Visualizzazione post con etichetta via Cassin. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta via Cassin. Mostra tutti i post

venerdì 1 novembre 2019

Arrampicare ai Corni, 1969-2019 (2/7)


La sera del 27 dicembre 1968 la passiamo all’osteria del Corno Medale, in compagnia di Zaccheo, il proprietario e gestore. Fuori fa un freddo boia. Un ultimo bicchiere e poi si va a dormire nella tendina che abbiamo piantato a poca distanza dall’attacco della Cassin. Anche il giorno dopo il freddo è carogna - e il Beppe pagherà caro l’essersi dimenticato di mettere l’antigelo nel radiatore della sua Seicento! In parete, non molto lontano da noi c’è baraonda: Tiziano Nardella e soci stanno finendo la Taveggia. Ma in quanti sono? Dalle urla si direbbero una metà di mille. Anche noi oggi siamo qui per assaggiare una via nuova. Attacco per la Cassin. Alla sua prima sosta prendo a destra e salgo tre tiri gnecchi fin sotto gli strapiombi. Tutto in libera: giusto un paio di chiodi di sicurezza e quelli per le doppie. Per oggi ci basta, la via ci pare possibile. Ritorneremo in primavera, quando il caldo avrà sciolto i ghiaccioli che penzolano sopra le nostre teste.
Il punto massimo da noi raggiunto è il terrazzino erboso visibile nella fotografia 7, in alto.





In parte ripetendomi, qui ripropongo quanto da me scritto in una mail datata 2 marzo 2014:

2 marzo 1969. Come prima salita dell’anno dopo la pausa invernale, scegliemmo una via a noi nota: la Cassin-Dell’Oro (il mitico Boga) alla Corna di Medale; 360 metri di sviluppo e difficoltà fino al quarto superiore. Quel giorno avevamo aggregato a noi Diego Pellacini, un ragazzo conosciuto in casa di un’amica che alla prova sul campo rivelò doti aviatorie: sul “traverso” perse la presa e a me, capocordata, toccò il suo ricupero a spalla.
Io e Giuseppe, invece, avevamo una nostra ragione per essere su quella via: il 28 dicembre 1968, - giorno talmente gelido che mise fuori uso il motore della Seicento del Beppe: lui si era scordato di mettere l’antigelo nell’acqua del radiatore! - avevamo portato a buon fine un primo approccio per saggiare la parete della Medale a destra della citata Cassin-Boga, parete dove avevo intravisto la possibilità di aprire una nuova via (mi risulta aperta da altri, tanti anni dopo e con uso di moderne tecnologie; noi s’arrampicava con gli scarponi rigidi ai piedi...). E quel due marzo, avevo portato la mia reflex per scattare delle slides “di profilo”, con l’intenzione di studiare a tavolino i passaggi critici del nostro futuro impegno alpinistico.
Arrivati all’uscita della Cassin-Boga ci si slega e corda al collo si prende uno stretto passaggio che porta al prato e alla discesa. L’avevamo fatto tante altre volte, anche alle due di notte, col buio. Parto io, segue Diego, chiude il Beppe. Pochi passi e sento il tonfo tipico di un masso che cade sul terreno erboso, morbido. Mi volto per vedere cosa sta succedendo e non vedo il Beppe. Io e Diego torniamo sui nostri passi e ...il Beppe non c’è più. Intuisco la disgrazia. Scendiamo a rotta di collo. Alla base ci separiamo; Diego va da Zaccheo per chiamare il Soccorso alpino, io mi porto ai piedi della parete. Cerco finché vedo una macchia bordeaux, il colore del maglione del Beppe. Lui è appoggiato ad un arbusto. In testa non ha più il casco (e mai lo ritroverò, malgrado le tante ricerche). Pochi metri più in alto, appoggiato ad un masso, c’è il suo portafogli.

Alcuni mesi prima, io e il Beppe guardavamo il grande, tondeggiante strapiombo d’origine glaciale, che caratterizza la parte terminale del Corno Orientale di Canzo. Non sapevano se qualcuno lo avesse tentato, ma di certo sapevamo che nessuno l’aveva superato. Io adoravo gli strapiombi, quindi lo mettemmo nel mirino.










Voglio, devo, fare qualcosa per ricordarlo. Fin da subito ho chiaro dove: quello strapiombo che tante volte avevamo osservato dalla SEV porterà il suo nome.


