più genialmente rivoluzionari e convincenti dello stesso famoso grande quadro del Museo di Arte Moderna di New York, si giunge alle espressioni ardite del «cubismo analitico» che dobbiamo considerare nel loro valore polemico : indici della frattura di una civiltà, manifesti di una nuova visione estetica.
L’estetica classica e postclassica conciliavano le loro antitesi nella tradizione mediterranea «dell’uomo misura di tutte le cose» sia che, classicamente, queste fossero a lui subordinate, sia che, romanticamente, divenissero elementi della sua fantasia. Che cosa sono infatti i paesaggi impressionisti se non proiezioni del lirico rapimento dell’uomo ottocentesco, raffinato nella sensibilità dalla poesia e dalla musica romantica, di fronte allo spettacolo della Natura che è serena ed amica secondo l’ottimistica interpretazione della fine del secolo?
Il Novecento segna un brusco risveglio di intellettualità, e con un balzo gigantesco il pensiero umano trapassa dall’apparenza all’essenza, se non vogliamo dire al «metafisico», termine più popolarmente accessibile ma che difficilmente può essere usato, dopo secoli di teologia, in significato nuovo ed elementare. È un’avventura spirituale di cui non abbiamo ancora misurato la grandezza noi che ne siamo partecipi e vittime, perché l’abbiamo scontata con la distruzione degli ottimismi e delle «certezze» scientifiche, con le tragiche catarsi delle guerre, con l’immensa responsabilità di creare, sulle nuove basi cosmiche, una civiltà pur sempre riferita all’uomo. Veggente è invece l’artista, e Picasso cerca di esprimere, mercé il cubismo analitico, la nuova visione del mondo, la nuova estetica dello spazio.
Lo spazio tradizionalmente sentito come ambiente dell’uomo diviene, nell’intuizione del nostro secolo, un’entità, un elemento operante e creativo in quanto collega in unità l’uomo e gli oggetti mercé i suoi piani e le sue luci. Le forme umane e naturali si geometrizzano; nasce la nuova grafia che ripete esperimenti antichissimi di tutte le arti mistiche - dai vasi del Dipylon agli «entrelacs» irlandesi, ai mosaici bizantini - le quali proprio per simboleggiare l’unità cosmica del mondo, imponevano una figurazione in superficie ed uno stile geometrizzato.
È interessante notare la difficoltà di Picasso nella rinuncia all’espressione umana: il Ritratto di Vollard del Museo di Mosca e la Suonatrice di mandolino della Collezione Penrose di Londra non sono privi di echi romantici, sicché più assoluta appare l’esperienza cubista nella Donna in verde della Collezione De Haucke orgogliosamente vitale con le sue forme ampie ed il vibrare dei verdi, nella Donna in poltrona della Collezione Salles di Parigi, raccolta in tonalità di grigio e viola che ne fanno un’opera di meditazione sulle segrete relazioni tra l’atmosfera e la forma umana e nel Violino del Museo di Mosca, capolavoro della visione cubista, una lirica creata con la vibrazione del prisma. È questo senso di umanità di Picasso che sollecita l’artista a chiudere in breve giro di anni, circa dal 1909 al 1914, il cubismo analitico che fu, per Braque e Juan Gris, l’esperienza definitiva, ed a tentare un’altra e più difficile via: «il cubismo sintetico».
