Visualizzazione post con etichetta André Salmon. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta André Salmon. Mostra tutti i post

martedì 1 marzo 2016

André SALMON. La jeune peinture française (1912)



Nel 1912 la Imprimerie Bussière di Saint-Amand (Cher) licenzia La jeune peinture française, il libro scritto da André Salmon che ha trovato nella Société des Trente | Aubert Messin | Paris | 19, quai Saint-Michel 19 | il suo editore.
Il volume in -8° (20,5 x 14 cm) consta di 124 pagine, così suddivise: Avant-propos (pp. 1-7); Les Fauves (pp 9-40); Histoire anecdotique du Cubisme (pp 41-61); L’Art vivant (pp 63-100); Una renaissance du paysage français (pp 101-110) e La peinture féminine au XXe siècle (pp 111-121.
Di questo libro sono state stampate 530 copie numerate, così suddivise: 10 esemplari su carta Chine, 20 esemplari su carta Japon e 500 esemplari su vergé d’Arches.
Questa bassa tiratura, riservata ai soci della Société des Trente, ha contribuito fin da subito a rendere introvabile questo volume, il primo testo stampato in cui si narra dell’esistenza di un dipinto di Pablo Picasso - fino ad allora sconosciuto - raffigurante tre prostitute di un bordello della carrer d’Avynió di Barcellona, postribolo a due passi dalla casa in cui si era trasferita la famiglia Picasso nel 1895 e luogo d’iniziazione sessuale (e di rifugio, per un certo periodo) per il quattordicenne Pablo. Partendo da queste conoscenze, i poeti Max Jacob e Guillaume Apollinare - quest’ultimo aveva avuto modo di vedere questa tela il 27 febbraio 1907 - avevano suggerito il nome di Le bourdel philosophique.
Deluso dai commenti dei suoi più intimi amici, Picasso aveva tenuto Le bourdel arrotolato e appoggiato sul pavimento e questo anche dopo il aver lasciato il Bateau-lavoir. Scrive Antonina Vallentin in Vita di Picasso, p. 154: “Raramente riprodotta (la prima volta nel 1925) Les demoiselles d’Avignon passò nella collezione di Jacques Doucet (1923) che la fissò sul muro del vano delle scale di casa sua. Il quadro fu esposto per la prima volta al Petit Palais di Parigi in occasione dell’Esposizione Universale del 1937.”
Come tante affermazioni di questa autrice, anche questa non corrisponde al vero: in realtà è stato André Salmon - ed è questo che Kahnweiler gli invidiava di più - a presentare nel luglio 1916 al Salon d’Antin di Paul Poiret Le bourdel di Picasso, proposto col nome di Les demoiselles d’Avignon. Non erra invece la Vallentin quando scrive a p. 149 del suo libro: “Non sapete fino a che punto mi irrita questo titolo - ha confessato un giorno Picasso, - è stato Salmon ad inventarlo.”
Due anni dopo sarà la Galerie Paul Guillaime di Parigi ad esporre per la seconda volta Les demoiselles nell’ambito di una esibizione da Picasso a Matisse.
Anno 1922, mese di gennaio. Scrive Pierre Assouline ne Il mercante di Picasso, p. 226: “Kahnweiler ha sofferto molto, nel veder andar via, all’inizio dell’anno, Les demoiselles d’Avignon dallo studio di Picasso. Le ha acquistate per 25.000 franchi il sarto-collezionista-mecenate Jacques Doucet, ben consigliato dalla sua cavalleria leggera nel campo artistico, André Breton e Louis Aragon.”
La transazione non è stata del tutto semplice: Doucet offre 20.000 franchi, Picasso chiede di più. L’accordo si trova su 25.000, a questa condizione: Doucet pagherà a Picasso 2000 franchi al mese fino al raggiungimento della somma pattuita, quando Picasso consegnerà la tela. Alla fine - scrive Breton nel 1961 - nelle tasche di Picasso arriveranno 30.000 franchi.
Nei primi giorni di dicembre 1924 Les demoiselles entrano al 46, avenue du Bois di Nearly-sur-Seine, l’indirizzo della nuova lussuosa casa di Doucet, e lì resteranno fino al 1928, l’anno in cui Doucet trasferisce la sua Maison nel nuovo palazzo residenziale al 33, rue Saint-James di Neuilly.
In cuor suo Doucet desidera che dopo la sua morte, avvenuta il 30 ottobre 1929, Les demoiselles fossero destinate ad essere esposte al Louvre. Contattati in merito dagli eredi, i burocrati del Louvre rifiutano per questioni di Regolamento (al Louvre si espongono solo opere di artisti defunti) e quelli del Luxembourg (dove si espongono anche opere di artisti viventi) decidono di non esprimersi: Picasso è un uomo marchiato…
Al contrario, dall’altra parte dell’oceano vi sono uomini con meno scrupoli circa la vita privata degli artisti: A. Conger Goodyear, presidente del Museum of Modern Art (MoMA) di New York, coadiuvato da César M. de Hauke della Seligmann Gallery e con la mediazione del mercante d’arte René Gimpel, giocano le loro carte. Nel 1937 gli eredi del defunto Doucet (che, guarda caso, risiedono in una casa-museo ad Avignon, Francia) vendono Les demoiselles al MoMA in cambio di 24.000 dollari dell’epoca. E lì ci è rimasto.

