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venerdì 27 giugno 2014

Lo sciacquone di Hemingway


Il motto “non credere a niente di quel che ti dicono e credi a metà di quel che vedi” è sempre valido. Da qui il duro lavoro di chi scrive di Storia, l’opposto dello scrivere amene storielle. Una prova? Eccola: ho in casa diverse biografie sulla vita e il lavoro di Ernest Hemingway, tutte scritte da rinomati e ben retribuiti cronisti. Tutti questi libri riportano la disgraziata caduta di un lucernario sulla testa di Hemingway, incidente che portò lo scrittore ad una momentanea sospensione della sua vena creativa.

Seguendo l’ordine cronologico, apro Papà Hemingway. Ricordi personali di E. A. Hotchner, libro uscito nel 1965 e stampato in Italia da Bompiani nel 1966, e alle pp. 63-64 leggo:

Un altro giorno che i cavalli di Auteuil riposavano, attraversammo il Pont Royale per pranzare alla Closerie des Lilas, altro locale caro ai ricordi di Ernest. Lungo la strada, egli mi indicò un edificio alto e stretto, all’ultimo piano del quale aveva un tempo abitato con Pauline. “Era un grande appartamento,” disse, “con un lucernario che lo rendeva luminoso. Un giorno venne a trovarci un bohémien di nome Jerry Kelley, un dadaista scomunicato, che prima di partire ebbe bisogno di andare al cesso. Ma invece di tirar la catena della toilette, agguanta la corda del lucernario, le dà un violento strattone, e il lucernario piomba giù in un diluvio di vetro. Io mi trovavo proprio lì sotto e i vetri mi hanno squarciato il cranio. Quando ho visto zampillare il sangue, il mio primo pensiero è stato di salvare il mio unico vestito. Corro in bagno e, per salvare il vestito, mi chino a sanguinare sulla vasca. Contemporaneamente metto un dito sul punto di pressione alla tempia per rallentare un po’ il flusso del sangue che veniva giù come un figlio di puttana. Pauline andò a chiamare Archie MacLeish che si mise in contatto con un suo amico, medico all’Ospedale americano, quel dottor Carl Weiss, che più tardi ammazzò Huey Long. Fece un lavoro davvero orribile sulla mia testa e mi lasciò con questa chiazza di pelle nuda che s’allarga tutte le volte che m’arrabbio. Dopo di che misurammo il sangue che era finito nella vasca e risultò che era più di mezzo litro. Weiss fu certamente più in gamba quando s’occupò di Huey Long che quando dovette badare a me.

Hotchner è un giornalista infilatosi alla corte di Hemingway e queste “memorie” – fin da subito contrastate da Mary, l’ultima moglie di Ernest - sono apparse in libreria tre anni dopo la morte di Hemingway. Più che una biografia a me pare un libro auto-celebrativo, da prendere con le pinzette.

Il secondo libro è un lavoro serio, da topo di biblioteca, con tanti rinvii bibliografici. L’ha scritto Carlos Baker e s’intitola Hemingway. Storia di una vita; la traduzione è di Ettore Capriolo, l’editore è Arnoldo Mondadori, 1970. Apro alle pp. 281-282:

Si era appena riavuto da questa indisposizione, quando all’inizio di marzo gli capitò uno dei più curiosi incidenti della sua carriera. In seguito avrebbe smentito di essere eccessivamente soggetto agli incidenti, ma la vista debole e la goffaggine fisica unite provocarono una notevole serie di disavventure. Questa volta era andato a cena con Ada e Archie MacLeish ed era tornato a casa verso le undici. Alle due andò in bagno. La stanza era freddissima. Qualcuno, volendo tirare lo sciacquone, aveva invece dato uno strattone alla corda che serviva per aprire il lucernario, spaccando il vetro in più punti. Adesso, mentre lui annaspava tutto assonnato con la corda, tutto quel decrepito lucernario precipitò sulla sua sfortunata testa, raschiandogli la fronte poco sopra l’occhio destro[1] e facendolo cadere come un manzo colpito da una scure. Pauline cercò di stagnare l’emorragia con strati di carta igienica, poi chiese aiuto a MacLeish che chiamò un taxi. A questo punto Ernest era stordito e quasi in delirio. Arrivarono all’American Hospital di Neuilly poco prima delle tre. Il medico di turno chiuse con sette punti la ferita aperta che aveva forma di triangolo.
Era ormai troppo famoso perché si potesse ignorarlo e le agenzie d’informazione trasmisero la notizia. Ezra Pound mandò un messaggio da Rapallo. [...] Perkins telegrafò a Guy Hickok chiedendo un resoconto particolareggiato. Hadley, appena lo seppe, inviò una lettera di solidarietà.

