giovedì 26 giugno 2014

Hemingway a Parigi





«Le sparatorie continuarono per parecchio tempo in rue de l’Odéon, e cominciavamo a esserne proprio stufe quando un bel giorno una fila di jeep venne su per la strada e si fermò di fronte alla mia casa. Udii una vociona profonda gridare “Sylvia!” e tutti nella strada ripresero il grido.
“È Hemingway! È Hemingway!” gridò Adrienne. Volai giù per le scale, e finii addosso a Hemingway che mi tirò su prendendomi sotto le ascelle, mi fece girare in aria e mi baciò fra gli applausi della gente per strada e alle finestre.
Salimmo in casa di Adrienne e facemmo sedere Hemingway: aveva addosso la divisa con cui aveva combattuto, sporca e insanguinata. Chiese a Adrienne un pezzo di sapone, e lei gli diede il suo ultimo dolce.
Domandò se poteva fare qualcosa per noi, e noi lo pregammo di liberarci dai franchi tiratori nazisti che si nascondevano sui tetti delle case della nostra strada, specialmente sul tetto di Adrienne. Hemingway fece scendere i suoi uomini dalle jeep e li guidò sul tetto; udimmo dei colpi, per l’ultima volta in rue de l’Odéon. Poi Hemingway e i suoi uomini ridiscesero e si allontanarono sulle loro jeep, “per liberare”, così disse Hemingway, “la cantina del Ritz”.»

Con queste parole Sylvia Beach mette la parola fine al suo libro Shakespeare and Company, consolidando (consciamente) il mito pubblico di Ernest Hemingway, ampiamente utilizzato - vero o falso che sia - per far cassa dai signori dell’informazione.

* * * * *

Anno 1920. Dopo aver accudito per tre mesi la madre morente, Hadley Richardson lascia St. Louis per una vacanza a Chicago, invitata da una vecchia compagna di scuola che le trova alloggio in una casa-pensione. Qui conosce Ernest, un giovane ufficiale in congedo, gravemente ferito sul fronte italiano e due volte decorato al valor militare. Tre settimane dopo lo invita a visitare St. Louis. Invito raccolto.

Al liceo Ernest se l’è cavata bene scrivendo per il giornale scolastico e il giornalismo è nel suo mirino. Quando a dicembre è assunto dal Cooperative Commonwealth di Chicago, il giovane cronista si precipita a St. Louis e festeggia con Hadley il suo primo stipendio. Lei gli rende la visita nel marzo 1921, un mese fortunato per Ernest: dopo aver vissuto a Parigi, Sherwood Anderson, un mostro sacro della letteratura americana di quei tempi, proprio in quel mese ha preso casa a due passi dall’appartamento che Hemingway condivide con altri aspiranti scrittori e i colloqui tra i due s’infittiscono.

Nel frattempo il ragazzo ha dell’altro a cui pensare: sabato 3 settembre 1921, alle ore 16, nella First Presbyterian Church di Horton Bay, Ernest Miller Hemingway, di anni 22, sposa Elizabeth Hadley Richardson, di anni 30. Oltre ai lunghi capelli ramati[1] lei porta in dote delle obbligazioni che le rendono fra i due e i tremila dollari l’anno, cifra su cui gli sposi contano per “andare nel paese dei mangiaspaghetti in novembre”.

A cambiare le carte in tavola sono i racconti di Anderson, che convince gli Hemingway ad accantonare il loro viaggio in Italia per migrare a Parigi, dove l’ambiente artistico è più vivo che mai e il cambio libero del franco favorisce il dollaro. Il 28 novembre Anderson scrive al suo amico Lewis Galantière di trovare una stanza agli Hemingway, prossimi a salpare per l’Europa. Il 3 dicembre lo stesso scrive altre tre lettere di presentazione indirizzate a Gertrude Stein, Ezra Pound e Sylvia Beach. Con questo viatico - e in tasca un contratto del The Toronto Star Weekly - l’8 dicembre i coniugi Hemingway salpano da New York e già il 23 dicembre Ernest può informare Sherwood che lui e Hadley alloggiano all’Hôtel Jacob e d’Angleterre, 44 rue Jacob (camera 14) e che il Restaurant Pré aux Clercs all’angolo di rue Bonaparte è la loro mensa.

Il 9 gennaio 1922 gli Hemingway si trasferiscono nella loro prima casa parigina, un piccolo appartamento al 74 di rue du cardinal Lemoine, quarto piano (e non terzo, come malamente scritto sulla lapide), latrina sulle scale. Il quartiere è povero e malfamato, la strada lastricata di sassi, ma per i due innamorati “un cuore e una capanna” è già più che sufficiente, come lo stesso Hemingway (in veste di Harry) “fotograferà” in una vignetta inserita in The Snows of Kilimanjaro, pubblicato su Esquire nel 1936:

«non potresti mai dettare qualcosa su Place Contrescarpe, dove i fiorai coloravano i loro fiori per la strada e il colore scorreva sul selciato fino al capolinea dell’autobus; e i vecchi e le donne erano sempre ubriachi di vino e di liquori cattivi; e i bambini con la goccia al naso per il freddo; l’odore di sporcizia e di sudore, di miseria e d’ubriachezza al Café des Amateurs e le puttane del Bal Musette che abitavano al piano di sopra. La portinaia che nella guardiola intratteneva il soldato della Garde Républicaine, con l’elmo con la coda di cavallo sulla sedia. La locataire nella stanza di fronte, col marito corridore ciclista, e la sua gioia quel mattino alla Crémerie quando aveva aperto «L’Auto» e visto che lui si era piazzato terzo nella Paris-Tours, la sua prima corsa importante. Era diventata rossa e ridendo e gridando aveva salito le scale agitando i fogli gialli del giornale sportivo. Il marito della tenitrice del Bal Musette faceva il tassista e quando lui, Harry, doveva partire in aereo la mattina presto, il tassista bussava alla porta per svegliarlo e prima di partire bevevano insieme un bicchiere di vino bianco al banco di zinco del bar. A quel tempo Harry conosceva tutti i suoi vicini, perché erano tutti poveri.
Nella zona della piazza ce n’erano di due tipi: gli ubriaconi e gli sportivi. Gli ubriaconi ammazzavano così la miseria; gli sportivi se ne liberavano con l’esercizio fisico. Erano i discendenti dei comunardi e non si faceva fatica a capire le loro idee politiche. Sapevano chi aveva fucilato i loro padri, i loro parenti, i loro fratelli e i loro amici, quando le truppe di Versailles occuparono la città dopo la Comune e avevano giustiziato chiunque aveva le mani callose, o portava il berretto, o mostrava da altri segni di essere un lavoratore. E tra quella miseria, in quel quartiere, tra una boucherie chevaline e una cooperativa vinicola, lui aveva cominciato a scrivere. Nessun’altra parte di Parigi lui aveva mai amato così, gli alberi dall’ampia chioma, le vecchie case intonacate di bianco con la striscia marrone in basso, il verde allungato degli autobus nella piazza rotonda, la tintura rossa dei fiori sul selciato, la ripida discesa della rue Cardinal Lemoine fino al fiume, e dall’altra parte il piccolo mondo affollato di rue Mouffetard. La strada che saliva al Panthéon e l’altra che lui faceva sempre in bicicletta, l’unica strada asfaltata di tutto il quartiere, liscia sotto le gomme, con le case alte e strette e il misero albergo dov’era morto Verlaine. L’appartamento dove abitavano aveva solo due stanze e all’ultimo piano di quell’albergo lui aveva una stanza, che pagava sessanta franchi al mese, dove scriveva, e di là poteva vedere i tetti e i comignoli e tutte le colline di Parigi.
Dall’appartamento si vedeva solo la bottega del rivenditore di legna e di carbone. Vendeva anche vino, vino cattivo. La testa di cavallo dorata davanti alla boucherie chevaline dove le carcasse rosse e giallicce erano appese nella vetrina senza vetri, e la cooperativa dipinta di verde dove compravano il vino: vino buono e a poco prezzo. Il resto erano muri intonati e le finestre dei vicini. I vicini che di notte, quando qualcuno giaceva in strada ubriaco, lamentandosi e borbottando in quella tipica ivresse[2] francese che a dar retta alla propaganda non esisteva, aprivano le finestre e allora si udiva il brusio delle loro conversazioni.»