Maison Paul Doucet
33, rue Saint-James, Neuilly-sur-Seine
photo Pierre Legrain (1933)







mercoledì 8 luglio 2015

Picasso a Céret, 1912


Autunno 1911. Picasso non ha ancora del tutto smaltito lo stress causatogli dall’affaire Géry Piéret e dal furto delle statuette iberiche al Louvre. Anche in famiglia le cose non girano più nel verso giusto. Il periodo di fame e freddo è alle spalle e la sua compagna Fernande Bellevallé – Amélie Lang all’anagrafe, moglie divorziata di un certo Olivier - scalpita per godersi una vita degna del progressivo arricchimento di Pablo. Inoltre, Picasso è al corrente che la sua musa (ormai ex, nei fatti) frequenta altri letti, ma lui sopporta: il suo lavoro viene prima di tutto.

Al consueto raduno del sabato pomeriggio in casa dei fratelli Stein, Picasso se ne sta mogio mogio in un angolo. Quel pomeriggio il disegnatore polacco Louis Markus, ribattezzato Marcoussis da Apollinaire, arriva accompagnato da una giovane donna che si fa chiamare Marcelle Humbert – all’anagrafe Eve Gouël sposata Humbert. Picasso non riesce a toglierle gli occhi di dosso. Lei ha capito e acconsente. Si aggiunga: appena conosce una nuova donna, Fernande fa di tutto per farsela amica e così è anche con Eve, col risultato che le due coppie Pablo-Fernande e Marcussis-Eve prendono ad uscire insieme per divertirsi al Circo Medrano o agli incontri di boxe, prima di concludere la serata a L’Érmitage, una brasserie con orchestra in boulevard Rochechouart. È questo un locale malfamato, frequentato da ruffiani, puttane e ballerine da poco, ma agli artisti il proprietario riserva una stanza separata, punto di ritrovo dei Futuristi. Qui Picasso incontra Severini, Soffici, Oppi, Meunier e Karl, ma anche i suoi amici di sempre: Max Jacob, André Salmon, Juan Gris, André Derain, Georges Braque, il gallerista Kahnweiler, Guillaume Apollinaire e Marie Laurencin, un’altra coppia in via di scioglimento.