Come disse Sciesa: tiremm innanz. Il terzo libro s’intitola Tutti i racconti di Ernest Hemingway, a cura di Fernanda Pivano; Mondadori 1993, pag. LVII:

1928. In febbraio ritorna a Parigi, trova l’appartamento in Rue Ferou gelato perché è saltato l’impianto di riscaldamento e si ammala; in marzo ha uno dei suoi soliti incidenti spettacolari: questa volta andando di notte nel bagno tira un cordone credendo che sia quello dello scarico dell’acqua e invece fa azionare un lucernario, che gli precipita sulla testa provocandogli una ferita di cinque centimetri sopra l’occhio destro,[2] suturata con nove punti all’ospedale americano di Neuilly e di cui conserverà la cicatrice tutta la vita. A cercare di arginare l’emorragia con la carta igienica è Pauline (non Hadley come risulta da una riduzione cinematografica italiana.

La stessa Pivano in Hemingway, Bompiani 2001, pag. 117, scrive:

Gli infortuni culminarono a Parigi nel marzo 1928 quando gli crollò sulla testa un lucernario producendogli sulla fronte una ferita abbastanza grave da richiedere nove punti di sutura: la cicatrice gli restò tutta la vita entrando nella sua aneddotica e confondendosi con gli incidenti di guerra i cui confini nei resoconti dei mass-media non furono mai molto precisi. A me, per esempio, raccontò addirittura che il lucernario era caduto perché Martha Gellhorn aveva cercato di entrare dalla finestra del soffitto in un tentativo di seduzione o per perseguitarlo, in due versioni che cambiavano a seconda dell’umore e non tenevano conto del fatto che aveva conosciuto la Gellhorn nel 1936.

Per finire: ma lui, l’interessato, non ha mai scritto niente sull’incidente? Certo che si: basta aprire Ernest Hemingway. Lettere 1917-1961, un volume curato dal citato Carlos Baker, tradotto da Francesco Franconeri per Mondadori, 1984, e leggere a pag. 184 quanto Hemingway scrive a Maxwell Perkins:

Parigi, 17 marzo 1928
Caro Mr. Perkins,
Guy Hickock mi ha mostrato oggi un cablo della Scribner in cui si chiede come sto di salute e spero quindi che lei non si sia preoccupato. Ero stufo di raccontare i miei incidenti così non ho voluto accennarne. Comunque è stato il lucernaio nel gabinetto - un amico aveva tirato la corda che lo alza invece di tirare quella dell’acqua provocando una crepa nel vetro così quando ho cercato di agganciare la corda (andando in bagno alle 2 del mattino e vedendola penzolare) è caduto tutto quanto. Abbiamo fermato l’emorragia con trenta strati di carta da gabinetto (un magnifico assorbente che ho ormai adoperato due volte per questo scopo in analoghe emergenze) e una legatura emostatica con la tovaglia e un pezzo di legno da ardere. Le prime due legature non sono riuscite ad arrestare niente perché troppo corte - (asciugamani di quelli piccoli) ed ero alquanto preoccupato dato che non avevamo telefono né c’è la possibilità di trovare un medico alle 2 del mattino e c’erano due arterie tagliate. Ma la terza ha funzionato molto bene e siamo andati a Neuilly all’ospedale americano dove hanno messo a posto tutto, legato le arterie, e messo i punti sotto e poi sei altri per chiudere. Nessun effetto collaterale però un maledetto fastidio.

Questa lettera è stata scritta pochi giorni dopo l’incidente, quindi da ritenersi un documento veritiero, perché fin da subito verificabile. Bastava chiedere a Pauline, ai medici dell’ospedale, ai coniugi MacLeish, al tassista, tutti testimoni oculari.