A dire il vero, Ernest abiterà poco questa casa, sia per i frequenti viaggi richiesti dal Toronto Star, sia per le lunghe vacanze estive e invernali; e poi, a ben vedere, non è che gli ambienti “artistici” parigini più in auge piacciano così tanto allo “scrittore” Hemingway: basti leggere American Bohemians in Paris a Weird Lot, l’articolo pubblicato sul Toronto Star del 25 marzo per capire il suo punto di vista sui “falsi artisti” che frequentano il Café de la Rotonde. Le opinioni di Hemingway sono chiare: ovunque ci sono luoghi chiassosi utili per apparire e luoghi tranquilli utili per lavorare. Lui preferisce questi ultimi, e di giorno la Brasserie Lipp o la Closerie des Lilas meglio si adattano alle sue esigenze.









Ho scritto che Hemingway ha poco goduto il suo primo appartamento. L’8 aprile 1922 John Bone, il direttore del giornale, gli chiede di lasciare Parigi per andare in Russia quale corrispondente del Toronto Star; Ernest rifiuta. Rimasto in Francia, già il 13 aprile il Toronto Star pubblica Picked Sharpshooters Patrol Genoa Streets, il primo articolo scritto da Hemingway in veste di inviato alla Conferenza di Genova. Seguono altre corrispondenze dalla Svizzera, dalla Germania, dalla Grecia e dalla Turchia (ricordo che tutti gli scritti giornalistici di EH sono riuniti in By-line, uscito in Italia col titolo Dal nostro inviato Ernest Hemingway).

Profetico è un suo articolo inviato da Losanna, pubblicato il 27 gennaio 1923 col titolo Mussolini, Europe’s Prize Bluffer, More Like Bottomley Than Napoleon, scritto che è all’origine del futuro ostracismo del Duce verso i libri di Hemingway. Per la cronaca, i suoi primi racconti pubblicati in Italia si trovano in Americana, una Raccolta di narratori dalle origini ai nostri giorni curata dal censurato Elio Vittorini (Bompiani 1943 anno XXI; riedizione 1968). Uno spiraglio, questo, che dà coraggio alla Jandi Sapi, l’Editrice che nel 1944 mette in vendita L’invincibile, seguito l’anno dopo dal proibitissimo Un addio alle armi e da Chi ha e chi non ha (E il sole sorge ancora e Verdi colline d’Africa seguiranno nel 1946). Perché Einaudi e Mondadori non sono stati i suoi primi editori...

L’albero dell’amore produce i suoi frutti. Il 17 agosto 1923 i coniugi Hemingway disdettano l’appartamento di Parigi e s’imbarcano per Toronto, dove il 10 ottobre Hadley dà alla luce John Hadley Nicanor (Bumby). Rispetto a Parigi la vita in Canada è molto costosa; si aggiunga che il nuovo direttore del Toronto Star - che vede in Hemingway un possibile rivale, ora non più all’estero e con un libro già messo nel carniere: Three Stories and Ten Poems, edito in 300 copie da Contact Publishing Company, Paris - gli toglie la firma. Inevitabile conseguenza, il 6 novembre Hemingway chiede a Silvya Beach di trovar loro un nuovo appartamento a Parigi.

Il 27 dicembre Hemingway si licenzia dal Toronto Star e il 29 gennaio 1924 la famiglia rimette piede in Europa; pochi giorni in albergo e il 10 febbraio Hemingway può scrivere ad Ezra Pound d’aver trovato un semi ammobiliato al 113 di rue Notre Dame des Champs, proprio sopra la segheria di Pierre Chautard, il padrone di casa. Pound non è lontano, abitando al 70bis.
Ernest ha lasciato il giornalismo e adesso per vivere la famiglia può contare solo sulla rendita prodotta dalle obbligazioni di Hadley. Hemingway si mette d’impegno e già lo stesso anno esce in our time (iniziali minuscole, 170 copie), una serie di racconti pubblicati dalla Three Mountains Press di Parigi. Il passo successivo è la firma del contratto con la Boni and Liveright di New York per la pubblicazione di In Our Time (iniziali maiuscole) in cambio di 200 dollari. Il contratto prevede la pubblicazione di tre libri ma con una clausola precisa: se l’editore dovesse rifiutare il secondo libro, l’autore si può ritenere libero da ogni impegno assunto.

Il 20 agosto 1925 Hemingway scrive al padre: «Ho lavorato giorno e notte e completato circa 60.000 parole di un romanzo [The Sun Also Rises]. Devo farne ancora 15.000». Ernest ha ben chiaro in mente che “diventare scrittore” non è la stessa cosa che scrivere articoli per un giornale e che per crearsi un futuro redditizio deve liberarsi del suo editore di New York, troppo provinciale. Il piano da lui messo in atto è chirurgico: deve fare in modo che sia Liveright a rifiutare il suo secondo libro, sciogliendo il contratto. Accantona The Sun Also Rises e in poco tempo scrive un libretto in cui ridicolizza l’ultimo lavoro di Sherwood Anderson, lo scrittore di punta della Boni and Liveright. Il 7 dicembre Hemingway scrive a Liveright: «le spedisco sul Mauretania di domani il manoscritto del mio nuovo libro The Torrents of Springs» e chiede un anticipo di 500$. Come previsto, Liveright si rifiuta di pubblicare un libro in cui si canzona il suo asso vincente e già il 31 dicembre Hemingway può comunicare a Scott Fitzgerald di essersi liberato dalla Boni and Liveright. L’inedito The Sun Also Rises può adesso ambire a un mercato internazionale.
Nel frattempo, per riposarsi e per fuggire dall’umido inverno parigino, Hemingway disdetta l’affitto dell’appartamento sopra la segheria e porta la famiglia a sciare in Austria, a Schruns, qui raggiunti da Pauline Pfeiffer, una ereditiera che a Parigi si è fatta amica di Hadley.[3] Quando tornano, in primavera, gli Hemingway prendono alloggio all’Hôtel Vénétia in boulevard de Montparnasse; Pauline ha un suo appartamento in rue Picot.