Fernande non fa nulla per nascondere i suoi incontri amorosi con l’ellenista Mario Maunier e con l’attore Roger Karl. Per reazione, Picasso prende in affitto uno studio fuori casa, ritornando al fatiscente Bateau-Lavoir. Il suo vecchio studio (dove ha creato Les demoiselles d’Avignon, tela nota soltanto a pochi intimi e tenuta arrotolata in boulevard de Clichy) è ora occupato da Herbin, quindi si deve accontentare di uno spazio meno gradevole. Quel che importa per lui è l’essere tornato nella vecchia baracca di legno e vetro dove, tra mille privazioni e sofferenze, ha dato inizio al movimento artistico che altri hanno voluto chiamare Cubismo. Di fatto, il suo è un regresso nell’utero rigenerativo e dio solo sa quanto Picasso ha bisogno di rinascere a nuova vita.

Un bel giorno lui prende Eve (ma lui preferisce chiamarla Eva) per mano e lei si lascia condurre in questa baracca, entrando nello studio del pittore. L’uomo e l’artista Picasso rinascono a nuova e gioiosa vita - e l’inserzione della scritta MA JOLIE in una tela rende omaggio al ritrovato amore. Gertrude Stein, che sagacemente ha capito che MA JOLIE in carattere maiuscolo non è certo Fernande, vuole che questa tela sia appesa in casa sua, al 27 di rue de Fleurus. Picasso acconsente e la cede per 1200 franchi, una cifra davvero importante. Leggenda vuole che Gertrude rimarrà «con questo quadro davanti agli occhi fino al giorno della morte».


Fernande
Eve (Eva per Picasso)
1912 - Marcoussis, autocaricatura: lui si è liberato di Eve,
Picasso si è messo una palla al piede

1912. Il 19 gennaio il tribunale di Parigi sospende ogni ulteriore procedimento per lincidente delle sculture trafugate al Louvre. Adesso Picasso può tranquillizzarsi, l'incubo è finito.

Arriva la primavera e Fernande, innamoratasi di un giovane pittore italiano, Ubaldo Oppi, decide di scappare con lui. Scrive Picasso a Braque: «Non credo che lei abbia voluto fuggire da me in maniera definitiva. Lei spera di ritrovarmi più innamorato. In realtà, lei mi ha liberato.» Aggiungerà più tardi: «Veramente è stata una buona idea quella di partire con Oppi. Mai avrei avuto il coraggio di cacciarla.»

Partita Fernande, Eva trasloca in boulevard de Clichy, liberando a sua volta Marcoussis. Come tutta la sua vita dimostra, ogni nuovo amore influisce nell’arte di Picasso, traducendosi in rinnovata volontà di cambiamento. Braque lo raggiunge allo studio del Bateau-Lavoir e insieme portano avanti nuove scoperte, quale l’astuzia di dipingere tele ovali per evitare i problemi che pongono gli angoli in certe tele cubiste. Anche i soggetti cambiano: ora primeggiano i cibi e la cucina, più still life che natura morta.

Alle tele Picasso alterna le sculture e nell’amorosa primavera del 1912 crea el guitarrón in ferro laminato e con le corde di filo metallico. E qui è bene ricordare che nel linguaggio popolare spagnolo la parola chitarra è anche un sinonimo di vulva - ma i critici più delicati scrivono che le forme della chitarra ricordano le curve delle donne, adatte ad essere abbracciate dal suonatore. Preferisco la prima versione: sempre meglio loriginale che non la sua moralizzata interpretazione (più volgare, tra laltro). 



Dopo un breve viaggio a Le Havre in compagnia di Braque - dove Georges presenta la sua fidanzata, Marcelle Lapré, ai genitori - il 18 maggio Picasso lascia precipitosamente Parigi e con Eva raggiunge Céret, installandosi nella casa Peraire o casa dei cubisti, una vecchia fattoria dove Picasso si trova a convivere e a lavorare con Manolo, Sunyer, Séverac, Maillol, Casanovas e altri artisti qui residenti. Le ragioni di questa sua fuga da Parigi trovano una giustificazione nella notizia che corre di bocca in bocca tra i suoi amici e conoscenti: Fernande ha fatto sapere di essersi stancata di Oppi e di voler tornare a vivere sotto il tetto e nel letto di Pablo. Ma adesso Pablo è innamorato di Eva, Eva è innamorata di Pablo ...ma anche di Céret e delle sue celebrate ciliegie, le prime a maturare sul territorio francese. Lui riscopre nuovi stili e introduce nuove tonalità di rosso e di giallo nelle sue tele e Fêtes a Céret, Nature morte espagnole, Violon: Joli Eva ne sono alcuni esempi.