Queste versioni hanno almeno un punto in comune: l’incidente dello sciacquone e del lucernario è successo nell’appartamento al numero 6 di rue Férou, dove Hemingway viveva con Pauline Pfeiffer, la sua seconda moglie. O almeno... questa certezza vale fino al 1963, anno in cui Man Ray - nato Emmanuel Radnitzsky - esce con Self Portrait, un libro pubblicato a Boston da Atlantic Monthly Press/Little, Brown and Company. In casa ho la traduzione edita da Mazzotta nel 1975 e a pag. 154 leggo:

Una sera organizzai una festicciola a casa mia, invitando alcuni amici americani e francesi. A un certo punto Hemingway entrò in bagno, e ne uscì subito dopo con la testa sanguinante: aveva tirato quella che credeva la catena, e che era invece la corda del lucernario; il vetro si era frantumato su di lui. Gli fasciammo la testa, gli misi un cappelluccio di feltro che nascondeva in parte la fasciatura e gli feci una foto.

Sul ritratto Man Ray ha ragione: esiste, quindi non si discute. A non reggere è la storia che questa fotografia sia stata scattata la sera dell’incidente: non si vede una goccia di sangue né sulla camicia né sulla benda, malgrado la ferita sia ancora aperta, non suturata - almeno stando alle parole di Ray. Ne deduco che Man Ray abbia ingrassato la sua biografia col letame altrui. In alternativa, si può leggere questo cameo su Hemingway attraverso il filtro delle parole di Lucien Treillard: «Per tutta la vita, Man Ray rimase un artista dadaista libero, attraversò il surrealismo di cui subì l’influenza, ma conservò fino alla morte la sua assoluta libertà creativa.» Vista da quest’angolazione, la verità rimane un’opinione ...anche se nessuno dei citati autori si è mai dato alla politica.




[1] Al contrario, le fotografie mostrano che la ferita è sopra l’occhio sinistro.
[2] Vedi nota precedente.

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La ferita sopra l'occhio sinistro di Hemingway


giovedì 26 giugno 2014

Hemingway a Parigi





«Le sparatorie continuarono per parecchio tempo in rue de l’Odéon, e cominciavamo a esserne proprio stufe quando un bel giorno una fila di jeep venne su per la strada e si fermò di fronte alla mia casa. Udii una vociona profonda gridare “Sylvia!” e tutti nella strada ripresero il grido.
“È Hemingway! È Hemingway!” gridò Adrienne. Volai giù per le scale, e finii addosso a Hemingway che mi tirò su prendendomi sotto le ascelle, mi fece girare in aria e mi baciò fra gli applausi della gente per strada e alle finestre.
Salimmo in casa di Adrienne e facemmo sedere Hemingway: aveva addosso la divisa con cui aveva combattuto, sporca e insanguinata. Chiese a Adrienne un pezzo di sapone, e lei gli diede il suo ultimo dolce.
Domandò se poteva fare qualcosa per noi, e noi lo pregammo di liberarci dai franchi tiratori nazisti che si nascondevano sui tetti delle case della nostra strada, specialmente sul tetto di Adrienne. Hemingway fece scendere i suoi uomini dalle jeep e li guidò sul tetto; udimmo dei colpi, per l’ultima volta in rue de l’Odéon. Poi Hemingway e i suoi uomini ridiscesero e si allontanarono sulle loro jeep, “per liberare”, così disse Hemingway, “la cantina del Ritz”.»

Con queste parole Sylvia Beach mette la parola fine al suo libro Shakespeare and Company, consolidando (consciamente) il mito pubblico di Ernest Hemingway, ampiamente utilizzato - vero o falso che sia - per far cassa dai signori dell’informazione.

* * * * *

Anno 1920. Dopo aver accudito per tre mesi la madre morente, Hadley Richardson lascia St. Louis per una vacanza a Chicago, invitata da una vecchia compagna di scuola che le trova alloggio in una casa-pensione. Qui conosce Ernest, un giovane ufficiale in congedo, gravemente ferito sul fronte italiano e due volte decorato al valor militare. Tre settimane dopo lo invita a visitare St. Louis. Invito raccolto.

Al liceo Ernest se l’è cavata bene scrivendo per il giornale scolastico e il giornalismo è nel suo mirino. Quando a dicembre è assunto dal Cooperative Commonwealth di Chicago, il giovane cronista si precipita a St. Louis e festeggia con Hadley il suo primo stipendio. Lei gli rende la visita nel marzo 1921, un mese fortunato per Ernest: dopo aver vissuto a Parigi, Sherwood Anderson, un mostro sacro della letteratura americana di quei tempi, proprio in quel mese ha preso casa a due passi dall’appartamento che Hemingway condivide con altri aspiranti scrittori e i colloqui tra i due s’infittiscono.