Il Giocatore di carte del 1914, generosamente concesso dal Museo d’Arte Moderna di New York e Fruttiera e chitarra, gemma del Kunsthaus di Zurigo segnavano, nella Mostra milanese, più potentemente d’ogni altra tela, l’inizio e lo sviluppo della nuova ricerca che, elaborata in qualche capolavoro dell’artista (ricordiamo Il Balcone della Collezione Rosenberg di New York) condurrà a Guernica. Se fosse consentito fare di un uomo un simbolo, dovremmo seguire questo solo e fondamentale linguaggio del cubismo sintetico di Picasso; ma troppo grave sarebbe la lesione dell’umanità dell’artista. E dobbiamo perciò accennare ad altre multiformi, complesse esperienze che, se si sa «leggere» l’opera del pittore, non nascono dall’io autentico di Picasso, ma sono il riflesso di un mondo iperculturale - quale fu quello europeo del primo Novecento - sulla sensibilissima personalità picassiana. Questo fenomeno ha il potere di provocare le più sorprendenti reazioni che possono essere il classicismo delle opere italiane, lo strano e sentimentale romanticismo dei ritratti di Pablo del 1925 (e tuttavia, in quel periodo, nasce anche il capolavoro cubista dei Tre musici del Museo d’Arte Moderna di New York), l’espressività infine che segna di un particolare timbro l’opera matura dell’artista, ed è certo l’esperienza da lui più sofferta. Come bene ha visto il più acuto biografo di Picasso, Christian Zervòs, quasi in tutti i momenti della sua vita il Maestro è vittima di un dualismo tra la carica affettiva suscitata dagli incontri con la vita ed un bisogno di libertà che lo spinge ad evadere, sino a reagire con violenza all’esperienza ricercata ed insieme temuta. È la natura spagnola che non sa raggiungere, secondo l’esperienza greca, la catarsi della contemplazione, anzi coltiva fanaticamente il dualismo di coscienza ed istinto, di passione sublimatrice e di sessualità, di intelletto e sentimento.
Momenti sereni non mancano tuttavia in questa maturità: l’eterno femminino così inquietante per Picasso, qualche volta assume aspetti di semplice, direi solare naturalezza, ad esempio nel vivente arabesco dell’Odalisca di proprietà dell’artista e in quella Donna col cappello, (anch’essa della collezione personale di Picasso), arditamente sezionata da una ricerca dinamica riflessa dal cinematografo nella cultura del nostro secolo, e che pure, in quest’opera, perde ogni aggressività polemica per la preziosità del colore. È un delicato gioco di azzurri, di gialli chiari, di rosati, raro in Picasso che «vede» generalmente più da freschista che da pittore da cavalletto, per zone di tinte semplici.
Antagonista nell’espressione è la Donna seduta che legge.
Essa appartiene al momento delle esperienze psicanalitiche e al pari della Donna che gioca al pallone sulla spiaggia e della lunare Donna sulla spiaggia dovrebbe esprimere le complicate simbologie dell’inconscio. Fortunatamente riemerge, dalle cerebralissime esperienze, intatta l’austerità del primitivo spagnolo, e lo splendore dei rossi e dei gialli tramuta il simbolo freudiano in un’immagine di Apocalisse catalana. Siamo nel 1937, l’anno di Guernica che sublima questa ancestrale ispirazione picassiana, Guernica frattura della civiltà, canto del dolore del mondo.
Eterno viandante, l’artista procede oltre quel termine, e nel 1938 e nel 1939 torna ad aderire alla vita quotidiana, alle sue possibilità di bellezza; ed ecco la pura gioia estetica del bel colore e delle forme espressive nella Pêche d’Antibes, vero peana della vita marina, inno dell’uomo mediterraneo e, con Guernica, capolavoro assoluto del maestro.
Poi di nuovo, nel ’40, la guerra: ed altri, più terribili mostri e deformazioni e simboli di ferocia come il famoso Gatto che azzanna l’uccello, e la morte stessa col suo gelido riso; e poi, nel dopoguerra, il mondo intimo dell’uomo, la vita di casa tra gli umili arredi domestici. Ecco ad esempio, nella famosa tela del Museo d’Arte Moderna di Parigi, La cazzeruola smaltata, un effetto magico di vita colta realisticamente e poi fissata in astrazione, tanto da dare agli oggetti elementari un segreto significato di umana civiltà.