Come già l’anno precedente, il destino vuole che la gioia di Picasso a Céret sia di breve durata. Da una lettera da lui inviata a Kahnweiler apprendiamo che un bel giorno quel «con de Pichot» ha la bella intuizione di raggiungerlo in questo villaggio sui Pirenei in compagnia di sua moglie Germaine (che fu la prima amante di Pablo a Parigi) e di Fernande, ormai staccatasi da Oppi e decisa più che mai a riprendere il suo posto accanto a lui. Per la cronaca, a quel tempo Ramon e Germaine Pichot (Pitxot nella natia Catalogna) gestivano a Montmartre La Maison Rose, un locale a due passi dal Lapin à Gilles, poi diventato Lapin Agile, oggi due mete obbligate per il turismo di massa, che del bel tempo che fu trova solo le insegne.

La Maison Rose
Le Lapin Agile

Di colpo la vita dei due innamorati diventa un incubo. Complice la convivenza con gli altri artisti alloggiati nella cosiddetta casa dei cubisti, una specie di falansterio di stampo socialista, per otto giorni Pablo e Eva subiscono gli attacchi della ex, che non vuole più essere tale, e dei suoi alleati. Pichot rinfaccia a Picasso che è stata Fernande ad essergli accanto negli anni difficili del Bateau-Lavoir. Poi «un energumeno si mette contro di me, mi afferra per la giacca, mi strapazza come fossi un albero di prugne. Mi monta una grande rabbia, mi batto, ci separano. Eva ha preso paura e prende a tossire.»

Il 21 giugno Pablo ed Eva lasciano Céret, ma il pittore non ha nessuna intenzione di rientrare a Parigi. Scrive a Kahnweiler che il binomio Montmartre-Fernande deve essere interrotto. Che disdica l’atelier di boulevard de Clichy e gliene procuri uno nuovo, lontano, a Montparnasse.
Nell’immediato, Picasso si ricorda che ai tempi in cui creava Le Bordel d’Avinyo (in ricordo di un locale di Barcellona - Le Bordel philosophique per Apollinaire, Les Demoiselles d’Avignon per tutti gli altri), giocando sull'assonanza fonetica Avinyo-Avignon Max Jacob gli aveva raccontato che sua nonna era nata nella città dei Papi. Da qui la decisione di portare Eva in questa località, pure a lui ignota. Purtroppo, tutti gli alberghi hanno stanze troppo piccole per uno che non smette mai di coniugare il piacere col lavoro. Gli serve più spazio per poter dipingere. Ad Avignone il dottor Pierre Arlaud gli propone di trasferirsi a Sorgues-sur-l’Ouvèze, un villaggio di 4500 abitanti, distante sì una decina di chilometri, ma collegata da un comodo servizio di tranvai che percorre un lungo viale ben ombreggiato. Laggiù il dottore possiede la villa Les clochettes e in cambio di 80 franchi al mese gli affitta due camere e uno studio. Il 25 giugno Pablo ed Eva si stabiliscono a Sorgues, dove alla fine di luglio sono raggiunti dai coniugi Braque, freschi di nozze, che affittano la villa Bel Air, sulla strada per Entraigues.