Nel frattempo il ragazzo ha dell’altro a cui pensare: sabato 3 settembre 1921, alle ore 16, nella First Presbyterian Church di Horton Bay, Ernest Miller Hemingway, di anni 22, sposa Elizabeth Hadley Richardson, di anni 30. Oltre ai lunghi capelli ramati[1] lei porta in dote delle obbligazioni che le rendono fra i due e i tremila dollari l’anno, cifra su cui gli sposi contano per “andare nel paese dei mangiaspaghetti in novembre”.

A cambiare le carte in tavola sono i racconti di Anderson, che convince gli Hemingway ad accantonare il loro viaggio in Italia per migrare a Parigi, dove l’ambiente artistico è più vivo che mai e il cambio libero del franco favorisce il dollaro. Il 28 novembre Anderson scrive al suo amico Lewis Galantière di trovare una stanza agli Hemingway, prossimi a salpare per l’Europa. Il 3 dicembre lo stesso scrive altre tre lettere di presentazione indirizzate a Gertrude Stein, Ezra Pound e Sylvia Beach. Con questo viatico - e in tasca un contratto del The Toronto Star Weekly - l’8 dicembre i coniugi Hemingway salpano da New York e già il 23 dicembre Ernest può informare Sherwood che lui e Hadley alloggiano all’Hôtel Jacob e d’Angleterre, 44 rue Jacob (camera 14) e che il Restaurant Pré aux Clercs all’angolo di rue Bonaparte è la loro mensa.

Il 9 gennaio 1922 gli Hemingway si trasferiscono nella loro prima casa parigina, un piccolo appartamento al 74 di rue du cardinal Lemoine, quarto piano (e non terzo, come malamente scritto sulla lapide), latrina sulle scale. Il quartiere è povero e malfamato, la strada lastricata di sassi, ma per i due innamorati “un cuore e una capanna” è già più che sufficiente, come lo stesso Hemingway (in veste di Harry) “fotograferà” in una vignetta inserita in The Snows of Kilimanjaro, pubblicato su Esquire nel 1936:

«non potresti mai dettare qualcosa su Place Contrescarpe, dove i fiorai coloravano i loro fiori per la strada e il colore scorreva sul selciato fino al capolinea dell’autobus; e i vecchi e le donne erano sempre ubriachi di vino e di liquori cattivi; e i bambini con la goccia al naso per il freddo; l’odore di sporcizia e di sudore, di miseria e d’ubriachezza al Café des Amateurs e le puttane del Bal Musette che abitavano al piano di sopra. La portinaia che nella guardiola intratteneva il soldato della Garde Républicaine, con l’elmo con la coda di cavallo sulla sedia. La locataire nella stanza di fronte, col marito corridore ciclista, e la sua gioia quel mattino alla Crémerie quando aveva aperto «L’Auto» e visto che lui si era piazzato terzo nella Paris-Tours, la sua prima corsa importante. Era diventata rossa e ridendo e gridando aveva salito le scale agitando i fogli gialli del giornale sportivo. Il marito della tenitrice del Bal Musette faceva il tassista e quando lui, Harry, doveva partire in aereo la mattina presto, il tassista bussava alla porta per svegliarlo e prima di partire bevevano insieme un bicchiere di vino bianco al banco di zinco del bar. A quel tempo Harry conosceva tutti i suoi vicini, perché erano tutti poveri.
Nella zona della piazza ce n’erano di due tipi: gli ubriaconi e gli sportivi. Gli ubriaconi ammazzavano così la miseria; gli sportivi se ne liberavano con l’esercizio fisico. Erano i discendenti dei comunardi e non si faceva fatica a capire le loro idee politiche. Sapevano chi aveva fucilato i loro padri, i loro parenti, i loro fratelli e i loro amici, quando le truppe di Versailles occuparono la città dopo la Comune e avevano giustiziato chiunque aveva le mani callose, o portava il berretto, o mostrava da altri segni di essere un lavoratore. E tra quella miseria, in quel quartiere, tra una boucherie chevaline e una cooperativa vinicola, lui aveva cominciato a scrivere. Nessun’altra parte di Parigi lui aveva mai amato così, gli alberi dall’ampia chioma, le vecchie case intonacate di bianco con la striscia marrone in basso, il verde allungato degli autobus nella piazza rotonda, la tintura rossa dei fiori sul selciato, la ripida discesa della rue Cardinal Lemoine fino al fiume, e dall’altra parte il piccolo mondo affollato di rue Mouffetard. La strada che saliva al Panthéon e l’altra che lui faceva sempre in bicicletta, l’unica strada asfaltata di tutto il quartiere, liscia sotto le gomme, con le case alte e strette e il misero albergo dov’era morto Verlaine. L’appartamento dove abitavano aveva solo due stanze e all’ultimo piano di quell’albergo lui aveva una stanza, che pagava sessanta franchi al mese, dove scriveva, e di là poteva vedere i tetti e i comignoli e tutte le colline di Parigi.
Dall’appartamento si vedeva solo la bottega del rivenditore di legna e di carbone. Vendeva anche vino, vino cattivo. La testa di cavallo dorata davanti alla boucherie chevaline dove le carcasse rosse e giallicce erano appese nella vetrina senza vetri, e la cooperativa dipinta di verde dove compravano il vino: vino buono e a poco prezzo. Il resto erano muri intonati e le finestre dei vicini. I vicini che di notte, quando qualcuno giaceva in strada ubriaco, lamentandosi e borbottando in quella tipica ivresse[2] francese che a dar retta alla propaganda non esisteva, aprivano le finestre e allora si udiva il brusio delle loro conversazioni.»