Il 9 febbraio 1926 Ernest sbarca dal Mauretania e a New York prende una stanza all’Hotel Brevoort. Subito dopo va negli uffici della Boni & Liveright, 61 West 48th Street, per formalizzare la scissione del contratto. Il giorno seguente l’editore Scribner, con uffici sulla Fifth Avenue, gli offre 1.500$ d’anticipo per Torrents e The Sun Also Rises. Il 25 febbraio Hemingway sale sul Roosevelt e torna a Parigi, mentre la moglie e il figlio sono in vacanza a Schruns. Ma Pauline non è con loro. Lei è rimasta a Parigi...

Il 14 maggio Hemingway si reca a Madrid, Pensione Anguilar e dopo tre settimane raggiunge Hadley, ospite dei Fitzgerald a Villa Paquita di Juan-les-Pins. La tempesta ha già prodotto i suoi danni: il 21 maggio Hemingway scrive a Sherwood Anderson: «veniamo negli States in autunno per stare a Piggott, Ark.»: è l’indirizzo della casa di famiglia di Pauline Pfeiffer.
In agosto, tornati dal mare, Hemingway e Hadley decidono di separarsi; lui va a vivere in uno studio offerto da Gerald Murphy al quinto piano di 69 rue Froidevaux, Hadley prende una camera all’Hôtel Beauvoir, di fronte alla Closerie des Lilas - ma dopo il 22 novembre Hadley e Bumby si trasferiscono al 35 di rue de Fleurus. Nel frattempo, in ottobre, è uscito The Sun Also Rises. Hemingway scrive una lettera al suo editore, dichiarando Hadley “erede” di tutti i proventi attuali e futuri di questo libro. L’annuncio del divorzio (27 gennaio 1927) raggiunge Ernest a Gstaad, dov’è andato a sciare con Pauline.

Il 16 aprile Hadley e Bumby lasciano Parigi per gli USA. Il 10 maggio, con rito cattolico come richiesto dalla sposa, nella chiesa di Passy Ernest porta all’altare Pauline Pfeiffer. Lei è 4 anni più vecchia dello sposo e porta in dote una grossa cifra in denaro (più tardi il milionario zio Gustav Pfeiffer le regalerà una casa a Key West, comperata per 8.000$, e sborserà l’enorme cifra di 23.000$ necessaria per il loro safari in Africa, cifra comprensiva dell’acquisto dei fucili fabbricati su misura). La nuova coppia si trasferisce al 6 di rue Férou, vicino alla chiesa di Saint-Sulpice; sarà il lucernario del bagno di quest’appartamento a precipitare in testa ad Ernest (marzo 1928), danno provvisoriamente risolto con alcuni punti di sutura.

Il 14 ottobre 1927 esce Man Without Women, raccolta di racconti pubblicati sullo Scribner’s Magazine e sull’Atlantic Montly; a questa data The Sun Also Rises (ribattezzato Fiesta in Inghilterra) ha già venduto oltre 23.000 copie. A fine ottobre Hadley e Bumby tornano a Parigi.

Marzo 1928. Ernest e Pauline s’imbarcano a La Rochelle per l’Avana, un viaggio di 18 giorni. Da qui con un battello a vapore i due proseguono per Key West dove prendono alloggio nel condominio Trevor and Morris, in Simonton Street. A fine maggio la coppia si trasferisce a Piggott, Arkansas e il 28 giugno, a Kansas City, nasce il loro figlio Patrick.

Di fatto, il divorzio da Hadley - peraltro rimasta sempre in affettuoso rapporto con Ernest, anche dopo essersi risposata (luglio 1933) con Paul Scott Mowrer - e le nozze con Pauline hanno messo la parola fine al periodo “povero e felice” del giovane Ernest. Negli anni a venire Hemingway tornerà molte altre volte a Parigi, albergando al Ritz. Ma questa è un altro capitolo della sua storia - e poi, come recita il motto di Ernest Hemingway, «Dans la vie il faut (d’abord) durer», nella vita bisogna (soprattutto) resistere.



[1] Tra le carte di Hemingway vi sono alcune pagine dedicate alla “massa setosa rosso-dorata” di Hadley, annotazioni che Seán Hemingway - il curatore di Festa mobile. Edizione restaurata (Oscar Mondadori 2009) - ha inserito tra gli “otto capitoli inediti” col titolo Piaceri segreti.
[2] In argot, il dialetto dei parigini, ivresse sta per euforia.
[3] Dopo la morte di Hemingway, frugando tra i suoi manoscritti inediti e inconclusi, un nipote ha pensato di rendere pubbliche le pagine sull’avvento di Pauline Pfeiffer nella vita del nonno, introducendole nell’edizione “restaurata” di Festa mobile. Titolo originale dell’inserto: The Pilot Fish and the Rich, manoscritto conservato presso la Hemingway Collection, item 123, edito per la prima volta in A Moveable Feast. The Restored Edition. @ by Hemingway Foreign Right Trust. - Edizione italiana: Festa mobile. Edizione restaurata. A cura e con introduzione di Seán Hemingway. Traduzione di Luigi Lunari. Prima edizione Oscar scrittori moderni giugno 2011. Arnoldo Mondadori Editore, pp. 170-176.


© Testo e foto di Giancarlo Mauri


74, rue du cardinal Lemoine
74, rue du cardinal Lemoine
Rue du cardinal Lemoine dalla finestra
della cucina di Hemingway, 1923 circa
Place de la Contrescarpe
Place de la Contrescarpe
La boucherie
Rue Mouffetard
Rue Mouffetard
Rue Mouffetard
La Closerie des Lilas
Rue Notre Dame des Champs
Rue Notre Dame des Champs
113, rue Notre Dame des Champs
113, rue Notre Dame des Champs
113, rue Notre Dame des Champs
Americana, prima edizione, 1943
L'Invincibile, 1944
Un addio alle armi, prima edizione italiana, 1945


James Joyce e Sylvia Beach


Seguire le tracce di Joyce a Parigi richiede molto tempo, una discreta conoscenza della sua vita, una buona carta topografica, un carnet di biglietti per i mezzi pubblici, scarpe comode.

Punto di partenza è la fermata Odéon della metrò. Imboccata la rue de l’École de Médecine, subito si prende a destra la rue Dupuytren. Sosta davanti al numero 8: qui, nel 1919, l’emigrata Sylvia Beach realizza il suo sogno di aprire un negozio di libri in lingua inglese a Parigi, che lei chiama Shakespeare and Company - e galeotta fu anche la relazione sentimentale allacciata con Adrienne Monnier, proprietaria della Maison des Amis du Livre al n. 7 di rue de l’Odéon. La notizia della presenza di un locale dove, oltre ai libri, si possono consultare le principali riviste letterarie d’oltreoceano fa subito il giro della città e la clientela non tarda ad arrivare: George Antheil, Ezra Pound, Bob McAlmon, Gertrude Stein e sua “moglie” Alice B. Toklas sono tra i primi ad affacciarsi alla porta.