Les clochettes

Picasso a Sorgues, 1912

Sorgues-sur-l’Ouvèze è un posto che nulla ha a che vedere coi villaggi che attraggono i pittori per la qualità della loro luce, ma Picasso è proprio questo che cerca: la solitudine, la pace. E poi adesso che sono arrivati i coniugi Braque non mancano le risate, il calore dell’amicizia. «Le due donne parlano di me e certamente di Fernande. Io e Georges delle nostre invenzioni. E poi noi avevamo in tasca i soldi per andare a far festa ad Avignone o allEstaque di Marsiglia. L’estate del 1912, il Cubismo ha lasciato Céret e si è spostato a Sorgues, tra i violini e l’uva, le Jolie Eva, le Ma Jolie e i Pablo-Eva» si legge nel troppe volte citato libro di Jacques Perry, vera miniera di buone informazioni, da me integrato con la lettura di due monumentali biografie in più volumi: una porta la firma di John Richardson, l’altra è frutto delle ricerche di Josep Palau I Fabre, a cui rinvio per la cronologia dellevoluzione artistica di Picasso, raccontata opera dopo opera.
La solitudine del villaggio è tale che i due pittori si permettono il lusso di stendere le loro tele dipinte ad asciugare fuori casa, come fossero lenzuola – e nessuno ha mai pensato a rubarle…

Alla fine di agosto Kahnweiler scrive a Picasso informandolo di aver trovato uno studio-appartamento al 242 di boulevard Raspail, chiedendogli di rientrare quanto prima per gestire il trasloco. Poco dopo Picasso è a Parigi, ma il 13 settembre riparte per Sorgues, accanto all’amata Eva e ai coniugi Braque. Insieme, Pablo e Georges danno vita a una nuova forma d’arte: «les papiers collées, c’est la jeunesse de la peinture».

La vacanza è finita, il nuovo studio non soddisfa Picasso. Accantonato questo risolvibile problema, il futuro artistico per lui si presenta in discesa: il Salon des Indépendants vede una nutrita partecipazione di dipinti cubisti, tra cui l’Omaggio a Picasso di Juan Gris. Inoltre, l’attivissimo Kahnweiler ha brigato affinché Picasso ricevesse l’invito ad esporre alla seconda mostra postimpressionista alla Grafton Gallery di Londra. Sempre a Londra vengono esposti dei disegni del periodo blu e rosa alla galleria Stafford, venduti a prezzi decisamente alti, variabili da 2,5 a 25 sterline. Opere di Picasso sono esposte anche a Berlino, a Monaco, a Colonia, a Mosca e a Barcellona.
Riconoscente, il 18 dicembre Picasso firma un contratto triennale con Kahnweiler, promuovendolo al rango di suo gallerista ufficiale, con una postilla: il pittore potrà sempre tenere per se tutte le opere più intime, quelle che il pittore non vuole siano profanate da occhi estranei. Il mondo scoprirà queste tele solo nel 1961 grazie a Picassos Picasso, il libro realizzato da David Douglas Duncan, il fotografo a cui Picasso ha aperto le porte della Californie di Cannes e concessa l’autorizzazione a riprendere le tele fino ad allora rimaste ignote. Restano ancor oggi la parte più nascosta, quindi più intrigante, della vita di Picasso.





[continua]



© Testo e fotografie di Giancarlo Mauri


























lunedì 6 luglio 2015

Picasso a Céret, 1911


Da un po di tempo Manolo e sua moglie Totote chiedono a Picasso di raggiungerli a Céret, un villaggio catalano nei Pirenei orientali francesi, ai piedi del Canigut, ultima sosta prima di Puigcerda e della Spagna.
Per Manolo - che non essendosi presentato alla chiamata di leva ...e non aver sborsato l’importante cifra utile ad assicurarsi l’esenzione, cosa che per Picasso fece lo zio Salvador versando 1200 pesetas - tornare in Spagna significa finire diritto diritto nelle fauci della galera. E adesso questo villaggio di confine per lui rappresenta la terra promessa, dove può tranquillamente lavorare alle sue sculture. In verità, la scultura è una forma d’arte non molto apprezzata dai collezionisti, quindi economicamente poco redditizia, ma lui riesce a sopravvivere grazie all’aiuto di Frank Haviland e, soprattutto, del fisso garantito che ogni mese gli passa Kahnweiler, il suo mercante a Parigi. Per casa e studio a Céret Manolo dispone delle parti abitabili di un monastero del XVIII secolo, da lui ristrutturate e rese vivibili.