A dire il vero, Ernest abiterà poco questa casa, sia per i frequenti viaggi richiesti dal Toronto Star, sia per le lunghe vacanze estive e invernali; e poi, a ben vedere, non è che gli ambienti “artistici” parigini più in auge piacciano così tanto allo “scrittore” Hemingway: basti leggere American Bohemians in Paris a Weird Lot, l’articolo pubblicato sul Toronto Star del 25 marzo per capire il suo punto di vista sui “falsi artisti” che frequentano il Café de la Rotonde. Le opinioni di Hemingway sono chiare: ovunque ci sono luoghi chiassosi utili per apparire e luoghi tranquilli utili per lavorare. Lui preferisce questi ultimi, e di giorno la Brasserie Lipp o la Closerie des Lilas meglio si adattano alle sue esigenze.









Ho scritto che Hemingway ha poco goduto il suo primo appartamento. L’8 aprile 1922 John Bone, il direttore del giornale, gli chiede di lasciare Parigi per andare in Russia quale corrispondente del Toronto Star; Ernest rifiuta. Rimasto in Francia, già il 13 aprile il Toronto Star pubblica Picked Sharpshooters Patrol Genoa Streets, il primo articolo scritto da Hemingway in veste di inviato alla Conferenza di Genova. Seguono altre corrispondenze dalla Svizzera, dalla Germania, dalla Grecia e dalla Turchia (ricordo che tutti gli scritti giornalistici di EH sono riuniti in By-line, uscito in Italia col titolo Dal nostro inviato Ernest Hemingway).

Profetico è un suo articolo inviato da Losanna, pubblicato il 27 gennaio 1923 col titolo Mussolini, Europe’s Prize Bluffer, More Like Bottomley Than Napoleon, scritto che è all’origine del futuro ostracismo del Duce verso i libri di Hemingway. Per la cronaca, i suoi primi racconti pubblicati in Italia si trovano in Americana, una Raccolta di narratori dalle origini ai nostri giorni curata dal censurato Elio Vittorini (Bompiani 1943 anno XXI; riedizione 1968). Uno spiraglio, questo, che dà coraggio alla Jandi Sapi, l’Editrice che nel 1944 mette in vendita L’invincibile, seguito l’anno dopo dal proibitissimo Un addio alle armi e da Chi ha e chi non ha (E il sole sorge ancora e Verdi colline d’Africa seguiranno nel 1946). Perché Einaudi e Mondadori non sono stati i suoi primi editori...

L’albero dell’amore produce i suoi frutti. Il 17 agosto 1923 i coniugi Hemingway disdettano l’appartamento di Parigi e s’imbarcano per Toronto, dove il 10 ottobre Hadley dà alla luce John Hadley Nicanor (Bumby). Rispetto a Parigi la vita in Canada è molto costosa; si aggiunga che il nuovo direttore del Toronto Star - che vede in Hemingway un possibile rivale, ora non più all’estero e con un libro già messo nel carniere: Three Stories and Ten Poems, edito in 300 copie da Contact Publishing Company, Paris - gli toglie la firma. Inevitabile conseguenza, il 6 novembre Hemingway chiede a Silvya Beach di trovar loro un nuovo appartamento a Parigi.

