Invitato dalla locale Pro Loco, la sera
del 24 febbraio 2012 a Varano de’ Melegari (Parma) ho tenuto una conferenza
illustrata da diapositive sul tema: Tre
vallate dell’Himalaya indiano. Come
sempre, le mie argomentazioni si fondano sulle esperienze etno-antropologiche,
con mirata attenzione agli arcaici culti rituali.
Commentando l’area del Nag Tibba, non mi
ero scordato di illustrare e commentare l’uso di costruire dei templi sopra le
polle d’acqua sorgiva, un metodo che ha due giustificazioni: 1) conservare
integra la purezza dell’acqua alla fonte, un dovere per chi non dispone di un
acquedotto e di una distribuzione capillare controllata; 2) far guadagnare
quanto più denaro possibile alla casta clericale che ha in esclusiva gli affari
del tempio.
In un'altra vallata, invece, le giovani madri mi
venivano appresso e si slacciavano le vesti per mostrarmi i loro seni carichi
di latte, chiedendomi di toccare con mano. Un segno d’orgoglio per loro: ho il latte per nutrire mio figlio.
Qui aggiungo il testo della mail da me inviata il 12 agosto
2000:
Panthwari.
Il cielo è ingrigito dalle nuvole monsoniche, quindi passo alcune ore
gironzolando per le stradine della parte più antica del villaggio, quella a
valle della strada sterrata. È molto, molto interessante, con le sue tipiche
case di legno ornate d’intarsi. Come da contratto, sono subito circondato da un
gruppo di bambini e tutti vogliono una loro foto ricordo.
Poco
dopo mezzogiorno rompo gli indugi e m’incammino verso il Nag Tibba, il monte
sulla cui vetta - a 3048 metri - vi è un arcaico tempio dedicato al culto del
Naga, il serpente-padre degli umani, esportato nei paesi vicini - Cina, Birmania,
Thailandia e altri - sotto forma di dragone. Procedo veloce. Il sentiero sale
in direttissima verso l’alto, senza andirivieni inutili. Sui 2500 metri di
quota entro nella zona della pioggia, ma ormai ci ho fatto il callo. Pochi
minuti prima delle 15, avvolto dalle nebbie arrivo al tempio, una costruzione
di pochi metri quadrati circondata da un bianco muro di cinta. Nel mezzo del
cortile (il tempio occupa l’angolo sinistro, in fondo) sgorga dell’acqua
sorgiva, elemento prezioso sia per gli umani sia per abbeverare (incanalata e
portata all’esterno del recinto sacro) le mandrie di bufali che i Gujjars -
nomadi musulmani provenienti dai lontani monti pakistani - portano fin qui ogni
anno da tempo immemore.
Scattate
le foto esco dal recinto del tempio, dove trovo ad aspettarmi un giovane
pastore Gujjars con una grossa roncola in mano. Mi fa cenno di seguirlo, io
esito a farlo. Forse intuendo l’origine del mio disagio, il ragazzo posa
l’attrezzo su di un sasso; adesso possiamo andare, e insieme valichiamo un
costone erboso. Un centinaio di metri più in basso vi sono le tende nere dei
nomadi. Tolgo le scarpe infangate ed entro in una di queste. Il tempo di
adattare la vista al buio e mi ritrovo - seduto per terra, su di un tappeto - a
bere latte appena munto in compagnia di uomini, donne e bambini. Alla faccia di
chi, in India, mi aveva sempre dipinto i Gujjars come un’efferata banda di
ladri e di assassini.
Più
scendo a valle e più apprezzo il sole e il caldo. I contadini - sembra che
nessuno ti veda, ma non fai un passo senza essere sotto il loro controllo - mi
vengono incontro e tutti vogliono offrire qualcosa allo straniero che si è
fatto oltre 1500 metri di dislivello per rendere visita al “loro” tempio. Chi
mi porta del latte cagliato, chi delle pannocchie di mais abbrustolite, chi una
tazza di the. Rientro a Panthwari giusto in tempo per la puja al tempio
dedicato a devta Nag e a sua moglie devi Tilka. All’interno, le loro statue si
trovano in due stanze separate, ai lati di un’impetuosa sorgente d’acqua. In
queste valli è uso che tutte le strutture religiose dedicate ai Naga siano
erette a protezione delle sorgenti, e questo perché mantenere la purezza
dell’acqua alle sue origini è una ricchezza per la vita collettiva. In altre
parole: gli spiriti degli antenati sono messi a difesa della vita futura.
* * *
Il giorno seguente, tornando da
Varano de’ Melegari ho introdotto una deviazione, uscendo dall’autostrada al
casello di Lodi per raggiungere una sua frazione, Vigadore. Il perché è subito
detto: da tempo raccolgo materiale inedito su Giovanni Gavazzi Spech, l’uomo
che ha firmato il primo articolo inerente un’ascensione alpinistica nel Gruppo
delle Grigne - (L’Alpinista, anno 1875, n. 6) - la cui
vita chiuderà la serie di libri sul tema Scienziati
e Letterati Esploratori del Gruppo delle Grigne, una collana da me ideata e
di cui ho già pubblicato le monografie dedicate a Leonardo da Vinci, Paride Cattaneo della Torre, Niccolò Stenone, Lazzaro Spallanzani, Mario Cermenati e al Parlaschino.
L’articolo di GGS, possidente che agli
affari di famiglia preferì la letteratura, è scritto con taglio giornalistico e
risente delle frequentazioni da lui avute con la Scapigliatura milanese e con gli autori che
ronzavano attorno alla Cronaca
bizantina dell’editore
Sommaruga.
Apriti cielo. Letto l’articolo di GGS, nelle Sedi delle prime Sezioni del giovane Club Alpino Italiano - provinciale imitazione dell’Alpine Club di Londra - immediata s’innalza al cielo la domanda-protesta: Carneade, chi è costui!
Apriti cielo. Letto l’articolo di GGS, nelle Sedi delle prime Sezioni del giovane Club Alpino Italiano - provinciale imitazione dell’Alpine Club di Londra - immediata s’innalza al cielo la domanda-protesta: Carneade, chi è costui!
Da Lecco, il politicante socialista
Mario Cermenati, già membro di un reale governo, lancia la sua dolorosa
frecciatina contro il Gavazzi sotto forma di nota inserita a piè di pagina in
uno dei suoi troppi scritti.
L’onere di dare una solenne risposta
ufficiale all’incauto GGS se l’accolla il botanico Vincenzo Cesati - al tempo
docente universitario presso l’ateneo di Napoli, uomo che si fregia del titolo
acquisito di barone di
Vigadore – anch’essa
pubblicata sulla rivista del C.A.I. (L’Alpinista, anno 1875, n. 11).
La carriera alpinistica di GGS – sempre
che lui avesse inteso di darle un seguito – è definitivamente
stroncata: che ogni uccello svolazzi pure nello spazio a lui destinato, ma che
lasci liberi i cieli più alti, più tersi, più blu, area di competenza degli
aquilotti C.A.I.ni.
* * *
Oggi come allora, Vigadore è una
frazione prettamente agricola, che così ho descritto in una mail:
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