Un’afosa domenica (11 luglio per i pignoli) del 1920 Adrienne e Sylvia si recano a casa del poeta André Spire per un party tra amici. Tra gli invitati ci sono Nora e James Joyce, persona di cui Sylvia nutre un’autentica venerazione. Scrive: «Tremando per l’emozione chiesi: “Il grande James Joyce?” “James Joyce”, replicò.» Il dado è tratto: il giorno dopo Jim è in rue Dupuytren, dove confessa a Sylvia che al momento ha tre problemi da risolvere: «trovare un tetto per quattro persone; trovare un lavoro che gli permettesse di nutrirle e vestirle; finire Ulysses». Da quel giorno e per alcuni anni a venire Shakesperare and Company diventa il punto d’incontro tra Joyce e gli scrittori residenti a Parigi, o di passaggio, desiderosi di conoscerlo.
Nell’estate del 1921 la libreria trasloca. Proprio di fronte al negozio di Adrienne si è liberato un locale e nel giro di pochi giorni 12 rue de l’Odéon diventa il nuovo indirizzo di Shakespeare and Company. Qui oggi vi sono due lapidi, di cui una ricorda che

EN 1922
DANS CETTE MAISON
M.LLE SYLVIA BEACH PUBLIA
“ULYSSES”
DE JAMES JOYCE.

Questa avventura, ma non solo, è raccontata in ogni dettaglio dalla stessa Beach nel suo libro Shakespeare and Company, Edizioni Sylvestre Bonnard, a cui rimando.

* * * * *

Siamo nel 1907. Insofferente alla situazione politica dell’Irlanda («il vero sovrano dell’Irlanda è il papa» scrive sul Piccolo della Sera del 16 settembre 1907) Joyce torna a Trieste, ospite di suo fratello Stanislaus. Qui gli si riaffaccia una vecchia idea, confermata dal fratello in una lettera: «Jim sta ampliando il racconto Ulysses e lo sta trasformando in un piccolo romanzo [...] e ne farà un Peer Gynt dublinese» che si svolge in un solo giorno, il 16 giugno 1904, il giorno in cui James e Nora si sono conosciuti. L’idea prende forma ma gli appunti diventano stesura solo a partire dal 1.o marzo 1914, quando James, attento al valore simbolico delle date, inizia a scrivere il romanzo. Poi scoppia la guerra e i Joyce, cittadini inglesi in territorio nemico, si spostano a Zurigo.
1919. Il numero di gennaio della Little Review esce con Lestrigoni, il primo episodio di Ulysses ad essere divulgato, seguito a maggio da Scilla e Cariddi. Scatta la denuncia per uso di parole oscene e la censura provvede a sequestrare entrambi i numeri, mandandoli al rogo. Stessa sorte tocca al numero di gennaio 1920, contenente Ciclope, e a quello di luglio-agosto con Nausicaa, entrambi denunciati da John B. Summer, segretario della newyorchese Società per la Prevenzione del Vizio. Preso Joyce sotto la sua ala, Ezra Pound gli suggerisce di trasferirsi “almeno per qualche giorno” a Parigi per prendere degli accordi per la traduzione francese di A Portrait of the Artist as a Young Man e di Dubliners. Pound parte subito per preparargli la via mentre i Joyce da Trieste, dov’erano ritornati, si fermano due giorni a Venezia e poi a Milano per vedere Carlo Linati intento a tradurre Exiles; infine, attraversata la Svizzera e fatta una sosta a Digione, entrano a Parigi l’8 luglio, dove Pound ha loro trovato una sistemazione “momentanea” in una pensione al 9 di rue de l’Université. Venuti per restarci una settimana... se ne andranno vent’anni più tardi.
L’onnipresente Pound propone a Ludmila Bloch-Savitsky, suocera del poeta inglese John Rodker, di tradurre in francese A Portrait: sarà lei a convincere l’autore di dare alla versione francese il titolo Dedalus, più incisivo che non Portrait de l’Artiste. A metà luglio Ludmila e suo marito, il poeta André Fontanas, offrono ai Joyce un alloggio al 5 di rue de l’Assomption e in queste tre stanze (la «scatola di fiammiferi»), prive di mobili confortevoli, la famiglia rimane dal 15 luglio al 1 novembre. Passato il mese di ottobre a caccia di una nuova casa, non avendo trovato nulla i Joyce ritornano al 9 di rue de l’Université. Poco dopo James incappa in un costoso appartamento al 3 di Boulevard Raspail e con aiuti vari all’inizio di dicembre lo prende in affitto per 300 sterline l’anno (Giusto per capire: qualche anno più tardi Nora gli scrive da Londra chiedendo l’invio di 2 sterline la settimana, cifra sufficiente per pagare l’alloggio e mantenere Giorgio e Lucia, i loro figli). In questo appartamento il 20 dicembre Joyce finisce di riscrivere Circe.
L’anno 1921 inizia col processo alla Court of Special Session, nel Greenwich Village. Il 4 febbraio le due direttrici della Little Review, Margaret Anderson e Jean Heap si presentano davanti al giudice (che impedisce loro “perché donne” di ascoltare la lettura di alcuni brani dei testi da loro stampati). Il verdetto, emesso il 21 febbraio, è pesante: entrambe vengono condannate ad una multa di 50 dollari per aver stampato scritti contenenti parole triviali («anche quadriviali» commenta Joyce). Di conseguenza, il 24 marzo l’editore Huebsch scrive a Joyce che senza modifiche al testo lui non pubblicherà Ulysses. Incassata una risposta negativa, il 5 aprile Huebsch rifiuta ufficialmente il manoscritto. Di fronte ad un Joyce affranto (e dolorante per i suoi gravi problemi agli occhi), il giorno dopo, 6 aprile 1921, Sylvia Beach osa: «Non concederebbe a Shakespeare and Company l’onore di pubblicare il suo Ulysses? Il suo consenso fu immediato ed entusiasta [...] ci separammo entrambi molto commossi, con l’accordo che lui tornasse l’indomani a sentire cosa pensava del mio progetto Adrienne Monnier». Adrienne approva e fin da subito 12 rue de l’Odéon diventa il quartier generale della neonata casa editrice. Energica e pratica, già il 10 aprile Sylvia mette in circolazione un volantino - con scheda di sottoscrizione sul retro - annunciante «per “l’autunno 1921” la pubblicazione dell’Ulysses di James Joyce “in edizione integrale” [...] L’edizione sarebbe stata di mille copie: cento su vergé Hollande e firmate dall’autore, in vendita a 350 franchi; 150 su vergé d’Arches, a 250 franchi; le rimanenti 750 su carta comune a 150 franchi». Malgrado il pessimismo di Joyce («lui era convinto che se avessimo fatto un’edizione di dodici copie qualcuna sarebbe rimasta invenduta»), in breve tempo le richieste esauriscono la tiratura («ce ne rimasero nove»). Joyce ritrova il perduto entusiasmo e già a maggio riferisce in una lettera che «sto scrivendo Itaca in forma di catechismo matematico ... L’ultima parola (umana, troppo umana) è lasciata a Penelope».
La pensione dove alloggiano i Joyce («quel dannato bordello») non è il posto migliore per uno scrittore bisognoso di concentrazione ed è quindi una manna la proposta avanzata dal poeta Valery Larbaud: visto che da maggio ai primi d’ottobre sarà in Italia, vorrebbero i Joyce usufruire del suo alloggio al 71 di rue du Cardinal Lemoine? Il 3 giugno i Joyce entrano in casa. Oggi una lapide ricorda che