Il 27 dicembre Hemingway si licenzia dal Toronto Star e il 29 gennaio 1924 la famiglia rimette piede in Europa; pochi giorni in albergo e il 10 febbraio Hemingway può scrivere ad Ezra Pound d’aver trovato un semi ammobiliato al 113 di rue Notre Dame des Champs, proprio sopra la segheria di Pierre Chautard, il padrone di casa. Pound non è lontano, abitando al 70bis.
Ernest ha lasciato il giornalismo e adesso per vivere la famiglia può contare solo sulla rendita prodotta dalle obbligazioni di Hadley. Hemingway si mette d’impegno e già lo stesso anno esce in our time (iniziali minuscole, 170 copie), una serie di racconti pubblicati dalla Three Mountains Press di Parigi. Il passo successivo è la firma del contratto con la Boni and Liveright di New York per la pubblicazione di In Our Time (iniziali maiuscole) in cambio di 200 dollari. Il contratto prevede la pubblicazione di tre libri ma con una clausola precisa: se l’editore dovesse rifiutare il secondo libro, l’autore si può ritenere libero da ogni impegno assunto.

Il 20 agosto 1925 Hemingway scrive al padre: «Ho lavorato giorno e notte e completato circa 60.000 parole di un romanzo [The Sun Also Rises]. Devo farne ancora 15.000». Ernest ha ben chiaro in mente che “diventare scrittore” non è la stessa cosa che scrivere articoli per un giornale e che per crearsi un futuro redditizio deve liberarsi del suo editore di New York, troppo provinciale. Il piano da lui messo in atto è chirurgico: deve fare in modo che sia Liveright a rifiutare il suo secondo libro, sciogliendo il contratto. Accantona The Sun Also Rises e in poco tempo scrive un libretto in cui ridicolizza l’ultimo lavoro di Sherwood Anderson, lo scrittore di punta della Boni and Liveright. Il 7 dicembre Hemingway scrive a Liveright: «le spedisco sul Mauretania di domani il manoscritto del mio nuovo libro The Torrents of Springs» e chiede un anticipo di 500$. Come previsto, Liveright si rifiuta di pubblicare un libro in cui si canzona il suo asso vincente e già il 31 dicembre Hemingway può comunicare a Scott Fitzgerald di essersi liberato dalla Boni and Liveright. L’inedito The Sun Also Rises può adesso ambire a un mercato internazionale.
Nel frattempo, per riposarsi e per fuggire dall’umido inverno parigino, Hemingway disdetta l’affitto dell’appartamento sopra la segheria e porta la famiglia a sciare in Austria, a Schruns, qui raggiunti da Pauline Pfeiffer, una ereditiera che a Parigi si è fatta amica di Hadley.[3] Quando tornano, in primavera, gli Hemingway prendono alloggio all’Hôtel Vénétia in boulevard de Montparnasse; Pauline ha un suo appartamento in rue Picot.

Il 9 febbraio 1926 Ernest sbarca dal Mauretania e a New York prende una stanza all’Hotel Brevoort. Subito dopo va negli uffici della Boni & Liveright, 61 West 48th Street, per formalizzare la scissione del contratto. Il giorno seguente l’editore Scribner, con uffici sulla Fifth Avenue, gli offre 1.500$ d’anticipo per Torrents e The Sun Also Rises. Il 25 febbraio Hemingway sale sul Roosevelt e torna a Parigi, mentre la moglie e il figlio sono in vacanza a Schruns. Ma Pauline non è con loro. Lei è rimasta a Parigi...

Il 14 maggio Hemingway si reca a Madrid, Pensione Anguilar e dopo tre settimane raggiunge Hadley, ospite dei Fitzgerald a Villa Paquita di Juan-les-Pins. La tempesta ha già prodotto i suoi danni: il 21 maggio Hemingway scrive a Sherwood Anderson: «veniamo negli States in autunno per stare a Piggott, Ark.»: è l’indirizzo della casa di famiglia di Pauline Pfeiffer.
In agosto, tornati dal mare, Hemingway e Hadley decidono di separarsi; lui va a vivere in uno studio offerto da Gerald Murphy al quinto piano di 69 rue Froidevaux, Hadley prende una camera all’Hôtel Beauvoir, di fronte alla Closerie des Lilas - ma dopo il 22 novembre Hadley e Bumby si trasferiscono al 35 di rue de Fleurus. Nel frattempo, in ottobre, è uscito The Sun Also Rises. Hemingway scrive una lettera al suo editore, dichiarando Hadley “erede” di tutti i proventi attuali e futuri di questo libro. L’annuncio del divorzio (27 gennaio 1927) raggiunge Ernest a Gstaad, dov’è andato a sciare con Pauline.