Prima, però, devo rodare Diego alla roccia dei Corni, che lui ancora non conosce. Iniziamo il 13 aprile con la Dell’Oro-Maggi (o dei tre tettial Corno Centrale. Il 25 aprile portiamo a termine la Direttissima Città di Cantù (terza ascensione; la seconda l’hanno fatta gli stessi primi salitori - Giorgio Brianzi & co. - allo scopo di recuperare il materiale rimasto in parete), uscendo in vetta per lo strapiombo chiodato a pressione. [1] Tra il primo e il secondo tiro, già che ci sono, raddrizzo un po’ la via con una variante mica male.





variante Mauri






Già col Beppe avevo scoperto che sul versante del Corno Orientale rivolto verso Valmadrera vi è un monotiro che sale in diagonale verso destra, tutto chiodi e strapiombini. Lo ripercorriamo ancora un paio di volte, poi lo schiodo, lasciando soltanto quello utilizzato per la doppia: Diego pensava che portassi via anche quello! Lo scopo è quello di procurarmi i chiodi che mi serviranno per il mio progetto: una via dedicata alla memoria di Giuseppe Verderio. Qui, sui Corni di Canzo.

[1] Nota tecnica: Corno Centrale, Parete Fasana, Via Direttissima Città di Cantù; prima ascensione: Giorgio Brianzi, Angelo Molteni e altri, 4, 11 e 18 1967; difficoltà d’insieme TD, difficoltà max V, A2.



martedì 13 agosto 2019

Arrampicare in Grigna - Nibbio settentrionale, parete Est


Sono giorni caldi e di penuria - forse per mancanza d’anguria, come dicevano i nostri vecchi.
Costretto a casa, ammazzo le ore più calde passando allo scanner le ritrovate diapositive 6x6 cm, da decenni nascoste in una scatola riposta all’interno di un’altra altra scatola costretta nel box.
Oggi è arrivato il turno dei quattro rotolini impressi il 12 maggio 1973, giorno in cui ero salito ai Piani Resinelli e da qui al Nibbio, un sasso alto 80 metri scalato per la prima volta (da Est) da Emilio Comici. Un’ascensione, la sua, reclamizzata in anticipo da un quotidiano fascista di Lecco, strillo che aveva attirato centinaia di persone ai piedi della parete per ammirare l’exploit del triestino.
E Comici, da par suo, non aveva deluso la folla: i primi metri della sua via sono finiti nella storia dell’alpinismo locale: un attacco di sesto grado (in libera, senza chiodi) era roba che non si era ancor vista…


Il 12 maggio del 1973 ero salito ai Resinelli in compagnia di Alessandro Figini, un bravo ragazzo voglioso di fare ma privo di qualsivoglia esperienza alpinistica.
Quindi nessuna velleità da parte mia, se non che tenere un elementare corso di roccia all’amico - propedeutico alla realizzazione di un progetto che da tempo mi frullava nella testa: sperimentare sul campo se unAlta Via delle Grigne era fattibile, esperienza portata a buon fine con Alessandro poche settimane dopo.
Legato alla corda, ben presto l’amico mi raggiunge in vetta al Sasso Rossi, la guglia alta una quindicina di metri che forma uno dei lati del corridoio ai piedi della Est del Nibbio.
La vetta del Sasso Rossi è un fantastico punto d’osservazione sull’intera parete Est del Nibbio su cui quel giorno erano impegnate alcune cordate.
Proprio di fronte a noi, due alpinisti di lingua tedesca decidono di attaccare la via Campione d’Italia, una delle mie predilette.
Svelto tolgo dallo zaino la Zenza Bronica - due chili e mezzo più altri 7-800 grammi di ottica - inserisco un rotolino (12 diapositive), calcolo ad occhio il tempo e il diaframma (le professionali non disponevano di un esposimetro incorporato) e prendo a scattare, alternando le fotografie dei due sulla Campione con altre che riprendono alpinisti impegnati sulla Boga e sulla McKinley.

Via Campione d'Italia






Via del diedro Boga


Via McKinley



Portata a buon fine la Campione d’Italia, i due teutonici decidono di salire anche la via Comici, anche lei giusto di fronte a noi, sebbene un po’ più a sinistra.

Via dei diedri Comici










Messe nel carniere sia la Campione che la Comici, i nostri due decidono per la via Cassin. Anche qui scatto loro qualche fotografia, finché non vengo distratto dall’arrivo di Gildo Arcelli, un alpinista di grande spessore, uno che negli anni Sessanta aveva ripetuto l’Hasse-Brandler sulla Nord della Grande di Lavaredo, a quei tempi appannaggio dell’élite dell’alpinismo mondiale.

Via Cassin






Gildo e il suo compagno attaccano la Ratti ed io - cambiata l’ottica normale con un mezzo tele, vista la distanza - mi dedico totalmente a riprendere la loro arrampicata.
La giornata fotografica non poteva avere un finale migliore.

Via Ratti