All’inizio di luglio del 1911 Picasso decide di raggiungerli. Quando arriva è solo: la sua compagna, Fernande - che da tempo non nasconde di essere diventata insofferente alla vita di coppia con un artista tutto dedito al lavoro - ha deciso di restarsene a Parigi, nel decoroso appartamento che Pablo, per accentuare il contrasto tra un passato ricco di fame, di gelo invernale e di bollori estivi e l’agiatezza pian piano guadagnata, ha preso in affitto al numero 11 di Boulevard de Clichy - una proprietà di Delcassé, ministro per gli Affari esteri. Lo raggiungerà più tardi, promette, scendendo a Céret in compagnia di Georges Braque. Nel frattempo Picasso alloggia all'Hôtel du Canigou.

Braque e Fernande arrivano a Céret verso la metà di agosto e subito i due pittori si buttano a capofitto nel loro gioco preferito, quello che occupa la loro vita giorno e notte: il lavoro. Per i due, questo di Céret è un periodo ricco di invenzioni creative (cubismo ermetico, scriveranno i critici), quali la composizione piramidale e l’inserimento di lettere dipinte o ritagliate dai giornali nei loro quadri. «Ero molto felice a Céret; Fernande anche, io credo» fa dire a Picasso Jacques Perry nel suo Yo Picasso, biografia edita nel 1982 da J.C. Lattès, Paris, che aggiunge poche righe più avanti: «La sera, tutti noi andavamo al Grand Café de Céret di Michel Justafré, dove i ballerini dell’austera sardana, come a dire metà del paese, guardavano con difficoltà e rimprovero le nude gambe delle nostre donne.»

1911 - Amics, cantem la ceretana...

1911 - Paesaggio di Céret

Il cielo comincia a rabbuiarsi il 23 agosto. Seduto coi suoi amici sotto i grandi platani del Gran Café di Céret Picasso legge sull’Indipendent di Perpignan la notizia del furto della Gioconda di Leonardo, facilmente trafugata dal Louvre. Scherzando, Braque propone di rimpiazzarla con il Busto di Madame Putman, una contadina da loro conosciuta anni prima a La-Rue-des-Bois, la cui testa, sempre secondo Braque, assomiglia ad una forma di camembert e il naso ne sarebbe una porzione. «Noi tutti abbiamo riso di questo sacrilegio». Tutto qui? No, il peggio ha ancora da venire: #staiserenopicasso avrebbe cinguettato un circoncelliano (o parabolano, che è poi lo stesso) dei nostri tempi.
Il primo di settembre i quotidiani rendono nota la scomparsa dalle sale del Louvre di alcune preziose teste iberiche, sculture che pochi giorni dopo tale Géry Piéret porta alla sede del Paris-Journal, dimostrando la fragilità in fatto di sicurezza di quel museo. Ne nasce un nuovo scandalo - e Géry Piéret prudentemente fa sparire le sue traccia.

In data incerta - il 5 settembre per la maggior parte dei biografi, attorno al 25 per Josep Palau I Fabre - Fernande e Picasso lasciano Céret e in treno raggiungono Parigi. Per lui è un viaggio tribolato e ne ha ragione: a suo tempo, nella redazione della Guide de Rentiers Guillaume Apollinaire aveva conosciuto Géry Piéret, un uomo dal passato fumoso che pare avesse vissuto quattro anni in Brasile prima di rientrare a Parigi. Un bel giorno questo Géry Piéret arriva con due sculture - due teste tipiche di quell’arte iberica che tanto aveva scosso Picasso al tempo in cui lavorava alle Demoiselles d’Avignon - e generosamente le regala al poeta (alcuni scrivono che vennero pagate 50 franchi l'una: vai a sapere...) e questi a sua volta ne fa dono al pittore. Ora, dopo i recenti fatti del Louvre, Picasso ha intuito che quel dono a suo tempo gradito è diventato un pericolo.