JAMES JOYCE
(1882-1941)
ÉCRIVAIN BRITANNIQUE
D’ORIGINE IRLANDAISE
ACCUELLI PAR VALERY LARBAUD,
A ACHEVÉ ICI SON ROMAN “ULYSSE”,
OUVRAGE MAJEUR DE LA LITTÉRATURE
DU VINGTIÈME SIÈCLE.

Ma sarà poi vero che Joyce “ha qui completato” il suo romanzo? Vediamo: il 7 agosto scrive alla signorina Harriet Weaver (la londinese che generosamente lo sovvenziona con diverse migliaia di sterline, cifra che Joyce regolarmente esaurisce nel minor tempo possibile) che la maggior parte di Itaca è pronta e che ha scritto le prime 2500 parole di Penelope. Il 16 agosto aggiunge che l’episodio di Penelope è «progettato in tutti particolari». Il 7 settembre le bozze portategli dallo stampatore digionese Darantiére sono riviste fino a Scilla e Cariddi. Quando Larbaud rientra a Parigi - e i Joyce tornano al n. 9 di rue de l’Université - e il libro è ben lungi dall’essere terminato.
Il 7 ottobre Joyce invia Penelope alla tipografia. Il 29 finisce Itaca, dichiarando che il libro è terminato. Momentaneamente, visto che il continuo apporto di inserimenti e ripensamenti al testo portano l’editrice e lo stampatore sull’orlo di una crisi di nervi, ritardando di 7 mesi l’uscita del libro (e alcuni adirati sottoscrittori minacciano querele). Il 2 febbraio 1922, quarantesimo compleanno di Joyce, Darantiére incarica il capotreno del convoglio diretto a Parigi di consegnare (sorpresa!) a Sylvia Beach due copie di Ulysses complete della sovracopertina “azzurro Grecia”, colore preparato dal pittore Nutting e stampato su carta bianca. Salvo che a Joyce, questa copertina non piacerà proprio a nessuno: Hemingway la toglie subito, imitato da gran parte dei sottoscrittori. Ad averla, oggi vale una fortuna: nel 2009 un volume vergé Hollande completo di sovracopertina è stato battuto all’asta per 275.000 £, tre anni dopo una copia imperfetta è stata battuta per 170.500 $. Senza sovracopertina una copia su vergé Hollande è stato valutato 70.000 £, 15.000 su carta comune.
Il libro esce dai torchi nel mese di aprile 1922.

* * * * *

Torno alla geografia joicyana. Il 12 novembre 1922, dopo una vacanza a Nizza, i Joyce si sistemano in un meublé al 26 Avenue Charles Floquet. Agosto 1923: grazie alla sovvenzione della sig.na Weaver, i Joyce, al ritorno da un viaggio in Irlanda, prendono alloggio al Victoria Palace Hôtel, 6 rue Blaise Desgoffes. Ai primi di settembre 1924 si trasferiscono all’ 8 Avenue Charles Floquet. Al principio di giugno 1925 si spostano al 2 Square Robiac, dove prendono in affitto un appartamento che terranno fino all’11 aprile 1931, giorno in cui i Joyce si trasferiscono all’Hôtel Powers, 52 rue Francois Premier. Qualche giorno dopo partono per Londra e qui, il 4 luglio «James Augustine Aloysius, di anni 49, laureato, celibe» sposa per la seconda volta (la prima era stata a Trieste) «Nora Joseph Barnacle, nubile, di anni 47, residenti entrambi in Camden Grove 28 b, London, W. 8.» A fine settembre tornano a Parigi per installarsi nel distintissimo La Résidence, 4 Avenue Pierre Premier de Serbie. A dicembre si spostano in un meublé, 2 Avenue Saint Philibert. 1932: tornati da Nizza, in novembre i Joyce trovano casa al 42 rue Galilée. A dicembre si spostano al 2 Avenue Saint Philibert. Il 12 luglio 1934 Joyce affitta un alloggio di quattro stanze con telefono, riscaldamento e ascensore al quinto piano di 7 rue Edmond-Valentin.
Per Nora e James è un brutto momento, con tanti periodi di lontananza da casa pur di essere vicini alla figlia Lucia, afflitta da gravi problemi di demenza precoce che neppure nella clinica di Jung si è riusciti ad arginare («Il guaio è che sono affamata di sesso» confessa ad un amico del padre). Nel marzo 1936, dopo l’ennesima crisi Lucia viene portata via di casa in camicia di forza. Dichiarata pericolosa per sé e per gli altri, un mese dopo il padre la fa trasferire nella Maison de Santé di Ivry.
1939. James e Nora lasciano l’appartamento di rue Edmond Valentin, ormai troppo grande per loro due (Giorgio si è sposato), e si trasferiscono al 34 rue des Vignes. A novembre la coppia si sposta all’Hôtel Lutétia; è qui che Joyce mostra i primi segni della malattia. 24 dicembre: i tedeschi si avvicinano a Parigi e i Joyce, Giorgio (Helen Fleischmann, la moglie, lo ha lasciato, stabilendosi a New York; divorzieranno) e suo figlio Stephen si trasferiscono all’Hôtel de la Paix di Saint-Gérand-le-Puy, vicino a Vichy. Nel giugno del 1940 occupano la casa di una donna ricoverata in ospedale, poi vanno all’Hôtel du Commerce.
Il 14 dicembre inizia il viaggio dei quattro verso la Svizzera, con soste a Ginevra e Losanna. Il 17 sono a Zurigo, dove prendono due stanze all’Hôtel Pension Delphin, Muhlebachstrasse 69. Sabato 11 gennaio 1941, dopo una cena al ristorante Kronenhalle in compagnia di amici, Joyce è ricoverato al Roten Kreuz Hospital, dove gli diagnosticano un’ulcera duodenale perforata del diametro di tre millimetri, posta anteriormente. Dapprima gli viene somministrata della morfina, poi i medici decidono di operarlo il giorno stesso. La mattina seguente Joyce ha un collasso e nel pomeriggio cade in coma.
La cartella clinica del giorno successivo segnala una manifestata emorragia massiva con relativo shock. Le trasfusioni non modificano il quadro. Il medico di turno diagnostica una complicazione attribuibile ad una o più ulcere duodenali posteriori, oltre a probabile polmonite ipostatica. Somministra medicine di protocollo e sedativi, segnalando la necessità di un secondo intervento chirurgico.
Cartella clinica di lunedì 13 gennaio: Oggi, nelle prime ore della notte è spirato il paziente James Joyce, in decorso post-operatorio da ulcera perforata e peritonite. Era stata rilevata una emorragia massiva trattata con plurime trasfusioni praticate nel pomeriggio e sera di ieri. L’esame costante dei sanitari aveva fatto apparire il soggetto in un neurostatus di sopore che si alternava a veglia, con eloquio a momenti rallentato e a momenti eretistico con permanente incapacità di orientamento temporo-spaziale.
Alla percezione dell’aggravamento è stata telefonicamente informata la famiglia nelle persone della moglie sig.ra Nora Barnacle e del figlio Giorgio Joyce detto George. Purtroppo al loro arrivo in ospedale il decesso era già avvenuto. È stata formulata richiesta di celebrazione di rito funebre con officiante sacerdote della Chiesa cattolica, ma la signora Barnacle ha ringraziato e cortesemente declinato, pronunziando le seguenti parole: “No, non posso fargli questo”.
Con rito civile, il 15 gennaio la salma viene sepolta nel cimitero di Flundern. Un amico, Nino Franck, si prende l’incarico di comunicare la morte del padre a Lucia, ricoverata a Northampton. Lei commenta: «Che sta facendo sottoterra quell’idiota? Quando si deciderà a uscire?»
Il 10 aprile 1951 Nora Barnacle Joyce muore d’intossicazione uremica (un medico le ha curato i reumatismi col cortisone). All’ospedale chiede di vedere un prete; lo ascolta per pochi minuti, poi lo prega di andarsene. Ai funerali, durante il discorso funebre sulla tomba, all’usanza svizzera, il sacerdote si vendica e ignobilmente la definisce «eine grosse Sünderin - una grande peccatrice». La seppelliscono nello stesso cimitero di Joyce, ma lontana dal marito.