Il 16 aprile Hadley e Bumby lasciano Parigi per gli USA. Il 10 maggio, con rito cattolico come richiesto dalla sposa, nella chiesa di Passy Ernest porta all’altare Pauline Pfeiffer. Lei è 4 anni più vecchia dello sposo e porta in dote una grossa cifra in denaro (più tardi il milionario zio Gustav Pfeiffer le regalerà una casa a Key West, comperata per 8.000$, e sborserà l’enorme cifra di 23.000$ necessaria per il loro safari in Africa, cifra comprensiva dell’acquisto dei fucili fabbricati su misura). La nuova coppia si trasferisce al 6 di rue Férou, vicino alla chiesa di Saint-Sulpice; sarà il lucernario del bagno di quest’appartamento a precipitare in testa ad Ernest (marzo 1928), danno provvisoriamente risolto con alcuni punti di sutura.

Il 14 ottobre 1927 esce Man Without Women, raccolta di racconti pubblicati sullo Scribner’s Magazine e sull’Atlantic Montly; a questa data The Sun Also Rises (ribattezzato Fiesta in Inghilterra) ha già venduto oltre 23.000 copie. A fine ottobre Hadley e Bumby tornano a Parigi.

Marzo 1928. Ernest e Pauline s’imbarcano a La Rochelle per l’Avana, un viaggio di 18 giorni. Da qui con un battello a vapore i due proseguono per Key West dove prendono alloggio nel condominio Trevor and Morris, in Simonton Street. A fine maggio la coppia si trasferisce a Piggott, Arkansas e il 28 giugno, a Kansas City, nasce il loro figlio Patrick.

Di fatto, il divorzio da Hadley - peraltro rimasta sempre in affettuoso rapporto con Ernest, anche dopo essersi risposata (luglio 1933) con Paul Scott Mowrer - e le nozze con Pauline hanno messo la parola fine al periodo “povero e felice” del giovane Ernest. Negli anni a venire Hemingway tornerà molte altre volte a Parigi, albergando al Ritz. Ma questa è un altro capitolo della sua storia - e poi, come recita il motto di Ernest Hemingway, «Dans la vie il faut (d’abord) durer», nella vita bisogna (soprattutto) resistere.



[1] Tra le carte di Hemingway vi sono alcune pagine dedicate alla “massa setosa rosso-dorata” di Hadley, annotazioni che Seán Hemingway - il curatore di Festa mobile. Edizione restaurata (Oscar Mondadori 2009) - ha inserito tra gli “otto capitoli inediti” col titolo Piaceri segreti.
[2] In argot, il dialetto dei parigini, ivresse sta per euforia.
[3] Dopo la morte di Hemingway, frugando tra i suoi manoscritti inediti e inconclusi, un nipote ha pensato di rendere pubbliche le pagine sull’avvento di Pauline Pfeiffer nella vita del nonno, introducendole nell’edizione “restaurata” di Festa mobile. Titolo originale dell’inserto: The Pilot Fish and the Rich, manoscritto conservato presso la Hemingway Collection, item 123, edito per la prima volta in A Moveable Feast. The Restored Edition. @ by Hemingway Foreign Right Trust. - Edizione italiana: Festa mobile. Edizione restaurata. A cura e con introduzione di Seán Hemingway. Traduzione di Luigi Lunari. Prima edizione Oscar scrittori moderni giugno 2011. Arnoldo Mondadori Editore, pp. 170-176.


© Testo e foto di Giancarlo Mauri


74, rue du cardinal Lemoine
74, rue du cardinal Lemoine
Rue du cardinal Lemoine dalla finestra
della cucina di Hemingway, 1923 circa
Place de la Contrescarpe
Place de la Contrescarpe
La boucherie
Rue Mouffetard
Rue Mouffetard
Rue Mouffetard
La Closerie des Lilas
Rue Notre Dame des Champs
Rue Notre Dame des Champs
113, rue Notre Dame des Champs
113, rue Notre Dame des Champs
113, rue Notre Dame des Champs
Americana, prima edizione, 1943
L'Invincibile, 1944
Un addio alle armi, prima edizione italiana, 1945