La biografia potrebbe continuare sino al giorno di oggi, ritessere altre proteiformi esperienze; deve comunque includere la testimonianza dell’opera plastica. Sculture come l’Uomo con l’agnello, La Capra, la Testa di donna del 1937 confermano che qualsiasi materia tratti la mano di Picasso, essa si anima di espressione, palpita di vita: l’impresa prometeica è anzi forse più facile a Picasso nel bronzo che non nella tela campita dai colori. Ma questa biografia per sé interessantissima, nei riflessi di una vasta percezione della modernità ha interesse secondario. È la genuinità di Picasso, non le sue multiformi esperienze, che definisce l’essenza della modernità. E genuino è il cubismo sintetico, la cui realizzazione massima cogliamo in Guernica. Sette metri di tela ordita per la lotta col mare, tela di vela, accolgono la tempestosa figurazione della tragedia della Spagna che segnò la fine di un sogno secolare di civiltà e di progresso umano, ed annunciò l’apocalittico cataclisma della guerra mondiale. Guernica è, ripetiamo, il canto del dolore del mondo: risparmiata la facile eloquenza del colore, Picasso intona questo canto su note di bianco e nero (che variano in infinite gradazioni sino all’avorio rosato, carneo, e al grigio aurorale), lo purifica cioè in un misticismo cromatico che rivela l’estrema sincerità dell’ispirazione.
Dal punto di vista della forma, la lunga, sofferta esperienza del cubismo sintetico si conclude in una pagina che non ha più alcuna cesura né alcun ermetismo d’origine cerebrale; ampia, sonora, costruita, ritmica e commossa. La riempie lo spazio che non è un fondo morto, ma un tessuto animato ed elastico come il tessuto corporeo; e le forme si incidono come vene pulsanti. Una finestra affonda grigia nel bianco, e scopre l’infinita pace del ciclo sulla tragedia consumata; una porta, un muro bianco gridano l’orrore dei reclusi nelle macerie più dello stesso gesto disperato della donna nella casa crollata; un altare, in prospettiva nel fondo, eleva la colomba grigia con la ferita bianca come un’ostia, a simbolo di perdono. E simboli di redenzione nel futuro diven­gono le stesse semplici lampade domestiche, anche perché il loro quieto e fedele lume è più forte delle fiamme distruttrici, e fa discendere sulle vittime, nella gelida veglia al limite della notte, una promessa di pace.
La morte stessa si trasfigura; il martoriato braccio del guerriero stringe ancora il ferro, ma da questo già germoglia un fiore. E la madre che urla il suo strazio ai piedi dell’impassibile toro - il Fato della Spagna - presto chinerà il capo, e si accorgerà del miracolo d’amore: il figlio morto si ricompone nel suo grembo in un dolcissimo arabesco, non è più un morto ma un fantastico fiore reciso. Orrore e pietà ispirano all’artista il contrappunto ardito di spazi architettonici e di volumi plastici che culmina nel nodo centrale del cavallo ferito. Solo uno spagnolo uso alle corride poteva scegliere, come emblema del terrore, il cavallo, e dipingere i suoi occhi folli liquefatti e il suo nitrito primordiale. «Se tutto il dolore del mondo fosse raccolto in un grido, esso assorderebbe il mondo», ha detto un antico poeta. Ecco veramente, nel centro del quadro, un urlo cosmico.
Ed ecco il vertice del nuovo linguaggio. Se l’intero corpo del cavallo avesse dominato la scena, la pittura sarebbe stata pura figurazione senza mito segreto, senza la sottile «speculazione» leonardesca. Picasso delinea in tutta la possanza del volume il petto del cavallo, ed annulla in arabesco le sue altre forme reali, le consuma nello spazio che riassorbe in sé la plastica, ristabilendo un equilibrio fantastico, una suggestione mitica. È l’esperienza dei primitivi riscoperta dall’uomo moderno cosciente, ma al tempo stesso ispirato dal soffio di una passione così vasta che può esprimersi in una forma corale.