* * * * *

L’occupazione nazista di Parigi obbliga Sylvia Beach a chiudere Shakespeare and Company, nascondendo tutti i libri in un appartamento tre piani sopra la libreria. Nel 1943 Sylvia viene internata nel campo di concentramento di Vittel, da cui esce dopo sei mesi di prigionia grazie all’intervento di Jacques Benoist-Méchin. Sarà invece Ernest Hemingway a “liberare” Shakespeare and Company nel 1944. Un gesto d’amore destinato a rimanere tale: Sylvia Beach non riaprirà mai più la “sua” libreria.
Dopo la morte di Adrienne Monnier - poetessa, animatrice culturale, editrice nel 1942 della prima traduzione in francese di Ulysses, suicidatasi coi barbiturici il 19 giugno 1955 - Sylvia si lega a Camilla Steinbrugge, una vecchia amica della coppia, nata a Manhattan. La “folle” editrice di Ulysses (diede a Joyce tutti gli utili ricavati della vendita, lei si dissanguò per coprirne i costi) verrà trovata morta nel suo appartamento sopra la libreria il 6 ottobre 1962.

George Whitman (1913-2011), che nel 1951 aveva aperto a Parigi la libreria Le Mistral, dopo la morte di Sylvia Beach, in suo onore e ricordo, ne cambia il nome. Questa seconda Shakespeare and Company si trova al n. 37 di Rue de la Bûcherie. Ma non è e non sarà mai la vera, originale Shakespeare and Company di Sylvia Beach.

© Testo e foto di Giancarlo Mauri


Rue Dupuytren

8, Rue Dupuytren

12, Rue de l’Odéon

Ulysses, prima edizione, 1922
transition, anno 1, numero 1, aprile 1927, p. 163

71, Rue du Cardinal Lemoine

71, Rue du Cardinal Lemoine

La Shakespeare and Company di G. Whitman
37, Rue de la Bûcherie

La Shakespeare and Company di G. Whitman

La Shakespeare and Company di G. Whitman

mercoledì 25 giugno 2014

Picasso a Mougins


Parigi, 1936. Ai Deux Magots Picasso incontra Henriette Theodora Markovitch, in arte Dora Maar, fotografa, ed è (quasi) subito amore. Piccola, capelli scuri, intellettuale, Dora è l’esatto contrario di Marie-Théresè Walter, l’alta, bionda e giovanissima donna con cui vive dopo essersi separato da Ol’ga Kholkhova, la madre di Paul. Poi arriva l’estate e Dora Maar lascia Parigi per Saint-Tropez, dove i suoi hanno una casa, mentre Picasso, con Marie-Thérèse e la loro figlia Maya, prende casa a Mougins.
Parigi 1937. Ol'ga e Picasso si separano ufficialmente ma non possono divorziare: in Francia valgono le leggi in vigore nel Paese del marito e la Spagna non concede il divorzio, quindi i due saranno obbligati ad essere sposati fino al 1955, l’anno della morte di lei. Ma adesso Picasso ha un nuovo problema: il tribunale ha regalato il castello di Boisgeloup a Ol’ga e lui, privato di uno studio di grandi dimensioni, sui vede costretto ad affittare dal mercante d’arte Vollard la vecchia casa da lui comperata a Le-Tremblay-sur-Mauldre. Sistemate le questioni logistico-immobiliari, Picasso e la sua nuova fiamma possono scendere al Sud e godersi l’estate a Mougins.
Prevista, ecco arrivare una nuova guerra e ogni vita ne è sconvolta. Trascorsa l’estate del 1939 ad Antibes nell’appartamento lasciato libero da Man Ray, il 1° settembre Picasso e Dora sfollano a Royan, dove scendono all’Hôtel du Tigre. Quattro mesi dopo i due cambiano alloggio spostandosi all’ultimo piano della villa Les Voiliers e qui vi restano fino a marzo, quando Picasso decide di tornare a Parigi.
1945. La guerra è finita, Dora Maar è già un ricordo. Picasso ha una nuova compagna, la pittrice Françoise Gilot, ed è con lei che trascorre l’agosto e la maggior parte dell’anno successivo a Golfe-Juan, Antibes, Ménerbes. Dalla loro unione nasceranno due figli (Claude nel 1947 e Paloma nel 1949) e un trauma: nel 1953 la paranoica Gilot lascia Vallauris e ritorna a Parigi, dove Picasso le aveva comperato due piani di un palazzo, portandosi appresso i figli. La sua relazione con un greco conosciuto nella capitale durerà solo tre mesi... poi tornerà per l'estate nel Sud, ospite di Picasso.
A lenire i primi infelici momenti del pittore provvede Geneviève Laporte, ma è un amore di breve durata perché alla Madoura Pottery Picasso ha modo di conoscere Jacqueline Roque, una donna da poco divorziata da André Hutin - chi lo dice un ingegnere, chi un modesto impiegato statale - sposato nel 1946 e al momento residente in Sud Africa, da cui ha avuto una figlia, Kathy, detta Catherine. I due s’innamorano e lei lo segue nella casa di Vallauris.
Nel 1955 all’ospedale Beau-Soleil di Cannes muore Ol’ga Kholklova, fatto che libera Picasso dal vincolo matrimoniale. Lo stesso anno, alla ricerca di un nuovo studio (una costante, questa, di Picasso: una nuova donna, una nuova casa, un nuovo studio) il pittore è sedotto da una brutta villa che include nel prezzo una sua fetta di storia: agli inizi del Novecento Eugéne Tripet, console di Francia a Mosca, regala come dono di nozze a sua figlia Alexandra un terreno sulla collina de la Californie, quella che separa Cannes da Golfe-Juan. Nel 1903 il visconte de Salignac-Fénelon, marito di Alexandra, incarica l’architetto Piquart d’Epernay di progettare una residenza invernale per la coppia, ma - anche a causa della Grande guerra - solo nel 1920 e sotto la direzione di Louis Hourlier, architetto di Cannes, sarà innalzata Villa Fénelon, altrimenti nota come Villa de la Californie. Lo stile eclettico con ricchi ornamenti sulla facciata, opera dello scultore Vidal, le tegole del tetto verniciate di colore verde e un grande giardino di cactus seducono Picasso, che l’acquista nel 1955.
L’anno dopo, complice l’intermediazione di Robert Capa, Picasso accetta di ospitare per alcuni mesi il fotografo David Douglas Duncan, inviato da Life Magazine per fotografare tutti i quadri che il pittore ha sempre voluto tenere presso di sé, molti dei quali fino ad allora sconosciuti. La simpatia subito scattata tra Picasso e Duncan ha fatto sì che il padrone di casa abbia consentito di riprendere alcuni attimi della sua vita privata, scatti pubblicati nel ricercato volume Picasso’s Picassos edito nel 1961 (coedizione italiana: I Picasso di Picasso; stampatori: Imprimerie Centrale, Lousanne, e Officine Grafiche Garzanti, Milano) e ora anche su internet digitando David Duncan Picasso's Picassos.
La presenza dell'artista attira gli speculatori e in breve tempo la collina si riempie di nuovi immobili, col risultato che nel 1959 Picasso e Jacqueline si trasferiscono in un'altra proprietà del pittore, il castello di Vauvenargues.
Il 1961 è un anno decisivo. A causa della costruzione di un condominio che gli impedisce la vista sul mare Picasso abbandona al suo destino la Villa de la Californie (ribattezzato Pavillon de Flore, l’immobile e tutte le opere e l'arredamento in esso contenute saranno ereditate nel 1980 dalla nipote Marina). Lo stesso anno Picasso sposa Jacqueline Roque e insieme si trasferiscono al Mas de Notre-Dame-de-Vie, un casolare a mezza via tra Mougins e Le Cannet, messo in vendita da Loel, il figlio di Benjamin e Bridget Guinness, industriali della birra. Ed è tra queste mura che l’8 aprile 1973, all’età di 91 anni, Picasso trova finalmente pace. La sua, ovviamente.