A Parigi Picasso si mette subito in cerca di Apollinaire, che trova in angoscia - «sembrava aver perso la sua rotondità, come se si fosse sgonfiato», dirà in seguito - e ne ha ben donde: non contento di quanto già fatto, ora Géry Piéret ha pure scritto una lettera ai giornali auto-accusandosi di essere il ladro della Gioconda. I nostri due artisti sono letteralmente presi dal panico: e se la prossima mossa di questo pazzo farneticante fosse quella di rivelare ai quotidiani che Picasso ha in casa due sculture iberiche rubate al Louvre?

Il panico è sempre un pessimo consigliere. Ormai nel pallone, i due decidono che devono assolutamente liberarsi delle due statuette e per farlo scelgono una strada tortuosa: portarsi in piena notte sulle riva della Senna e far scivolare le sculture nelle acque del fiume. Fosse facile: dopo aver camminato avanti e indietro sui lungosenna per una notte intera, macinando chilometri e chilometri col loro fardello sotto braccio, all’arrivo della luce del sole i due non trovano altra soluzione che non recarsi alla sede del Paris-Journal, dove lavora il loro amico André Salmon, affinché fosse il giornale a restituire al Louvre, in forma anonima, le due statuette. Questo gesto non passa inosservato e un loro nemico, un detrattore della poesia e del cubismo, li denuncia alla polizia. Il 7 settembre Guillaume Apollinaire viene arrestato e portato alla Santé.

Pur tra tanti errori, il giorno dopo tutti i quotidiani scrivono di questo arresto:
«Lindividuo arrestato per complicità nel furto, in qualità di ricettatore, è di origine russa. Si chiama Guillaume Hostrowsky [anziché Kostrowitsky, il vero cognome di Apollinaire]. Il ladro sarebbe un certo V., che ha già varcato la frontiera.»
«Pare confermato il fatto che ci sia una correlazione tra i diversi furti di statue fenice e la sparizione del dipinto la Gioconda.»
«Si ha limpressione, presso il palazzo, che ci si trovi di fronte a una banda di ladri internazionali, arrivati in Francia per smantellare i nostri musei.»

Picasso è sempre più in preda al terrore: lui è straniero in Francia e quindi teme l’espulsione, che ai suoi occhi equivale all’esilio. Un’onta, un disonore, soprattutto per la sua famiglia e per i suoi parenti che vivono in Spagna, ancorati ai principi morali e sociali tipici di quella terra.

Un mattino all’alba suona il campanello di casa Picasso. Lui è ancora a letto, addormentato, uso come è a lavorar di notte e dormire fino a mezzogiorno e oltre. Un ispettore di polizia gli chiede di vestirsi e di seguirlo. No, non è in arresto, ma un giudice istruttore vuole un confronto diretto tra lui e Apollinaire. Messi faccia a faccia, i due amici piagnucolano, vaneggiano, pronunciano frasi insulse, si comportano come due perfetti idioti. Del resto non è questo che la gente si aspetta dagli artisti, tutta arte e follia? Stranamente, il giudice non è uno sciocco: comprende il giusto e li manda liberi.

Per dimenticare in fretta questo terribile momento ai due non resta che rituffarsi nel lavoro. Picasso fa di tutto per liberarsi dalla struttura piramidale che ha dominato l'estate 1911 a Céret, Apollinaire lascerà traccia di questi giorni nei sui Calligrammes:

Avant d’entrer dans ma cellule
Il a fallu me mettre nu
Et quelle voix sinistre ulule
Guillaume qu’est-tu devenu




© Testo e fotografie di Giancarlo Mauri