Se riapriamo oggi il Cahier d’Art che Christian Zervòs, con la sua intuizione di ogni arte vivente, dedicò nel 1937 a Guernica, sentiamo con stupore la perfetta rispondenza del nostro stato d’animo con quello dei primi scopritori: Zervòs nel suo saggio «Histoire d’un tableau» e Josè Bergamin nelle pagine di irripetibile poesia dedicate al mistero dell’opera, e che si intitolano «Picasso furioso». E sono passati diciassette anni, e una guerra - quale guerra! - ha diviso il secolo XX in due epoche! Eppure intatta, come prevedeva Zervòs, è rimasta la magia di Guernica. Con il critico stesso possiamo spiegarla intellettualmente interpretando come motivo dell’opera la rivelazione sublime della vittoria della vita sulla morte: «Pour ces raisons il est loisible d’affirmer que cette oeuvre trouvera durablement accès au coeur, apporterà des suggestions, suscitera des sentiments, fera naître la conviction qu’il y a des choses plus grandes que la réalité apparente et que parteciper de leur grandeur c’est un peu se relever en dignité».
Con il poeta Bergamin possiamo interpretare la suggestione di Guernica medianicamente, possiamo rinnovare la comunione con Picasso «furioro» di quella collera spagnola che il poeta mirabilmente definisce rivelandone l’essenza mistica: «Le mystère tremble en lui par la vérité colérique de la justice qu’il demande. Car la véritable justice est le couteau de la balance entre un oui et un non définitifs; elle n’est autre chose, en définitive - autre chose idéale, autre réalité - que l’affirmation humaine de la vie à quoi la négation de la mort fait contrepoids. La plénitude de l’être contre le néant».
L’una e l’altra interpretazione è valida, l’una dell’altra complementare, e ad entrambe aderiamo, riconoscendo che Picasso, educato dalla cerebralità parigina all’intellettualismo ed a tutti i suoi orgogli, ha ritrovato l’umanità nell’ora in cui le sue radici spagnole erano colpite dal sacrilegio, e con il potere del genio ha previsto, nell’episodio, il dramma del secolo in un’opera artistica che chiude il passato e prepara l’avvenire. Essa è anche la giustificazione di tutto il suo linguaggio rivoluzionario, e annulla gli esperimenti falliti, denuncia gli errori dell’intelligenza troppo compiaciuta di sé e dell’avventurosa ricerca, stabilisce, nell’opera picassiana troppe volte spinta al di là del limite, quella che è l’accettabile e morale «misura».
Se non avesse dato Guernica, Picasso apparirebbe quale l’Ulisse dantesco, eroe della conoscenza che per la sua sfida agli dei, è travolto nel vortice senza aver raggiunto la suprema verità. Ma Guernica risolve, sul piano dell’umanità e dell’espressione corale, il grande problema dell’arte di oggi, parimenti sollecitata dal mondo della coscienza umana e dalla percezione della vita universale: un’arte che è soprattutto ed essenzialmente espressione, ma che non ama le complicazioni estetizzanti del primo Novecento perché non ha più radici intellettuali, ed individuali, bensì mistiche e sociali. Guernica pittorica e plastica e architettonica, creata con sintesi assoluta di spazi e di volumi, e pur tutta trepida di vita per le vibrazioni sottilissime dei suoi grigi e per le misteriose linee nere che come frecce spinate saettano, nei punti nevralgici, le ampie costruzioni plastiche animandole medianicamente, Guernica è un messaggio di fede che Picasso offre all’artista d’oggi perché con un coraggio ed una libertà pari alla sua, tenti una forma nuova, e vi trasfonda la ricerca severa di un’umanità ricondotta, dal dolore, alla meditazione dell’assoluto, ed ansiosa di ricomporre il lacerato tessuto della civiltà con il potere dell’arte.

FERNANDA WITTGENS