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“Quando sarò morto sarà il naufragio e molti saranno aspirati dal vortice” aveva predetto Picasso.
Il primo a cadere nel vortice è suo nipote Pablo Ruiz, figlio di Paul. Stando a quanto scrive sua sorella Marina in Grand-Père - “un libro che ripercorre la vita di stenti a cui il pittore più ricco del mondo ha costretto la sua famiglia” - il giovane, straziato per la decisione di Jacqueline di estromettere Marie Thérèse Walter, Françoise Gilot e i loro figli Maya, Claude e Paloma dai funerali di Picasso, ingerisce un’intera bottiglia di eau de Javel, più volgarmente nota come candeggina. Muore dopo tre mesi d’agonia e sepolto al Cimitière du Grand-Jas di Cannes accanto a sua nonna Ol’ga. Aveva 24 anni.
Due anni dopo suo padre, Paul Joseph, figlio di Ol’ga, muore all’età di 54 anni in un ospedale di Parigi distrutto dall’alcol e da un cancro al fegato. Co-erede con Jacqueline della preziosa collezione dell’artista, “Paulo” esce sconfitto dalla battaglia legale intentata contro i suoi fratellastri, ora i principali azionisti della Picasso Spa (e a proposito di una “vita di stenti”: una buona guida per avere un’idea degli immensi guadagni commerciali realizzati dagli eredi di Picasso è l’articolo Come funziona Picasso Spa, scritto da Michel Guerrin per Le Monde, tradotto in italiano e messo in rete da Il Giornale dell’Arte numero 323, settembre 2012. Da leggere).
Il 16 luglio 1977, all’età di 90 anni, muore nella sua casa provenzale di Ménerbes, dono di Pablo Picasso, Dora Maar. Nel già citato libro di ricordi, Marina scrive che Dora è “morta in miseria in mezzo alle tele di Picasso che si rifiutava di vendere per conservare tutta per sé la presenza dell’uomo che adorava”. In effetti, che altro ci si poteva aspettare da una donna che ebbe modo di dichiarare: Dopo Picasso soltanto Dio.

Les Deux Magots
La collina de La Californie vista da Cannes
La collina de La Californie vista da Antibes
Picasso's Picassos, edizione italiana

Pochi mesi dopo, 20 ottobre 1977 è la volta di Marie-Thérèse Walter “la musa inconsolabile, impiccata nel suo garage di Juan-les-Pins”. Picasso aveva sempre sostenuto finanziariamente sia lei che la loro figlia Maya, ma sempre si rifiutò di sposarla. E lei, Marie-Thérèse, solo un sogno la teneva in vita: diventare la signora Picasso. Morto lui, morto il sogno…
Finita la saga? Certo che no. “Suicida anche Jacqueline, la compagna degli ultimi giorni, con una pallottola nella testa” sparatasi il 14 ottobre 1986 all’interno del Mas di Notre-Dame-de-Vie. Da allora i suoi resti riposano accanto a quelli di Pablo, Diego, José Francisco de Paula, Juán Nepomuceno, Maria de los Remedios, Cipriano de la Santísima Trinidad (questo il nome completo di Picasso), sepolti nel parco del castello di Vauvenargues, 30 km a nord di Aix-en-Provence.

Castello di Vauvenargues (dal libro di Duncan)

Con la morte di sua madre, Catherine Hutin-Blay eredita sia il Mas de Notre-Dame-de-Vie che la proprietà di Vauvenargues, incluse tutte le opere di Picasso in esse custodite. Ma dopo quel fatidico giorno d’ottobre la casa di Mougins è sempre rimasta chiusa (avendo Catherine scelto di abitare a Vauvenargues) e nel più completo abbandono rimane fino al 2008, quando, nel mese di febbraio, un gruppo di operai entra nella proprietà dando inizio a sostanziali lavori di ristrutturazione. Le cronache ci informano che un anonimo “mercante d’arte belga di circa quarant’anni d’età, innamorato di Picasso e di cui desidera qui conservare l’anima” (come leggo su Nice matin del 10.02.2008), ha acquistato da Catherine l’intera proprietà in cambio di una cifra valutata tra i 13 e i 16 milioni di dollari, somma a cui l’anonimo acquirente dovrà aggiungere una cifra almeno equivalente per riportare il tutto ai vecchi splendori. Come sempre, nuovo proprietario nuovo nome: adesso è L’Antre du Minotaure.

E arriviamo al 2013. Finiti i lavori di restauro, costruite due piscine e un campo da tennis, il “conservatore dell’anima di Picasso” che a Mougins nessuno ha mai visto in faccia fa scoppiare una nuova bomba: L’Antre du Minotaure è di nuovo in vendita. Scrive Marion Marten Perolin per Le Nouvel Observateur del 28.8.2013:

Un mercante d’arte belga molto ottimista mette in vendita l’ultima dimora della figura emblematica dell’arte cubista. Aveva acquistato la proprietà di Picasso situata a Mougins presso Cannes tra i 10 e i 12 milioni di euro nel 2008. Dopo dei lavori di restauro e abbellimento, il prezzo di vendita è fissato all’attraente somma di 220 milioni di dollari, circa 165,7 milioni di euro! Un prezzo astronomico per questa dimora di 800 m2 con 35 stanze distribuite su tre livelli. La proprietà che si estende su 2 ettari comporta tre case in totale, la principale, la casa degli ospiti e quella del guardiano, per 10 camere e 8 sale da bagno. […] Resta da trovare un acquirente all’altezza… Scoprite la dimora in immagini sul nostro diaporama. 

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Al village perché di Mougins, seduto davanti a un gustoso piatto di formaggi e salumi che accompagno con del buon rosè, discuto di questo “imperdibile affare” con la simpatica coppia che gestisce il minuscolo negozio di alimentari dove mi sono fermato per il pranzo. Lui, dalla vistosa barba che gli scende sul petto, è originario della Borgogna; lei, bassa e bene in carne, è spagnola; insieme hanno un sogno da realizzare: seguire a piedi il Camino francés che porta a Santiago de Compostella. Auguri sinceri (e che si mettano in tasca l’orario degli autobus).
“È in vendita per soli 167 milioni di euro?” ironizza il mio ospite. Prontamente aggiunge sua moglie: “Beh, se si pensa che qui nel villaggio un modestissimo studio non costa mai meno di 400 mila euro…”. “Un prezzo equo, che ti permette di far morire d’invidia gli amici raccontando di avere come vicino di casa Hollande…” chioso divertito. E si, anche il Presidente in carica è proprietario dal 1986 di una lussuosa villa con piscina, La Sapinière, annidata nel cuore del domaine di Saint-Basile. Argent oblige.
Il rosè è finito ed è tempo di saluti. Alle fotografie della casa che fu di Picasso pubblicate da Le Nouvel Observateur preferisco quelle esposte al Musée de la Photographie, istituzione nata dalla donazione fatta da André Villers alla municipalità di Mougins, la vera mèta di questa gita. Alle sue pareti sono appese tante immagini che riprendono Picasso al lavoro, scatti eseguiti da Clergue, Duncan, Doisneau e Lartigue – oltre che dallo stesso Villers, autore di non banali photo-collages.
Dentro fa caldo e mi affaccio alla finestra: proprio di fronte a me, sul tetto di una casa, si è fermata una colomba che tiene nel becco un piccolo legno che voglio immaginare sia d’ulivo. Che sia un messaggio del reincarnato Picasso per il “mercante d’arte belga di circa quarant’anni d’età, innamorato di Picasso e di cui desidera qui conservare l’anima?”

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NOTA - Estraggo dal Fatto Quotidiano web del 28.08.2017: Andrà all’asta la maestosa residenza di Mougins, in Costa Azzurra, dove Pablo Picasso visse i suoi ultimi dodici anni, dal 1961 alla morte nel 1973. Con una base di partenza di 20,2 milioni di euro, come si legge nell’annuncio pubblicato su LuxuryEstate.com. Una storia travagliata quella della mastodontica proprietà immersa nel verde con vista sul mare che solo l’anno scorso la villa era stata venduta per circa 220 milioni di euro. Chissà a quanto se l’aggiudicherà il vincitore dell’asta, che si terrà il prossimo 12 ottobre.
Dopo la morte del pittore, la sua ultima moglie, Jacqueline, che non aveva più toccato nulla - neppure i suoi occhiali, rimasti dove lui li aveva lasciati - si sparò nella villa, togliendosi la vita, nel 1986. Per oltre 30 anni la casa rimase abbandonata, contenendo opere dell’artista dal valore di circa un miliardo di euro. Tra il 2007 e il 2008 la villa fu acquistata e ristrutturata a opera dell’architetto belga Axel Vervoordt. I lavori coinvolsero oltre cento operai che, sotto la sua guida, trasformarono la dimora in una proprietà di lusso contemporanea e preziosa. Oggi la villa si presenta con un arredamento moderno e ricercato, ma la struttura mantiene intatte le caratteristiche di quando Picasso trovava ispirazione nelle sue stanze.
Fu proprio l’artista a ingrandire la casa padronale con uno studio spazioso in cui lavorare, spesso di notte, senza distrazioni. Oggi gli interni contano circa 1.800 metri quadri, divisi fra l’edificio principale, quello per gli ospiti e un altro nel giardino, accanto alla bellissima piscina, dove sono ospitati un centro benessere, con sale massaggi e bagni turchi, spogliatoi e palestra. Gli otto acri di terreno che circondano la proprietà sono stati ugualmente restaurati nel rispetto dell’originale, con ulivi secolari, roseti, gradini in pietra, fontane e terrazze. La sapiente e lussuosa opera di ristrutturazione, aveva portato il vecchio proprietario a vendere la villa alla fine del 2016 per circa 220 milioni di euro a un finanziere del Brunei. Non sono note le cause per cui la proprietà sarà battuta all’asta.

Notizie più precise le fornisce Elisabetta Rosaspina (La Lettura #303, 17 settembre 2017): Allinizio di quellanno [2008] però qualcosa di era mosso: erano apparsi degli operai e iniziati i lavori di riabilitazione. Si parlava di un tycoon belga o olandese che aveva acquistato la casa per 10 o 12 milioni di euro. L'architetto Axel Vervoordt ha diretto la ristrutturazione per due anni, ma non si è mai visto insediarsi il padrone della casa, ribattezzata «LAntro del Minotauro». I costi eccessivi e un divorzio inatteso, si dice, hanno affondato il progetto fra i debiti. Ma allinizio di questanno il sindaco di Mougins annuncia che il finanziere di origini srilankesi Rayo Withanage, socio daffari del principe Abdul Ali Yil Kabier, della famiglia reale del Brunei, è il nuovo titolare della tenuta, destinata a iniziative benefiche. Nove mesi dopo casa Picasso è ancora in cerca del suo castellano.

Tutte le informazioni per lasta si trovano su LuxuryEstate.com e Residence365.com, con tante fotografie, interni inclusi. Chi è interessato si faccia avanti, ma in fretta perché ottobre s’avvicina.


LE FOTOGRAFIE DI
GIANCARLO MAURI 















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